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Tesori d'Arabia - V

Diario di un viaggio di scoperta nella terra degli sceicchi

...segue 

 

9° giorno

Ovviamente un motivo per alzarci prima dell’alba lo troviamo sempre, così la colazione è formato standard (quel che hanno pronto, non ancora operativi in pieno), poi in jeep andiamo al Forte di Hail, la guida Magidh conosce un addetto che ci apre nonostante sarebbe nel mezzo di lavori. L’Aarif Fort è situato su di una piccola collinetta in centro città, attivo fino al 1927, tempo dell’ultima battaglia, conteneva 30 soldati, operativi 15 per volta, il contrafforte centrale illuminato dal sole nascente è di un rosso fuoco che abbaglia di prima mattina, con le decorazioni bianche l’effetto è notevole. Da qui ci dirigiamo alla vicina fortezza di Qishlah, anche questa è aperta al nostro arrivo su sollecitazione della guida. Usata principalmente come caserma, conserva al suo interno anche una moschea, il deposito delle armi, stanze lungo il perimetro interno delimitato ovunque da un porticato che permetteva di vivere nonostante il caldo estivo, ci sono 8 grandi torri d’avvistamento e una delle porte è ripresa da un luogo storico, molto più antico della fortezza stessa. Nel mezzo fa bella mostra di sé uno dei primi modelli di Land Rover, l’auto che ha conquistato il deserto. Prima di lasciare la città, un salto al belvedere sopra al Vienna Garden, montagna di basalto da cui lo sguardo domina la valle fino alle montagne dell’Hejaz. Salutiamo Hail per salire sulle montagne che chiudono la città a nord, non prima di notare alcune particolarità nelle rotonde, enormi bricchi per il caffè le abbelliscono, originario di qua è tale strumento. Prossima metà sarà Jubbah, 120 km a nord-ovest, sito Unesco noto per i suoi preziosissimi petroglifi, risalenti fino a 9.000 anni fa. Un nastro d’asfalto nel nulla, gli autisti sanno dove siano situati gli autovelox, la distanza è percorsa in poco tempo, velocità tra i 140-160 km/h qui nel vuoto del deserto. Ci fermiamo a una rotonda tra la città e il sito, attendendo la guida, tutto prenotato con largo anticipo, poi entriamo in questa sorta di grande biblioteca all’aperto, situata tra le Jubbah Rock Carvings, che sorgono dal nulla nel mezzo del deserto di Nefud. I luoghi visitabili sono tre, accessibili a piedi, alcuni dei quali con scale per non rovinare rocce nell’ascesa. Il più celebre petroglifo, il carro trainato da cavalli, lo vedremo al termine della visita, fa parte dei più recenti, ancora in ottimo stato. Fa impressione notare come tra i disegni ci siano animali che ora non siano nemmeno collegabili al luogo, tra cui leoni, ma è interessante comprendere in base ai colori e alle forme quali siano i periodi in cui furono realizzati ("different color, different age" dirà all’infinito la guida, tormentone per i giorni a seguire adattabile a tutto).

 

 Alba all'Aarif Fort, Hail

 

Dal primo cancello agli altri due ci si sposta coi mezzi, se all’inizio si fatica a vedere al meglio queste incisioni, più si osservano e più si notano particolari, fondamentale una buona illuminazione del sole, possibilmente non troppo forte e diretta. Difficile pensare a lasciti umani più antichi di questi, il deserto preserva. Terminata la visita, proprio di fronte al terzo cancello, una sorta di bar si trova, la guida ci offre un rinfresco, come non approfittarne? Caffè arabo e the, datteri a profusione, facciamo un’offerta ma non è accettata dal proprietario. Si riparte, tappa alla stazione ferroviaria di Hail che raggiungiamo dopo nemmeno un’ora di trasferimento, percorsi in jeep oggi 248 km. Nella modernissima stazione si entra con app Tawa, le pratiche sono simili a quelle del check-in in aeroporto, tanto che gli zaini vanno lasciati e ritirati all’arrivo, controllo al metal detector rigidissimo, prima si può sostare tra i bar presenti, ma di fatto la stazione è quasi deserta. Questa tratta di AV araba destinazione la capitale Riyahd è l’unica al momento funzionante, in realtà non è che sia proprio un’alta velocità, i quasi 650 km son percorsi in 4:45’ nella confusione totale di bambini che urlano e corrono per tutto il viaggio, le madri nulla possono nei loro confronti. Due soste durante il viaggio, all’arrivo riconsegna zaini in tempi celeri, all’uscita in 40’ con un van (avevamo definito con una guida locale un pacchetto su Riyadh di due giorni con mezzi e guida) raggiungiamo l’hotel che si trova proprio a fianco dello Sky Bridge, uno dei nuovi grattacieli che modernizzano la vista della capitale, il più iconico. Per arrivare passiamo l’area di Capital Market, ora celebre per i tanti grattacieli, ma ci penseremo in futuro. All’hotel (controllo app Tawa prima d’entrare, colazione senza fine compresa) lasciamo gli zaini per trovare un posto dove cenare, restare in hotel potrebbe essere un’alternativa, ma non scoprire la città non sarebbe bello. Così, chiedendo in giro, raggiungiamo a circa due km Prince Mamduh Bin Abdulaziz Street, piena di locali dove cenare e dove pare si ritrovi la movida locale. Scegliamo una sorta di take-away con lunga fila al piano terra ma meno affollato al primo piano dove ordini alla cassa e ti servono, all’ingresso controllo app Tawa. Pensando a razioni da hamburgheria italiana, come al solito sbagliamo i quantitativi, sono sommerso dal cibo, la qualità al solito è valida. Di sera a Riyadh la temperatura è ottima per girare a piedi senza sudare, fresco ma non freddo, clima ottimo, rientriamo in hotel per una doccia prolungata dopo giornata interminabile.

 

 

 

10° giorno

Colazione a buffet con talmente tante scelte da non sapere cosa lasciare…poi subito al Delta Medical Lab dove effettuare il tampone antigenico, necessario per il rientro in Italia. Di laboratori medici del genere è piena la capitale, se si può attendere un giorno per l’esito, il costo è contenuto, tempi veloci e poi via per la prima escursione, destinazione Dir’iya, la città d’origine della famiglia reale dal 1700. Ora sito UNESCO, non facilmente visitabile, riusciamo tramite la nostra guida ad avere l’accesso, a differenza di altre persone che nello stesso periodo hanno avuto una porta in faccia. Per arrivare al sito, che ormai è un sobborgo della capitale, occorre andare coi propri mezzi in un parcheggio che dista 2 km, da lì col bus riservato all’ingresso dove una guida ci attende per illustrarci gli aspetti di questa città rimessa a nuovo, con lavori non ancora del tutto ultimati, più volte la guida ha fatto cenno agli operai di togliersi di torno. Solito passaggio dal visitor center, descrizione e bevande, poi in un clima quasi surreale (solo noi) iniziamo ad entrare nella città ristrutturata con un effetto forse un po’ troppo “perfettino”. Visitiamo l’area di Turaif, passando da passerelle che permettono la vista sui cortili interni di questa realizzazione tutta di mattoni di fango. Si tratta di una visita molto interessante, potendo vedere anche il museo interno, dove si nota l’attenzione per le scuderie di cavalli, passione arcaica dei principi, ed ora una forma di prestigio e guadagno per la famiglia (non che ne abbiano così bisogno…). All’interno, costruito come un albero con piccole foglie, è in mostra l’albero genealogico della famiglia, con un’infinità di eredi. La parte esterna è caratterizzata da orti per coltivare e pozzi, qualcosa di straniante visto il panorama che ci attornia, ma qui non si risparmia nulla per i reali.

 

Vista notturna dal grattacielo Al Faisiliah (The Globe), Riyadh

 

La visita dura indicativamente 90’, poi col pulmino designato ci riportano ai suv, da dove proseguiamo per le Red Sand Dunes. Inizialmente avevamo intenzione di visitare Edge of the World, ma in seguito ad un incidente occorso a tre italiani in visita, precipitati con la loro auto, il luogo è stato chiuso. Le Red Dunes, circa 60 km dal centro di Riyahd, sono un piccolo parco giochi per chi vuole toccare il deserto senza immergersi. La vicinanza alla città le rendono sporche e per nulla autentiche, si può camminare tra le dune, ma schivando più rifiuti e i noleggiatori di quad, che in realtà son di basso profilo, il tutto non da piacere né a chi vuole farsi un giro a piedi, né a chi vuole conquistare le vette in quad. Attorno, campi tendati ricoperti di spazzatura, le reti metalliche che dividono questi dalle dune sono un “tutto esaurito” di plastica a carta, diciamo che la visita sia evitabile. Rientriamo con sosta, circa 30 km dopo, al Camel Trail, una sorta di Edge of the World in piccolo. L’accesso allo sterrato che porta alle montagne è in un’area lavori, non facile trovarlo, ma ci pensano gli autisti, anche se pure loro devono fare il punto più volte. Trovato lo sterrato giusto (nel mezzo di un parco giochi in costruzione, per ora non s’intravvede) ci lasciano l’autostrada e il frenetico traffico alle spalle, facendo tappa dopo circa 4 km al punto finale, una grande rotonda nel nulla dove rimirare il canyon dall’alto di picchi a strapiombo. Di qua passava la via per la Mecca, nel mezzo della falesia di Tuwaiq, ci sono sentieri che scendono, oppure altri che raggiungono i punti estremi del cammino, verso Berry Park, chi non teme le vertigini può deliziarsi con splendidi passaggi sugli strapiombi. Ognuno si può godere i cammini che preferisce, scendendo o seguendo il bordo (fare attenzione, non c’è nessuna ringhiera o corda di protezione, l’altezza massima raggiunge i 300 metri, la caduta non sarebbe agevole), lo scenario incanta, anche se meriterebbe una visione con sole crescente o calante, non alle 13 come accade a noi. Rientriamo in città (28 km) facendo tappa per un veloce pranzo anche se la sorpresa è data da un saudita che vedendo stranieri in un’area dove non ne aveva mai incrociati ci paga caffè e dolce per la sera, che fa preparare appositamente dalla cucina. Gentilezza non di poco conto, assai gradita. In capitale è tempo di visita al Saudi National Museum, enorme museo gratuito che illustra la storia mondiale vista da qui, dalla nascita del mondo alla conquista del deserto e del petrolio. Non tutto è condivisibile, scientificamente ci sono contrasti non di poco tra fatti, scienza e religione, ma in questo contesto meglio soprassedere, le parti molto interessanti sono le ricostruzioni di luoghi storici, in alcuni casi in formato 1:1, come le tombe dei leoni di Dadan. Servirebbe almeno un giorno intero per vederlo con la dovuta attenzione, ci accontentiamo di tre ore per salire a tramonto già inoltrato al grattacielo Al Faisiliah (progettato da Norman Foster), conosciuto anche come Globe Tower, perché sormontato da un globo di vetro formato da 655 pannelli delle dimensioni di 24 metri. Per accedervi, pagato il biglietto, occorre lasciare in custodia gli apparecchi fotografici di ogni genere a parte i cellulari, si prende un ascensore per 44 piani e a seguire un altro che a noi permette solo di uscire sul terrazzo dove vedere la città illuminata dall’alto. Bello spettacolo, i vetri di protezione, che riparano in parte dal forte vento che spira quassù, non sono un bene per le foto coi cellulari (riflessi ovunque), la vista sulla parte a nord “dei grattacieli” merita. L’ascensore sale ancora, per chi ha un accesso al prestigioso ristorante che svetta lassù, non noi che ridiscendiamo con destinazione cena. Il ristorante scelto è proprio di fronte ad una nuova stazione della metropolitana in costruzione, pieno centro. Caratteristico, si cena seduti a terra appoggiati a cuscini squadrati, buona qualità, ci limitiamo con le porzioni uscendone soddisfatti. In taxi ritorniamo in hotel, salendo sull’unico taxi saudita che rispetta per intero il codice stradale, facendoci fare un giro eterno lungo King Fahad Branch road. Percorsi 186 km, inclusi gli ultimi, inutili, in taxi.

 

continua...

 

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Luca COCCHI

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