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Himachal Pradesh - V

Diario di viaggio nel montuoso e mistico stato indiano

 

... segue

 

13° giorno 

Colazione in guest house e poi partenza immediata visto che non dobbiamo sbaraccare nulla, restando a Kaza due giorni, destinazione Kibber, un villaggio che si trova in alta quota, passato il fantastico villaggio/monastero di Ki, che è rimirabile dalla strada prima di arrivarci, una delle immagini simbolo delle Spiti. La strada sale velocemente, Kibber si trova ad oltre 4200 m, pieno di case imbiancate a calce ed all’ingresso varie guest house, il posto è decisamente di moda, come si nota dalle tante Royal Enfield parcheggiate proprio davanti alle guest house. Nonostante ci si trovi in alta montagna, con lo Shilla che sfoggia i suoi oltre 7000 m, par di essere nel deserto, e il contrasto tra le abitazioni bianche e il cielo blu cobalto è sorprendente. Il villaggio merita un'accurata passeggiata, mentre le genti del posto continuano placide i loro lavori, per arrivare al monastero nel punto più alto del luogo, viste ovviamente splendide. Si rientra dalla stessa strada, ma ogni autista compierà un giro attorno allo stupa che si trova all’ingresso del paese, guai per loro evitare questa usanza! Poco lontano, sosta obbligata a Ki e al suo monastero, scenograficamente il più bello della regione. Costruito tutto attorno a un cucuzzolo nel mezzo della valle, la vista spazia su panorami in ogni dove, e anche il gompa è bello e caratteristico. Ci si accede lungo uno stretto corridoio pieno dei soliti cilindri per preghiere, poi si ha accesso alle varie sale, mentre i monaci continuano la loro vita contemplativa mangiando nel bel mezzo del cortile principale senza venir minimamente disturbati dai visitatori. Godersi da qui la pace delle valle è un'esperienza fantastica, ovunque l’occhio si poserà sarà sicuramente una vista incantata, cromaticamente pienissima e particolare, concedetevi tutto il tempo che volete. È già primo pomeriggio quando rientriamo a Kaza per un veloce pasto in guest house, poi vista la giornata splendida, ci facciamo portare dall’altra parte della valle, nel mezzo dell’attività contadina del posto. Kielung sorge sul lato opposto dello Spiti rispetto a Kaza, proprio prima della confluenza col Pin, dimenticato da tutti, arrivarci sembrerebbe facile ma la strada è molto rovinata (ne stanno asfaltando un piccolo tratto ovviamente manualmente ma nulla più), senza indicazioni, e occorre procedere più seguendo il fiume che il senso logico. È periodo di battitura dell’orzo, ci fermiamo a fianco di alcune signore che si stanno ricoprendo di polvere ovunque per rimirare questa azione ormai da noi dimenticata. Anche in questo luogo nascosto troviamo una ragazza che parla un po’ di inglese e ci illustra personalmente le attività del luogo, poi alla loro sosta iniziamo a girare per il villaggio che un tempo è stato la capitale del regno di mezzo (ma vestigia non ce ne sono) per imbatterci in un'anziana signora di tutto punto vestita. Ci tiene a sottolineare (ma qui dobbiamo affidarci all’autista come traduttore) che il suo abito non è dello Spiti ma già del Lahaul, la valle seguente, divisa dall’altissimo Kunzum Pass. Un'identificazione secca di usi e costumi, magari sfuggente per chi come me arriva da tanto lontano, ma non per lei, proprio perché le attività quotidiane da valle a valle cambiano a seconda delle condizioni del tempo che varia ancora il vivere di questi luoghi. Lo Spiti è effettivamente un posto desertico, piove pochissimo e se non fosse per gli alti 6000/7000 m in cui è incastonato, parrebbe più un deserto che una valle di montagna, il Lahual ci accorgeremo a breve riporta una situazione del tutto differente, più acqua, quindi molta più pastorizia e agricoltura varia. Rientrando ci godiamo una vista splendida e unica di Kaza, mai vista prima in nessuna immagine, sempre col cielo blu cobalto dominante. Rientro in tempo giusto per la cena alla solita guest house preparata dal nostro cuoco che ci regala la sorpresa di momo (tipo ravioli cinesi al vapore) deliziosi, sia di verdura che di carne (qui abbiamo trovato negozi di macellai con carne al vento) e stufato al curry delizioso, poi in serata la prima giornata della festa del Ladarcha nel campo sportivo nella parte vecchia di Kaza. Purtroppo la prima serata scorre lungamente in discorsi del politici locali (almeno così sembra) e solo tardi c’è tempo per qualche musica locale cantata in coro da tutti gli abitanti di Kaza qui presenti (difficile immaginare che arrivi gente da fuori di sera viste le strade a strapiombo sul nulla che dovrebbero percorre per rientrare). Un tempo questa fiera si svolgeva a Kibber, antica tappa della via carovaniera, ma ora che il discorso commerciale vero e proprio ha preso il sopravvento è stata spostata nel capoluogo. Per rientare in guest house di notte, se non si è dotati di una potente fonte di illuminazione meglio seguire il percorso regolare, altrimenti tagliate pure per il fiume, ma la discesa della parte vecchia è particolarmente insidiosa al buio. Percorsi 91 km.

 

Il villaggio/monastero di Ki

 

14° giorno 

Colazione in guest house con abbondanza di uova e poi, caricato armi e bagagli, si parte per uscire, ahimè, dallo Spiti. Ma prima di arrivare al controllo permessi di Lossar, le viste che questo luogo regala sono ancora superbe. Costeggiando il fiume si vedono enormi covoni di erba muoversi, solo avvicinandosi si può osservare che sotto ci sono uomini o donne che li trasportano, e ovviamente fotografare diventa splendido, soprattutto con la cima magica di Ki sullo sfondo. Passata Lossar (controllo veloce) la strada inizia a salire verso il Kunzum Pass, risalendo il fiume Spiti. Lo scenario cambia, c’è più vegetazione e si inziano a intravvedere i ghiacciai di fronte, fermandoci presso vari stupa che sorgono al limite della strada ora totalmente sterrata. Il vento si fa insistente e arrivati al passo la fa da padrone. Nel punto più alto, 4.551 m, sorgono vari gompa (o stupa, a seconda se chiamati all’indiana "stupa" o alla tibetana "gompa") strapieni di preghiere colorate, un effetto cromatico splendido grazie anche al vento, quassù dove tutto è accentuato e le sensazioni molto più forti. Ci sarebbe una deviazione della strada per raggiungere il lago Chandertal, ma è preferibile farlo a piedi, costeggiano un crinale che da sia sulla valle dello Spiti che sul Chandra river, destinazione Pakistan. La prima parte del sentiero è in leggera ascesa (punto massimo poco oltre i 4750 m), ma tanto le soste saranno numerose per rimirare montagne (picchi gemelli di 6.800 m di fronte a noi spezzati da un possente ghiacciaio), ghiacciai e lo spettacolo della natura al suo meglio. Al momento siamo fortunati, c’è un sole bellissimo che permette di non sentire il fresco portato dal forte vento, quindi si continua la camminata (circa 10,5 km per 4 ore, comprese di soste) in discesa verso il lago che si può scorgere dopo circa 3 km come fosse una piccola pozza in lontananza. Lungo il percorso si incontrano vari pastori quassù con le loro pecore e capre, sempre custodite da splendidi ma timidi cani di montagna. Le soste coi pastori sono un obbligo, per loro fermare i viandanti e offrire da bere e fumare (un tipo di narghilè, ma se gli offrite sigarette o bidi le accettano di buon grado) è atto di buona volontà, per noi invece è interessante apprendere come sopravvivere a queste quote (dentro a bassi rifugi di pietre a cielo aperto, che vengono coperte con teli in caso di pioggia o neve). Ma a breve inizieranno a scendere, da settembre la neve potrebbe avere la meglio, e anche il passo verrà chiuso fino al giugno successivo. Il vento ci porta però le nuvole e con loro la pioggia. Arrivo di volata al lago mentre già piove e la temperatura a 4200 m cala in un attimo. Del lago Chandertal mi rimane un'immagine minima, tra pioggia, vento e nuvole basse faccio appena in tempo a capire quanto sia grande ma delle montagne innevate che si rispecchinao nelle sua acqua non trovo traccia. Per la nottata faremo campo al lago, ma viste le condizioni puntiamo a uno spiazzo un attimo più protetto raggiungibile in jeep dopo che queste sono venute a recuperarci a meno di un km dal lago, anche se la situazione cambia di poco. Montate le tende vicine ad una ruscello che funge da fornitura di acqua, rimediamo la cena nella tenda dove dormiranno autisti, cuoco e guida, mentre fuori la situazione non cambia. Così, terminata la cena in spazi limitatissimi meglio fiondarsi immediatamente nel sacco a pelo a ritemprarsi per il giorno successivo. Percorsi 102 km, stando alle jeep, probabile qualcosa di meno con l’escursione a piedi che ha tagliato una parte di strada.

 

Kaza, capoluogo dello Spiti

 

15° giorno

Sveglia con le nuvole ancora presenti ma in veloce diradarsi, e ruscello per bagno, poi colazione nella solita grande tenda e partenza a piedi (1 ora) per raggiungere la strada principale. Si segue un sentiero che costeggia la montagna, mentre sotto scorre minaccioso il Chandra River, percorso in piano e quindi senza difficoltà di sorta. A Battal facciamo una sosta per recuperare un po’ di cibi, mentre la guida ci mostra i cippi dedicati agli alpinisti morti sui monti della zona, fra cui un suo amico che ci viene descritto come bravissimo ma che come molti altri è deceduto una volta effettuata l’ascensione, ovvere rientrando quando il più sembrava fatto. Il tempo qui è lontano parente di quanto incontrato nello Spiti, nuvole basse e spruzzi d’acqua, del resto basta osservare il panorama per accorgersi che la vegetazione è di ben altro stampo anche se siamo sempre a 3000 m. La strada procede a fianco del Chandra River, ma spesso occorre condividerla con grandi greggi di pecore e capre che la fanno da padrona. Innumerevoli le forature, lo sterrato è composto da mucchi di sassi ed è facile incappare in punte aguzze che stoppano la marcia. Mangiamo lungo il percorso tra una sostituzione di ruota e l’altra in una costruzione tipica fatta di massi coperti da grandi coperte, poi arriviamo al bivio sulla strada principale, il collegamento Manali-Leh. Prendiamo per Manali, in direzione Rothang Pass, tanto temuto anche se a quota minore rispetto ad altri affrontati. L’inizio è esaltante, strada asfaltata come da tempo non ricordavamo, qualche buca ma in fin dei conti pare un buon andare. Ma dopo pochi km la situazione varia, inizia lo sterrato, iniziano i tornanti e inzia la pioggia nel mezzo delle nuvole. La strada diventa un pantano, è difficile passare incrociando altri mezzi, in più stanno facendo lavori di consolidamento senza tanta accuratezza (in pratica dai tornanti scaricano rocce e detriti all’ingiù, quindi sui mezzi che passano…), salendo ancora la strada cede e ci capita di osservare un camion che ci lascia il passo sprofondare perché il terreno non regge. Buon per lui che cade solo di 2 metri rovesciandosi di lato e non di qualche centinaio come subito avevamo avuto timore, l’autista esce dal finestrino laterale e sembra tutto a posto, ma il segnale non è incoraggiante. La situazione è sempre peggiore, avanzare diventa un’impresa, le ruote affondano mandandoci a sbattere contro la montagna, che è meglio di sbandare verso il vuoto, per fare gli ultimi 9 km impieghiamo 73 minuti, non dico che a piedi si facesse prima giusto perché si sarebbe sprofondati fino al ginocchio nel pantano. La cosa curiosa è vedere macchine lussuose di benestanti delhiani venire fin qui per sciare (!) su placche di neve non più lunghe di 20 m, contenti loro… Sul passo, 3978 m, non si vede nulla, c’è solo una grandissima confusione creata da una fila interminabile di bancarelle che vendono cibi e bevande a ridosso del vuoto (ci saranno almeno 800 m di dislivello) nel freddo pungente, così decidiamo di andarce immediatamente affrontando la discesa che riserva le medesime difficoltà della salita. Di strade terribili ne ho viste tante, dal Perù alle famigerate strade boliviane, da quelle tagike a quelle inesistenti della Dancalia, ma una strada altrettanto pericolosa come questa del Rothang in simili condizioni non mi era mai successo, una volta raggiunta Mihri son stato veramente felice di avercela fatta, e così è passata quasi inosservata una splendida cascata incontrata nella discesa nel mezzo di un panorama verde intenso come da giorni non vedevo più. A Manali facciamo tappa a Vashisht presso il bel Hotel Arohi che è poi la base dell’agenzia che ci ha portato in ogni dove tra Kinnaur e Spiti, dove ceneremo anche. Ma prima spedizione in centro a Manali per immergerci in un luogo impregnato di quella cultura indiana a lungo ricercata dagli europei a cerca di emozioni tra le montagne del subcontinente. Che sia un posto di scambi e commerci lo si vede da subito, in pratica il centro è un unico agglomerato di negozi in bello stile, il mercato si è ridotto di parecchio quando non è stato ricostruito con perfette casette di legno. Ci si può trovare di tutto a prezzi effettivamente ottimi (a confronto quanto si trovava nei villaggi precedenti costatava dalle 2 alle 3 volte tanto), per gli amanti della montagna è possibile farsi l’equipaggiamento a prezzi veramente impensabili per noi, quindi vedete un po’ se vi restano soldi e spazio. C’è anche un centro di cultura tibetana che vede prodotti in teoria originali. Ma sulla questione tibetana, forse sarebbe meglio informarsi bene prima di firmare appelli e lanciare sentenze, se verificate bene cosa fosse il Tibet rimarreste sorpresi della monarchia teocratica che lo governava, dalla forma di xenofobia promulgata e dallo schiavismo mai abbandonato. In centro a Manali si trovano anche vari internet point, ma la cosa che si nota maggiormente sono gli occidentali che si aggirano per il paese in tenuta indianizzata, personalmente mi viene un po’ da riderre al vederli, ma ci sta e va messo in preventivo da subito. La temperatura a Manali è ottima per starsene in giro tranquillamente con una semplice maglietta, al massimo verso sera con una felpa si è a posto. Un tuk-tuk per fare Manali-Vashisht costa 40-50r, così dopo un limitatissimo shopping son pronto per l’ultima cena in compagnia di guida, cuoco e autisti che inevitabilmente dopo tanto contenersi perché alle prese con una lavoro duro in posti altamenti insidiosi, si lasciano andare ad una serata senza freni, ma se la sono meritata alla grandissima. Percorsi 135 km, gli ultimi in jeep.

 

continua...

 

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Luca COCCHI

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