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Tesori d'Arabia - II

Diario di un viaggio di scoperta nella terra degli sceicchi

...segue 

 

3° giorno

Sveglia ben prima dell’alba, in taxi in una Jeddah deserta raggiungiamo il Fish Central Market, aperto a quest’ora per l’arrivo del pescato e relativa asta. Si entra gratuitamente con presentazione app Takabanda (come l’inizio a denominare io), prima del sorgere del sole la parte viva è quella a nord dove avviene l’asta all’ingrosso. Tutti molto ordinati gli addetti, contraddistinti da pettorine gialle, qui si compra a casse intere ogni tipologia ittica, anche pesci dai colori incredibili. Tra questa parte e il mercato al pubblico si trova la parte in cui all’asta sono battuti i singoli pesci, questa parte è riservata ai ristoratori e alle pescherie, più interessante per l’esposizione di ogni pesce. Questi vengono lanciati su di una piattaforma e con uno spazzolone spostati verso chi rilancia per la presa finale. Pian piano anche il mercato vero e proprio si sveglia, i venditori approntano i propri banchi tra montagne di ghiaccio, a Jeddah già di mattina la temperatura tende a salire. Una splendida alba che colora lo skyline della città annuncia il nostro rientro, il clou del mercato è terminato. Sempre in taxi rientriamo in hotel per la solita infinita colazione, e poi caricati i bagagli partiamo alla scoperta della Corniche, il lunghissimo lungomare che qualche settimana prima aveva fatto da circuito per il Gran Premio di Formula1. Il cielo, spazzata via una bella alba, si è coperto, la vista dalla Corniche dice poco, facciamo tappa in due luoghi ove scorgere opere d’arte di scultori celebri, da Moore a Mirò, da Pomodoro a Baldaccini. Il primo luogo ad Al Hamra, è in una baia interna, dire poco fascinosa è un complimento, forse le opere d’arte servono proprio a fare da richiamo a questa parte di Corniche che 200 metri a sud presenta la grande e nuova moschea Hessan Enamy. In 45’ c’è modo di vedersi il tutto in lungo e largo, proseguiamo per un’altra destinazione “artistica”, le quattro lanterne di Julio Lafuente nella zona di Al Andalus. Trovarle non è un problema, si tratta appunto di quattro gigantesche lanterne che s’ispirano alle lanterne contenute presso la Mamluk Mosque al Cairo. Il problema è dove fermarsi per arrivarci, troviamo una deviazione chiusa per lavori sulla Corniche, stoppiamo l’autista e percorrendo a piedi l’area verde centrale, arriviamo così presso le lanterne, maniera poco consona agli usi del posto. Il luogo pare in forte decadenza, il fondo semi distrutto, i colori spenti dalle nuvole non donano, così ritorniamo sui nostri passi, dove c’imbattiamo in un addetto alla sicurezza che sta dicendone di ogni all’autista. Dal poco inglese che parla capiamo che non è permesso fermarsi, ma soprattutto non vogliono che lo si faccia per due motivi: il monumento è in cattive condizioni e non vogliono che si veda così, oltre al fatto che dietro a questo, verso il mare, sorge una caserma dell’aviazione. Spergiuriamo di non aver fotografato nulla se non le lanterne, mostriamo qualche foto, l’autista ci prega di riconfermare il tutto, ha una paura enorme di doverne pagare conseguenza, alla fine, dopo un lungo conciliabolo riusciamo a ripartire senza “danni collaterali”. Vista la situazione in cui versano le quattro lanterne, direi che si possa saltare la sosta senza perdere nulla. Abbiamo tempo a disposizione prima di recarci all’aeroporto, chiediamo di visitare la zona indiana di Jeddah, che si trova all’estremità opposta. Arriviamo dopo 40’, ma trovarla è un rebus. Nessuno ne sa nulla nel dettaglio, le indicazioni ricevute vaghe, alla fine identifichiamo il luogo anche per le ruspe che spazzano via caseggiati e palazzi. L’area è in ristrutturazione, dell’antico quartiere indiano resta qualche negozio di stoffe e poco altro, mentre la popolazione locale imbraccia cellulari a profusione per filmarci, curiosissimi di vedere stranieri in un’area così poco, anzi per nulla, turistica. Qui però qualche bottega per cibo di strada s’incontra, chi non volesse attendere il cibo dell’aeroporto e del volo può mettersi avanti a prezzi economicissimi. Sempre col pulmino raggiungiamo l’aeroporto dove ci attende il volo Saudia per Tabuk. Si entra mostrando l’app Taka, check-in on-line effettuato il giorno precedente, pratiche veloci, più complesse quelle al metal detector, non mi era mai capitato di dover togliere pure gli occhiali, ai più (ma rarissimi i casi agli stranieri) controllo bagaglio dopo il passaggio, molta l’attenzione. Il volo è in leggero ritardo, 1:30 la durata dove ci servono sandwich e bibite, all’arrivo ritiro bagagli praticamente immediato. In taxi a velocità buona per sorpassare Verstappen e Hamilton ci dirigiamo presso l'appartamento prenotato. Per arrivarci il taxista evitava i semafori rossi passando nel controviale adibito a parcheggio, schivando auto in manovra per distanze misurabili solo con calibri di precisione, modo di guidare notato come standard da tutti i taxisti della zona. Preso possesso dell’appartamento, è tempo di cena, perlustriamo i dintorni, siamo nell'ora di preghiera e alcuni locali sono momentaneamente chiusi, troviamo un posto aperto denominato Foul-Sah (traduzione da google, non avevano menù, biglietti da visita o altro) e non ce lo facciamo scappare.

 

L'inconfondibile sagoma della Elephant Rock

 

Si trattano le portate direttamente in cucina, nessuno parla una parola d’inglese, ma ci capiamo alla grande, un assaggio di tutto, verdure a profusione, insomma, un successo, terminato con mille foto da parte loro e ringraziamenti interminabili per questi operatori gastronomici provenienti dal Pakistan. Non riusciamo certo a terminare tutto, un vero peccato, ma chi sapeva che le porzioni fossero oltre l’abbondante? Spesa ridicola, yogurt per la colazione dell’indomani ovviamente offerto. Non c’è caffè, se proprio vogliamo segnare qualcosa di negativo. Non male il benvenuto a Tabuk, dove la temperatura rispetto a Jeddah precipita verso sera, ci saranno almeno 15 gradi in meno. Presso la reception degli appartamenti (da capire quale sia la differenza rispetto a un hotel, vabbè) a disposizione tè, caffè arabo (con cardamomo e zafferano) e succhi di frutta. Per un caffè vero e proprio, occorre chiedere agli addetti che prontamente ci riforniscono di Nescafe.

 

 

 

4° giorno

Colazione leggera recuperando alla reception brioche confezionate, succhi e caffè, oltre a qualcosa portato da casa e consumato nella grande cucina a disposizione in appartamento, poi si parte, è tempo di deserto. In grandi e comodissime jeep partiamo verso nord percorrendo la grande via che porta diretta in Giordania, si prende a sinistra entrando a Bir Ibn Hirmas facendo tappa dopo circa 210 km dalla partenza a Zeita. Il luogo, facente già parte dell’Hisma Valley (Hisma significa numerose formazioni rocciose più che una singola montagna) è caratterizzato da deserto rosso e formazioni rocciose con incisioni rupestri antichissime, scritte ma soprattutto disegni di animali che un tempo abitavano la valle. Poi si prosegue verso la meta principale della giornata, l’antica città di Madyan nel complesso di Al Bad’ (chiamato anche Mugha’ir Shu’ayb), abitata a suo tempo dai madianiti, popolazione della quale a oggi ancora poco si sa, risalenti al II millennio a.C.. Lasciati i mezzi al visitor center dove si possono avere molte informazioni sulla storia del luogo e degli antichi abitanti, si sale al complesso funerario, le prime tombe scavate nella roccia. Si trovano su entrambi i versanti della vallata, quelle sulla destra molto più fotogeniche, una volta saliti si può entrare per vederne l’architettura e l’utilizzo che ne era fatto. Già questa una forte impressione, scendendo e salendo sulla collina a sinistra se ne vedono numerose, il clima è perfetto, caldo ma non eccessivo, ideale per girarsi in libertà il luogo. L’antica città era in posizione strategica, tra Petra ed Hegra, vicino al Mar Rosso, attraversata da un wadi, tutto per essere tappa carovaniera imperdibile, le splendide tombe lo stanno ancora a testimoniare, oltre al fatto che sono (ancora per quanto tempo?) le uniche visitabili senza turisti al seguito. Terminata la visita, veloce passaggio al Pozzo di Mosè (leggenda narra come questi siano i luoghi dove Mosè approdò attraversato il Mar Rosso), dalla parte opposta della cittadina, visita evocativa che riporta a tempi andati, quello che si può rimirare ora dice poco. Lungo la via, B746, sosta per recuperare cibo del pranzo, che consumeremo una volta giunti a Magna, sul Mar Rosso, anche se il luogo prescelto è un’oasi senza vista sul mare e sul bel promontorio che sovrasta la città. Così a piedi raggiungo il centro città, completamente deserto, e mi avventuro su di una collinetta per avere la vista migliore che vola fino al mare.

 

Il relitto dell'aereo Catalina

 

Siamo nel Golfo di Aqaba, ma di villeggianti al mare non c’è traccia, la temperatura è buona, giusto il vento a rendere meno intenso il sole, ma qui non siamo ancora da resort con ombrelloni, snorkeling e via così. Da qui, lungo la via costiera, in parte asfaltata, in parte su sabbia, scendiamo a sud, incontrando formazioni rocciose che fanno bella mostra di sé sul blu intenso del mare, svetta l’Elephant Rock, una sorta di grande onda rocciosa che dalla strada pare appunto un elefante. Giunti in prossimità di congiunzione con la strada 392 proseguiamo fino al termine della terra dove staziona come uno scheletro abbandonato l’aeroplano Catalina, un aereo americano fatto atterrare a forza qui e lasciato a imperitura memoria come errore di navigazione da non ripetere. La coda è staccata tra le dune, tutto il resto regala un’immagine forte del luogo, si può entrare tra la fusoliera, come all’interno di un gioco postmoderno, l’ambientazione tra deserto e mare rende il tutto magico. Siamo molto lontani da Tabuk, iniziamo il lungo rientro con sosta lungo il cammino a rimirare il tramonto da una grande duna sabbiosa. Il sole velocemente s’inabissa regalandoci la vista della palla gialla che si allarga ai suoi piedi per sparire tra sabbia e acqua. Giungiamo col buio a Tabuk, la giornata è stata di grandi trasferimenti, percorsi 573 km, non pochi anche se la maggior parte su strade ampie, ben tenute e senza traffico. Visti i tempi andiamo direttamente a cena, optando per un ristorante che sorge al secondo piano, raggiungibile solo con ascensore a vetri e presentazione app Taka. Ottima cena, portate abbondanti, wi-fi a disposizione, ma una parte è aperta ai fumatori e può disturbare. Rientriamo con le jeep agli appartamenti, per riprovare la doccia, quanto mai opportuna dopo lunga giornata, soprattutto per i tanti km percorsi.

 

continua...

 

Tesori d'Arabia - I

 

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Luca COCCHI

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