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Kashmir e Ladakh - II

Il diario dei nostri viaggiatori Angelo e Mariangiola

 

...segue 

 

6 agosto

Tentiamo invano di parlare con l'Italia. Le precauzioni prese dal governo indiano contro le spie del Pakistan fanno sì che i nostri telefoni stranieri siano inservibili. Servendoci di un telefono locale cerchiamo almeno di avvisare con un sms. Lasciata Kargil, arriviamo abbastanza presto al monastero di Mulbek. Un monastero piccolino, moderno, rifatto 40 anni fa circa, addossato a un ciclopico masso, sulla cui parete è stata intagliata nel VIII secolo una statua del Budda del Futuro, Chamba, quindi del culto buddista tibetano.

Incominciamo a salire, come gli armenti: al passo Namikala a quota 3729 nessun disagio, poi verso il passo più impegnativo di Fotula a 4108. Scenari eccezionali, monti scabri, appuntiti oppure liscissimi, colori di roccia che variano. Arriviamo al monastero di Malayuru, sono un po' prevenuta ma poi vengo conquistata. Qui girano solo monaci, giovani, giovanissimi e vecchi: sono in 15. Fanno tutto loro per la cura del convento: cucina, pulizie, scuola ai giovanissimi monaci, accoglienza dei visitatori.

 

Un gigantesco Budda inciso sulla roccia, monastero di Mulbek

 

Entriamo come siamo vestiti, niente in testa, solo piedi nudi, e pagando si può fotografare tutto, solo non si può toccare nessun oggetto religioso. La nostra guida Yogesh cerca in tutti i modi di farci capire, ma non mi pare così profondamente informato, e soprattutto ha la tendenza di fare derivare tutto dalla religione induista. Certo – dice lui – questo buddismo - tibetano - è diverso da quello originale che c'è ancora un po' in India, ma anche in Cina e Giappone. Forse c'è del vero, ma si dovrebbe approfondire.

Tutto sommato, nonostante l'iniziale senso di estraneità, il monastero mi è piaciuto: la posizione, la tecnica di costruzione antica dei muri, particolarmente nelle parti più antiche e in parte diroccate, gli stupa vecchiotti, i colori vivacissimi delle pitture - nuovissime ma in stile tradizionale -, la generosità dell'accoglienza.

Partendo, abbiamo la sorpresa di dover fare la strada vecchia perché quella moderna è chiusa per frana da due giorni. Strada pazzesca, da brividi a ogni incrocio con camion, con bordi non protetti, franati o quasi, senza segnaletica, sono una grande abbondanza di consigli. Siamo alla sera, sani e salvi, all'Apricot Tree, affacciato sull'Indo, ottimo backup al campo tendato di Uletopko.

 

Foto di gruppo con maglietta d'ordinanza

 

Architettura in giardino tradizionale, anche se gli albicocchi sono stati fatti venire dalla Nuova Zelanda. Particolari decorativi di legno colorato e decorato a fiori, colori vivaci come nei templi, ma molto moderno e lineare negli arredamenti. Per Angelo qualche pecca: il telefono in camera non è collegato, manca la carta igienica. Siamo ancora staccati da ogni possibilità di sapere e dare notizie. Non c'è campo, rete, etc. Abbiamo salutato i tre autisti del Kashmir, domattina arriveranno i tre del Ladakh. Non ricchissima come cena. Poi breve passaggio nel buio totale: cielo stellatissimo, si poteva tentare di vedere persino la Via Lattea.

 

7 agosto

Passata una bella notte senza zanzare, con l'Indo sotto le finestre, ma silenzioso. Stamane per colazione abbiamo trovato una ciotola di albicocche: con il permesso del gran capo dell'hotel, l'ho portata in camera per un'infusione di acqua e amuchina. Ora potremo mangiarle senza sbucciarle. Sono rilassata nel terrazzino sull'Indo, e scrivo in attesa che arrivino i tre nuovi autisti del Ladakh.

Oggi partenza tranquilla, nuovi autisti, nuova guida, Sang Dup, che ci sembra documentato, ma parla con un inglese per me incomprensibile. Il nostro autista si chiama Chamba, come il Budda del Futuro, e sul suo cofano campeggia uno piccolo stupa dorato: d'inverno non lavora, sei mesi di lavoro all'anno! Appurato che il nome della nostra guida si pronuncia "Ioghesc" e non “Ganesc”.

 

La confluenza tra lo Zanksar e l'Indo

 

Deviamo prestissimo per una valletta laterale, strettissima, e presto arriviamo al monastero di Ri-dzong. Sul cartello c'è scritto Chullichan Nunnery, monastero delle albicocche. Monastero costruito su un grande deposito glaciale all'interno di monti scoscesi che hanno scaricato le loro pietre e le loro sabbie. Non vecchissimo, nato nell'800, piccolissimo, poi ingrandito e ora nuovamente ridotto per sole monache, che ci vivono, fanno scuola e marmellate che forse vendono.

Il santuario è semplicissimo, non molto ornato, ha una bella cucina, e la scuola con tre classi, di bimbette che vengono dai villaggi vicini: sono affidate alle monache perché le famiglie povere non potrebbero pagare una scuola, forse diventeranno monache a loro volta. Seguendo il corso dell'Indo, le nostre tre auto passano un ponte con le bandierine delle preghiere, per arrivare a visitare l'importantissimo monastero di Alchei del X secolo.

È il più antico monastero tibetano, diviso in tre gompa, con decorazioni complesse e altezze fino a tre piani per ospitare le altissime statue dei Budda. Concetti e decorazioni complicatissime, anche molto mal ridotte, ma affascinanti. Elementi architettonici lignei con bellissimi intagli, e la cura e l'uso delle onnipresenti albicocche.

Partiamo, e sempre in scenari scoscesi e selvaggi, arriviamo all'oasi del monastero Likir, a 3900 m (!) con alberi carichi di albicocche, mele e noci. Il monastero originario risale al XII secolo, ma venne bruciato e poi rifatto nel XVIII. Ci vivono 100 monaci, e molti nelle loro tuniche rosse li abbiamo visti passare chiamati alla preghiera. Coloratissimo e a suo modo intrigante il mandala all'interno, brutta la statuona del Budda del 2005. Un po' sotto, la casa del Dalai Lama, ricca, grande, sempre vuota, sempre chiusa, aperta solo per le sue visite. Partenza per Leh alle 16:30.

 

La colorata architettura dei monasteri del buddismo tibetano

 

La strada è bellissima al confronto con quelle fatte ieri, viaggia su un altipiano di detriti dei ghiacciai e dei torrenti, inciso dal fiume Indo. Dall'altissimo vediamo la confluenza dello Zanksar nell'indo, e per un po' le sue acque più chiare e verdi non si mescolano con quelle marroni e limacciose dell'Indo. Qui fanno rafting.

Arriviamo a Leh, siamo accolti all'hotel Royal Ladakh con lo scialle augurale di raso candido, e non mi sfugge la verdura fresca dell'orto. Non ho ancora mai parlato di pranzi o cene, ma nell'insieme si mangia benissimo e riusciamo a tenere a bada la voglia di verdura cruda, aiutati dalle ottime zuppette e dai piatti di verdure cotte. Questa sera piacevole cena con i compagni, cresce l'affiatamento, e Angelo vince una scommessa sul programma addirittura contro gli organizzatori del viaggio. Battimani!

 

continua...

 

puntate precedenti:

Kashmir e Ladakh, di Angelo e Mariangiola - I

 

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