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Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - VII

Diario di un viaggio nei tre paesi ricchi di parchi naturali

 

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25° giorno

Notte particolarmente calda, rallegrata da uccelli canterini, dopo colazione e dopo aver pagato il campeggio (estremo relax qui, nessuna fretta, chiacchiere su cosa si fa e come muoversi, bel posto) riprendiamo la A3 in direzione ovest per entrare al Makgadikgadi Pan Game Reserve dal Phuduhudo Gate che pare chiuso. Apriamo il cancello e dai bungalow degli addetti arriva un bambino che ci anticipa l’arrivo della madre, addetta all’ingresso ma ancora in casa, da qui ultimamente non passa nessuno. Non ha una mappa da lasciarci, ci consiglia di fotografare il grande quadro che funge appunto da cartina, tanto dice è impossibile perdersi andando in direzione Khumanga. Il percorso è sabbioso, necessario un 4x4, nella prima parte la vista spazia lontano ma il pan vero e proprio non si scorge, qualche elefante passa a salutarci, mentre si scende troviamo più sentieri che corrono nei dintorni del fiume Boteri. Lo scenario è bello, qualche elefante, ippopotami, kudu e antilopi varie, passiamo dalle parti del Khumanga Wild Life Camp dalle sembianze di abbandono e ci inoltriamo in percorsi verso sud-est, questi da tempo remoto non battuti. Si passa a fatica, del pan non c’è più traccia, arbusti in ogni dove, il pick-up è assicurato per segni e bozzi, avanziamo giusto perché abbiamo in tasca questa sicurezza, non ci si perde proprio perché i sentieri son quasi tutti con poche svolte, basta tenere sott’occhio la bussola con riferimento ovest, punto ultimo per uscire dal parco. Al gate d’uscita si paga rilasciando il permesso ottenuto a quello d’ingresso, occorre attendere l’addetta che è in cambio turno, espletata quest’operazione ne abbiamo un’ulteriore. In questo periodo il fiume si è ingrossato e non è guadabile, nel passaggio c’è una chiatta ma manca l’addetto, suoniamo ripetutamente come ci avevano detto di fare ma nessuno compare dopo 20’. Ritorniamo al gate e seccata l’addetta ci chiama al telefono il barcaiolo, che essendo a pranzo se ne infischia dei potenziali clienti, arriva dopo un’attesa di circa 45’. In realtà Caronte non muove la sua chiatta ma la usa solo come supporto nel tratto più profondo del fiume, occorre entrare in acqua e salire sulle traversine in modo chirurgico, stessa procedura in discesa, con un’auto non alta da terra la vedo dura fare questo passaggio se Caronte non muove la chiatta. Si può pagare con innumerevoli valute, accetta pula, rand, dollari ed euro, il figlio della globalizzazione offre però al cambio attuale il miglior prezzo per i rand e così con l’iperbolica cifra di 180r ci togliamo via quasi 200 km di strada. Nella stagione secca si guada il fiume senza problemi e gratuitamente. Nell’attesa passerella delle splendide jacana africana, un uccello dalle zampe lunghe e coloratissimo, per nulla timoroso. Ora è tutto asfalto, A14 in direzione Rakops dove nella locale stazione di rifornimento c’è solo benzina, così continuiamo fino a Mopipi. Qui facciamo rifornimento (si paga regolarmente con carta di credito) e prossimo passaggio nella città chiusa di Oropa. L’accesso alla città è vietato, ci sono caselli stile autostrada e senza permesso non si va, da qui si entra nell’area dei diamanti, grandissime cave a cielo aperto con montagne che s’innalzano fino a 100 metri, camion giganteschi sul percorso, per raggiungere la A30 destinazione Francistown si percorre una sorta di circonvallazione esterna che rientra in corrispondenza del casello lato est. Poco più avanti ci sarebbe l’accesso sud per Kubu Island ma non tentiamo la sorte, abbiamo compreso che i pan in questo periodo non sono praticabili, non è una mossa di precauzione ma un rigoroso stop per impossibilità oggettiva di attraversarli. Il percorso prevede ancora molti km nel nulla più totale, quando incrociamo la A3 in concomitanza del locale aeroporto siamo ormai in città, ci affidiamo al navigatore per un camping che ovviamente è nel lato opposto della seconda città del paese, con più deviazioni sul cammino per lavori di costruzione di grandi arterie autostradali. Arriviamo al lodge che è giù buio, ci piazziamo a caso nell’area dedicata e procediamo il più veloce possibile a predisporre il pick-up in attesa che le docce si scaldino, la temperatura che si abbassa notevolmente e il vento tengono lontane zanzare e insetti di ogni tipo. Terminata la cena niente di meglio di una passeggiata alla reception per rientrare in contatto col mondo, il wi-fi funziona ottimamente, ci si accomoda su comodissimi divani senza il fresco che ha preso possesso dell’area, volendo acqua minerale a disposizione. Rientriamo in tenda dopo aver percorso 573 km, quasi il top in giornata singola, dovuto anche al fatto che a sud dei Makgadikgadi Pans non ci sia nulla per i viandanti, questo principalmente per tenere lontano chiunque dalla preziosissima area diamantifera. Fuori dal parco tutti su ottimo asfalto.

 

Il Mapungumbwe National Park sorge nel punto in cui confinano tre nazioni

 

26° giorno

Freddo pure di mattina e vento intenso, dopo una frettolosa colazione facciamo tappa allo Shoprite del centro per la spesa degli ultimi giorni. Il grande mall si trova nella zona della stazione dove l’ampio parcheggio trabocca di taxi in ogni dove, visto anche l’afflusso di persone immagino che restino senza lavoro ben poco tempo. Prossima tappa le Lepokole Hills, situate nell’angolo più a est del paese, praticamente una punta infilata nello Zimbabwe. Per raggiungere l’area prendiamo la strada asfaltata per Madzilobge, quasi al confine, da qui si scende a sud su sterrato, che alterna tratti buoni ad altri meno. Si segue la linea di confine ma invece di prendere l’indicazione per Seleni-Phikwe poco dopo il passaggio sullo Shashe River giriamo a sinistra in una strada senza nessuna indicazione, il navigatore la riporta come la più corta per Bobonong, niente più di questo. S’incrocia un villaggio quando la strada gira verso sud, lì d’indicazioni per il Lepokole National Park non ce ne sono, chiediamo in giro e troviamo alcuni ragazzi che ci dicono di seguirli, ma anche loro chiedono in giro. Alla fine c’è un anziano che ha sentito parlare di questo parco e ci indica un sentiero, ovviamente sterrato e in pessimo stato, indicazione est/nord-est e con poca fiducia lo percorriamo. A un certo tratto un ragazzo in bicicletta si fa da parte, chiediamo conferma a lui e ci dice che non solo il parco esiste ma lui è una delle guide. Ci dice di seguirlo, gli offriamo un posto in auto ma non vuole abbandonare la bicicletta, così a passo lentissimo giungiamo dopo circa 8 km dal villaggio all’ingresso dove increduli in tantissimi addetti sono tutti attorno a noi. Per giungere ai dipinti rupestri e relative suppellettili occorre avere una guida con sé, con noi vengono in due, si sale su queste montagne di granito immerse nel verde, senza guida è impossibile capire dove andare. Lasciata l’auto intraprendiamo un percorso circolare e dopo circa 30’ giungiamo nel luogo della più importante pittura rupestre del paese risalente all’età della pietra. Più significative che belle in sé per sé, molto più suggestiva l’ubicazione. Se il tratto in auto era di difficile orientamento, quello a piedi è assolutamente infattibile senza una guida che conosca come le sue tasche ogni remoto passaggio, soprattutto quello che da qui porta a una grotta dove fa ancora bella mostra un antico forno del XVIII secolo. Continuiamo il percorso camminando da una roccia all’altra, quando si giunge in cima si vedono montagne in ogni dove, lo sguardo spazia nel verde infinito di colline. Facciamo tappa anche ad una fortificazione del tempo dello Great Zimbabwe, un granaio di cui però rimangono solo pochi muri a secco. Rientrati alla base dopo circa due ore di escursione, lasciamo il parco e una volta al villaggio prendiamo la strada in direzione sud verso Bobonong dove prima di giungere facciamo tappa per un veloce spuntino. Da qui si dipana una nuova strada asfaltata verso il Tuli Game Reserve, area privata ma aperta al turismo, così descritta. Poco prima di giungere al fiume Limpopo che fa da confine, all’incrocio a T questa nuova e perfetta strada termina e si dirama la B141, sterrata e nella parte verso est particolarmente sassosa. È quella che prendiamo noi per visitare quest’angolo di Africa in direzione del posto di confine di Pontdrif, angolo diviso in tre stati (in pratica la zona nord del Mupungubwe National Park che visitammo ad inizio viaggio ancora in Sudafrica) per arrivare al Solomon’s Wall e finire l’esplorazione alle Motlouse Ruins dove viene segnalato un camping. Tra qualche elefante e più specie di antilopi procediamo spediti, solo che dopo circa 13 km improvvisamente la via diventa un acquitrino, ci impantaniamo dopo nemmeno 30 metri e la giornata diventa ostica. Testiamo da subito che il black cotton è una superficie dove si sprofonda appena il piede tocca il terreno, ci adoperiamo quindi con la pala, ma scavare serve a poco, l’auto in pratica tocca con tutto il pianale il fango, e le ruote scavano senza presa. Nei dintorni, sprofondando con tutto il piede quando va bene, giriamo a procurarci sassi e legni che mettiamo nei crateri creati dalle ruote, impieghiamo due ore per riuscire a far sì che la ruota posteriore sinistra riesca a far trazione su di un legno così da far uscire le altre dai solchi, su quella piccola spinta è un attimo abbandonare questo mare di fango onnipresente. Attraverso a piedi questi fatidici 30 metri che avevo già considerato come casa per questa notte, nella speranza che qualche disperato l’indomani incrociasse questa via, questo passaggio è una gioia unica a questo punto. Ovvio dire che copertura telefonica qui non esista. Quando ripartiamo, coperti di fango da far invidia agli Himba, è già il crepuscolo, ci dirigiamo verso ovest sempre nella Tuli G.R., ma col buio gli animali sono attratti dalla luce dei fari e si bloccano lungo il percorso, in più gli elefanti non gradiscono l’intromissione e cercano più volte di attaccarci. Tutto qui? No, ci sono alcune pozzanghere grandi come laghi, abbiamo timore di rimanere bloccati nel mezzo e quindi per passarle occorre prendere visione della situazione, che si fa scendendo e scrutando a piedi l’area. La disperazione ha già toccato il livello massimo quindi non mi faccio molti problemi a condividere lo spazio con gli animali, verifico se la parte esterna delle pozzanghere sia cedevole o meno oppure se ci siano tracce di passaggi anteriori, la via migliore su dove appoggiare le ruote. Tutto ok in almeno cinque passaggi del genere, ci sarebbe anche da trovare un posto dove passare la notte, i resort pullulano solo che son tutti chiusi. Al Limpopo Lodge però un inserviente già a letto ci da comunque udienza spiegando che più avanti c’è un lodge aperto dove far tappa. Non è proprio vicino, i suoi 14 km si dilatano a una ventina, passato pure il posto di confine di Platjan (dove iniziamo a pensare di fermarci, almeno il luogo è illuminato e controllato) siamo già dubbiosi, invece il Terrafou Lodge esiste, non c’è nessuno ma almeno possiamo prendere possesso di una piazzola e non solo, i bagni dei bungalow sono aperti e così una salutare e corroborante doccia ci toglie di dosso chili di fango e stanchezza. Mentre prepariamo la cena ad un orario impensabile per le abitudini locali passa un addetto che tutto felice di vedere avventori nel deserto assoluto del posto ci dice "tutto OK"! Già, ci pare di essere ritornati sul pianeta terra dopo le avventure del giorno. Purtroppo il passaggio sul Moutlotse River, che di solito è secco e praticabile, in questo momento ha fatto diventare la zona delle Solomon’s Wall una specie d’isola interna al Botswana e reso la nostra avventura impossibile. Terminiamo la giornata dopo 322 km, strade di ogni tipo, dall’asfalto stile biliardo a quelle a tutti gli effetti impraticabili. È già passata mezzanotte quando entro in tenda, mai fatto così tardi in tutti i viaggi in questa parte di continente.

 

Tipico attraversamento stradale in Botswana

 

27° giorno

Colazione con in sottofondo ippopotami irritati, finiamo di sistemare e pulire il fango che ancora ci portiamo dietro, intanto un’addetta arriva con la ricevuta del campeggio, non proprio economico ma àncora di salvataggio preziosissimo. Usciamo e riprendiamo la Tuli Reserves Road direzione ovest, passiamo il posto di confine di Zanzibar proseguendo fino al termine della lunga striscia di terra di confine alla R11 proveniente dal posto di confine di Martin’s Drift/Grobbler’s Bridge. Per arrivare si passano più parti private con controlli dove in realtà gli addetti altro non fanno che aprire e chiudere i cancelli. Nella prima parte, quella selvaggia, s’incontrano ancora elefanti, antilopi ed anche qualche sparuta giraffa, entrati nei grandi possedimenti privati invece gli animali diventano molto più comuni, mucche su tutti, perché l’allevamento ha la meglio. La strada continua a essere pessima, alcuni attraversamenti in questa stagione ancora al limite della praticabilità. Incontrato l’asfalto svoltiamo lungo la A1 verso Mahalapye dove proviamo a cambiare qualche rand in pula, impresa non facile. Veniamo rimbalzati da un cambio a una banca, da questa all’ufficio di un resort che ci instrada nella banca successiva, nessun problema per cambiare ma burocrazia precisissima nei molteplici documenti da riempire. Prossima meta la Mokolodi Nature Reserve situata a sud della capitale, Gaborone, non così facile come immaginabile da oltrepassare. Che si scelga la via con le rotonde che quella coi semafori le code sono interminabili, questo però ci da modo di ammirare la città, moderna, con bella architettura che incorpora svariati riferimenti all’Africa senza mai divenire pacchiana. Anche l’imitazione del Grand Arche parigino ha il suo perché qui, non ci sono zone degradate percepibili a prima vista e tutto risulta in perfetto ordine, traffico a parte. Aggirata la capitale, 7 km a sud si entra nella riserva, dove nei dintorni risiede la Gaborone Vip, splendide ville tra le montagne tra cui il gigante addormentato, Kgale Hill. Al gate ci è fornito il pass, ma tutto va sistemato alla vicina reception, poi nei paraggi c’è un ampio ristorante dove poter trovare un wi-fi (che sarebbe solo x chi consuma) e un negozio per le dimenticanze, rammentate la legna. Le aree campeggio sono lontanissime e di difficile localizzazione, tanto che ci viene assegnato un addetto a farci da guida. Indicativamente 8 km verso la montagna, in questo periodo in cui la riserva è completamente vuota senza sarebbe arduo capire dove andare. Una volta sul posto però c’è il primo problema, le belle piazzole sono al momento sprovviste di acqua, dopo innumerevoli tentativi l’addetto chiede aiuto, circa 30’ dopo giunge un secondo addetto che trova il rubinetto incriminato, risolviamo il primo problema ma non quello di come scaldare l’acqua per una doccia che col sole già tramontato avrebbe fatto particolarmente comodo. Mentre alla reception ci avevano detto che tutto era a posto, gli addetti invece fanno notare che avremmo dovuto comprarci della legna adatta al fuoco, ora la reception è chiusa e alternative non ne abbiamo, la legna in zona è tutta bagnata e dopo circa un’ora di tentativi di farle prendere fuoco utilizzando tutta la carta a nostra disposizione data dalle registrazioni di parchi, campeggi ecc… (e vi assicuro che si tratta di una montagna di carta) il risultato è negativo. La carta brucia ma il legno non prende, il fuoco della carta ha almeno dato un tocco tiepido all’acqua, considerando che la doccia è all’aperto e che col buio fa freddo ho provato di meglio, tenendo pure conto che non ci sono protezione per le piazzole e che gli animali si avvicinano curiosi alle luci. Gli addetti passano la notte all’aperto poco lontano da noi, quella è la loro sistemazione, avrebbero un capanno ma non lo sfruttano, ci sta che sia adibito a rimessaggio di attrezzatura. Ceniamo quando la pioggia inizia a cadere fortunatamente molto tenuamente, le piazzole sono attigue ad un fiume ora secco ma non si sa mai. Percorsi 472 km, quelli su asfalto in ottimo stato, quelli nel Tuli su sterrato pessimo.

 

Il cielo sopra allo Nxai Pan

 

28° giorno

Dopo una notte di pioggia il vento porta con sé il sole e tiene lontano le scimmie, segnalate come particolarmente dispettose in questa zona del parco. Terminata colazione iniziamo la visita della riserva vagando tra i numerosi sentieri, alcune zone completamente allagate. Ovvio che gli animali non devono andare troppo lontano per trovare acqua e quindi vederne diventa improbo, solite antilopi ma per il resto poca traccia d’altro, i sentieri rimangono ostici in qualsiasi area di questo polmone verde della capitale. Così optiamo per lasciare la riserva e visitare, nell’angolo opposto di Gaborone, l’omonima Gaborone Game Reserve segnalata lungo gli assi principali di traffico ma non nei paraggi, nei pressi del Golf Club e del cimitero per intenderci. Qui tutto molto soft come clima, sarà anche per il caldo intenso, ci forniscono una mappa della quale si può fare anche a meno, gli animali sono numerosi ma mancano i felini o i grandi elefanti, in ogni caso per essere un parco praticamente in città aiuta nel familiarizzare coi tanti animali del continente, magari meglio vedere la riserva come uno dei primi obiettivi di viaggio e non ultimo, come nel nostro caso. Nei dintorni, lungo la Brodhurst Drive, una menzione per uno spettacolare campo da basket con palo e anello, niente di più (solo per talenti purissimi), a fianco va detto di un playground vero e proprio. Facciamo le ultime spese dato il vantaggio dei costi contenuti, così al gigantesco e modernissimo mall di Mowana spesa e rifornimento, un’ultima occhiata alla città che si conferma un bel posto per poi prendere la via Tlokweg piena di semafori per i primi 5 km. Ci mettiamo una vita, terminati i robot (come chiamano i semafori in Sudafrica) è un attimo raggiungere il confine Tlokweg/Kopfontein. Le pratiche sono rapidissime, in alcuni casi come per l’auto “fai da te”, timbro veloce sul passaporto in entrambi i lati del confine mentre per il pick up il modulo autocompilato si lascia al passaggio in uscita, tutto qui. Pochi km dopo ne approfittiamo per una sosta cibo veloce e ripartiamo lungo la R49 che costeggia la Madikwe Game Reserve visitabile solo su prenotazione. Non percorriamo la R49 fino a destinazione, perdendoci su strade minori che tagliano la Pienar Nature Reserve in modo da gustarci panorami di un certo livello. Non c’è indicazione per la riserva e nemmeno s’identifica anche chiedendo a chi abita in zona, ma per la vista poca cambia, uno sterrato in ottimo stato che via Ntsweletsoku e Lehurutshe ci porta alla N4 e da lì siamo a Zeerust in un attimo. Tappa per la notte presso Sha Henne’s, luogo dove passai circa 6 anni fa sostando però nei bungalow, ancora identico. Qui si parla afrikaans, bandito inglese ma pure lingue tribali (ai viandanti viene concessa la lingua d’Albione ma dopo essersi espressi in afrikaans almeno 2 volte, un angolo di Sudafrica con equilibri lontani dagli accadimenti degli ultimi 20 anni). Cena senza vento e insetti con cielo stellato, che non sempre significa una nottata serena. Percorsi 377 km, fuori dai parchi su ottime strade.  

 

continua...

 

 

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - I

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - II

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - III

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - IV

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - V

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - VI

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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