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A proposito del "turismo tribale"

Un commento a seguito della liberazione degli Italiani in Orissa

 

Finalmente hanno liberato anche il valsusino Paolo Bosusco, il secondo degli italiani rapiti qualche tempo fa nello stato indiano dell'Orissa dai guerriglieri maoisti mentre il primo, Claudio Colangelo, era stato rilasciato in precedenza.

 

A parte il piacere per la felice conclusione di questa brutta avventura, a me interessa sviscerare gli aspetti della questione che mi (ci) interessano in quanto viaggiatore e turista. Per chi non avesse seguito tutta la vicenda, inizialmente era stato detto che il motivo del loro rapimento era il fatto che stavano fotografando delle donne mentre facevano il bagno al fiume, trattandole come "scimmie in uno zoo". Ora invece, dalle dichiarazioni degli ostaggi, pare essere stato il contrario, cioè che i due italiani siano stati catturati mentre erano loro a fare il bagno in un fiume. Mi era sembrato strano che uno come Bosusco, che dall'improbabile capigliatura si intuisce essere completamente a digiuno dei dettami della società dell'immagine nella quale viviamo ma, per contro, autentico e davvero vicino alle popolazioni locali, avesse compiuto un atto così poco rispettoso.

 

Io adoro visitare posti poco battuti, in particolare quelli abitati da popoli che vivono seguendo lo stile di vita tradizionale e, se ne avessi avuta l'occasione, avrei potuto benissimo essere stato un cliente di Bosusco. Quello che più mi ha colpito mentre seguivo le vicende dei due sfortunati ostaggi, sono stati gli articoli di certa stampa, in cui sembrava che la colpa di tutto fosse dei due italiani, rei di essersi andati a ficcare, quasi volutamente, in questa situazione. È una colpa apprezzare quello che un po' rozzamente viene definito "turismo tribale"? Così parrebbe a leggere gli scritti di alcuni, come se quel tipo di viaggiatore fosse un Rambo desideroso solo di mostrare agli amici in quali posti sperduti ha avuto il coraggio di andare, mentre tra le righe traspare un: "Se la sono andati a cercare, adesso che si arrangino...".

 

Paolo Bosusco in mezzo ai locali

 

Chi, come Bosusco e il suo cliente, effettua dei viaggi appositamente concepiti per conoscere questi popoli, immancabilmente li rispetta profondamente. Del resto, se a uno non piacesse l'arte moderna, non spenderebbe i soldi del biglietto e il suo tempo prezioso per visitare da cima a fondo il MOMA di New York, piuttosto farebbe altro. In base alla mia esperienza, chi manca di rispetto in questi contesti è, di norma, un locale appartenente all'etnia dominante (e che spesso considera le minoranze dei "selvaggi arretrati", come nel caso di quegli indiani che agli indigeni delle Isole Andamane hanno chiesto di mettersi a ballare per filmarli) oppure un turista con nessun interesse verso questi popoli ai quali è stato inserito nel programma un'occasionale vista ad un villaggio.

 

Tra l'altro è una pia illusione credere che, se non ci fossero turisti con queste "strane idee" come i due sopracitati, queste genti non verrebbero in contatto con il progresso e le sue insidie: queste ultime, da sempre, procedono lo stesso, anche senza che ci siano dei visi pallidi a spargere il contagio. Anzi, spesso il turismo non solo è una delle poche risorse per questi popoli ma anche uno dei motivi che rende queste genti, sovente vessate dai governi centrali, sufficientemente visibili per difendere i propri diritti e le proprie tradizioni. Cosa ne sarebbe stato dei Penan del Borneo Malese, il cui territorio di foreste primarie era stato dato dal governo a ditte che sfruttano il legname pregiato di quelle latitudini, se lo svizzero Bruno Manser non avesse portato all'attenzione del mondo la loro condizione, salvando, almeno in parte, dalla distruzione il loro habitat?

 

Il turismo responsabile e solidale come quello operato da Bosusco, che attraversa a piedi il territorio (e non muovendosi, come fanno altri, su fuoristrada con l'aria condizionata, che ai locali immagino sembreranno quasi delle astronavi che scaricano alieni) e cerca contatti autentici con i locali, non porta danni, a differenza di quello che fanno certi governi che costruiscono villaggi per turisti come succede per le donne Padaung (impropriamente dette "donne giraffa") in Indocina dove vengono poi convogliate corriere di turisti.

 

Spetta a noi viaggiatori distinguere le modalità rispettose delle popolazioni locali da quelle che lo sono meno e privilegiare quelle in cui i proventi vanno direttamente ai locali e non alle guide, spesso appartenenti alle etnie dominanti, di norma quelle alle quali è più facile contattare i turisti perché più abituati ai moderni mezzi di comunicazione.

 

Un'altra cosa da evitare, o almeno da considerare attentamente, è quella di regalare piccoli oggetti, matite o caramelle (che possono pure costituire un problema dove gli spazzolini da denti non sono facili a reperirsi) ai bimbi che incontriamo, magari per ottenere in cambio una fotografia. Il rischio di instillare in quelle giovani menti che sia meglio chiedere l'elemosina che imparare un mestiere è tutt'altro che remoto e quindi è sempre meglio chiedere a chi conosce la situazione locale quali siano le cose veramente utili e preferibilmente farle avere alle scuole o alle autorità locali in modo che siano equamente distribuite in maniera impersonale, senza cioè creare quell'implicito "contratto" per cui io turista regalo la matita a te bambino che me l'hai chiesta direttamente.

 

ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi

Roberto CORNACCHIA

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