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Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - I

Diario di un viaggio nei tre paesi ricchi di parchi naturali

 

1° giorno

Arrivo con buon anticipo all’aeroporto di Bologna per il check-in del volo Iberia destinazione Madrid poiché il check on-line non è stato possibile, non veniva accettata la destinazione finale di Johsnnesburg con questa procedura. Poco male, non c’è nessuno, le pratiche sono velocissime, meno la coda al controllo dei bagagli, ma tutto sommato non c’è da lamentarsi, volo puntuale sia in partenza sia in arrivo. A Madrid, senza bagagli che viaggiano a destinazione, prendiamo le metropolitane per il centro città e in 40 minuti, dopo un cambio a Nuevos Ministerios, ci troviamo non distanti dalla Gran Via. Cielo plumbeo, ci immergiamo nella capitale spagnola passando in Plaza Puerta del Sol dal simbolo dell’orso che bacia il corbezzolo con ben salda l’idea di una sosta al Museo del Jamon in Carrera de San Jeronimo dove si mangia alla barra a prezzi irrisori. C’è la promozione dei bocadillos a 1€, come non approfittarne? All’uscita Giove Pluvio detta legge, raggiungiamo Plaza Mayor piena di bancarelle in preparazione del Natale approfittando dei portici, cosa che condividiamo con una moltitudine di turisti e di indigeni. Quando la pioggia scema e conosciamo ogni vetrina e piastrella della piazza proseguiamo verso il Palacio Real che con le luci della sera e i riflessi della pioggia regala viste preziose. Da Plaza de España riprendiamo la Gran Via che illuminata dà proprio l’impressione di essere una grandissima via e da qui alla fermata della metro per rientrare in aeroporto. Dal terminal T4 prendiamo la metro interna verso il T4S (dopo aver recuperato la carta d’imbarco lasciata nella vaschetta del controllo bagagli, gentilissimi e simpatici gli inservienti) dove attendiamo il volo per Johannesburg potendo sfruttare o la rete wi-fi gratuita per un’ora o alcuni dei pc a disposizione. Il volo di quasi 10 ore parte puntuale, dopo un'ora viene servita la cena (discreta), per chi vuole ci si può dilettare con numerosi film (un centinaio doppiati in italiano), giochi e intrattenimenti vari, volendo anche quanto si ha a disposizione sul proprio smartphone collegabile allo schermo personale, c’è anche il wi-fi, ma non avendolo provato non ho ritorni da fornire. Le luci si abbassano, chi vuole può dormire, da segnalare che nonostante si tratti di un volo notturno non è fornito il comfort kit ma solo le cuffie audio.

 

Le Orlando Towers di Johannesburg

 

2° giorno

Sveglia per colazione circa un’ora prima di atterrare con leggero anticipo, svolte le pratiche d’ingresso ai numerosi posti di controllo, ci incontriamo col taxista inviatoci dalla guest house prenotata via Booking ma prima di partire facciamo scorta di rand a uno dei tantissimi ATM presenti in aeroporto. Il passaggio in auto a prezzo concordato dura 40 minuti, il G-Lodge sorge nei dintorni del celebre Ellis Park, lo stadio del rugby per antonomasia. Questo però non significa che la zona sia serena, anzi, l’hotel è protetto da filo spinato sulla cinta muraria di 4 metri dove svetta la torretta della guardia armata che apre e chiude l’ingresso anche di 30 secondi del taxi. Il G-Lodge fa parte di una catena di più strutture presenti in città, wi-fi funzionante bene nei dintorni della reception, meno nelle camere e personale gentile e disponibile. Ci dicono subito che fuori a piedi non si va, quindi capiamo che per ogni spostamento occorre chiamare un taxi, cosa che facciamo immediatamente per andare all’Apartheid Museum situato nella zona sud della città, proprio di fronte a una delle nuove attrazioni cittadine, il Golden Reef City Theme Park, la storia della corsa all’oro. Noi questa cittadella la saltiamo (rammento a chi proprio fosse così interessato che la vera visita del Sudafrica la feci l’anno precedente, con sosta a Kimberly la capitale della corsa all’oro) per immergerci nel museo, visita ad altissimo impatto emotivo. Il biglietto definisce la porta d’ingresso come avveniva un tempo in base al colore della pelle ma anche all’origine vera e propria della persona, tra spazi all’aperto e molteplici sale interne scorre la storia tra oggetti, fotografie veramente strepitose, mezzi di repressione, video, manifesti e altro, una visita che in questo periodo porta in dote anche una mostra temporanea su Nelson “Madiba” Mandela, una ciliegina sulla torta di questo museo. Impieghiamo oltre due ore per visitarlo, all’uscita sempre in taxi decidiamo di far tappa in quello che si potrebbe definire centro. Ci facciamo scaricare in Mary Fitzgerald Square, scoprendo ben presto che un centro vero e proprio non esiste. Percorrendo Miriam Makeba Street arriviamo in Albertina Sisilu Road, d’interessante proprio nulla: alcuni edifici storici non riportano nemmeno una targa a segnalare quanto accadde, altri sono in ristrutturazione, non ci resta che salire al Top of Africa, il grattacielo più alto da dove vedersi il panorama della città, che poi si rivela l’unione di tante piccole città in un corpo unico e poco unito. L’ascensore va scovato all’interno del KFC Carlton Center, poco indicato, 150r per salire all’ultimo piano e visionare il panorama nei quattro lati. Lasciato andare, il luogo è poco visitato anche se la vista dal 50° piano merita, peccato che non si possa uscire all’esterno e i vetri siano poco puliti, ma il posto pare in decadenza e aver vissuto il suo splendore molti anni prima. Una volta discesi, notando che tutto attorno c’è poco d’interessante, anzi, ceniamo in uno dei mille locali che sono la vera attrattiva per la gente del posto, bianchi e neri, la differenza principale qui in città la fa non il colore ma i soldi. Sono in pratica tutte catene internazionali, optiamo per uno Spur dalle porzioni abbondanti, poi rientriamo in hotel sempre in taxi, che sostano proprio all’angolo del Carlton Center. Di fronte all’hotel c’è un mini market, prima di entrare faccio un salto a prendere una bottiglietta d’acqua con la guardia armata che mi controlla dall’alto preoccupatissimo. La camera è enorme e tutto funziona come si deve, peccato solo la posizione che ci rende non autonomi negli spostamenti.

 

Vista di Johannesburg dal Top of Africa

 

3° giorno

La nostra richiesta di dove poter andare a far colazione nei paraggi al responsabile dell’hotel è accolta con un immediato “ve la preparo io senza costi aggiuntivi”, ottimo. Con un taxista che lui conosce, partiamo per l’escursione a Soweto situata a sud-ovest di Johannesburg, raggiungibile in 30 minuti. Le prime visite, quasi obbligate direi, si svolgono lungo Vilakazi Street in prossimità del Mandela House Museum e della casa dell’arcivescovo Desmond Tutu. La prima, al celebre 8115 di Orlando Street, si trova all’interno dell’abitazione di Nelson Mandela dove visse negli anni ’50 con la prima moglie Evelyn e a seguire con la seconda, la celebre Winnie fino all’arresto nel 1962. Quando fu liberato passò 11 giorni in questa piccola e modesta casa prima di spostarsi in un altro luogo sempre a Soweto, acronimo di SOuth-WEst-TOnwship. A circa 100 metri da qui, raggiungibile passando tra bar e ristoranti posh ai massimi livelli e poco in tono con la storia del luogo si trova la casa di Desmond Tutu che però non è visitabile. La visita che più illumina nei paraggi è all’Hector Pieterson Museum, dove vengono raccolti e narrati gli aspetti della rivolta del 1976. Il nome del ragazzo a cui è intitolato il museo, di soli 13 anni, rappresenta il primo assassinato in una violenta giornata di sangue dove a lui ne seguirono dai 200 ai 500 a seconda dei mezzi di stampa che si leggono. Da qui in avanti partiranno scontri continui per togliere di fatto l’apartheid dal Sudafrica iniziando col togliere l’insegnamento in lingua afrikaans dalle scuole. Tra le tante cose esposte, al di là di fotografie strepitose che esplodono al mondo in maniera profondissima i fatti del giorno, da notare i possenti mezzi dell’esercito usati per andare incontro a tutto, anche persone. All’uscita un salto al playground della scuola è quasi un obbligo, per chi ama vedere i tanti e piccoli campetti da basket in giro per il mondo questo porta con sé una valenza inarrivabile per tutti gli altri. Facciamo tappa in altri luoghi simbolo della storia del luogo come la Regina Mundi Church (sul muro sono ancora ben visibili i fori dei proiettili durante i disordini), il Walter Sisilu Square of Dedication con nel mezzo il Freedom Charter Monument Museum mentre il Kliptown Open Air Museum è chiuso (e direi poco conosciuto, visto che solo per rintracciarlo occorre chiedere info a tante persone). Nei paraggi sorge un bel mercato, poi continuiamo l’escursione andando a zonzo in auto anche se aspetti di quella Soweto tanto nota ai più non ne scorgo, rammento situazioni di degrado molto peggiori in alcune township viste lo scorso anno passando per le periferie di Cape Town Bloemfontein. Una tappa alle Orlando Towers splendidamente dipinte non può mancare anche se non ci lanciamo col bungee jumping, ora attività principale cui le ex torri della centrale elettrica sono destinate. Pian piano prendiamo la via della città con tappa a Soccer City che si trova a mezza via, in realtà costituita dal solo gigantesco stadio arancione a forma di zucca costruito per i mondiali di calcio del 2010. Sorge nel mezzo del nulla, dietro a una collina e quindi nemmeno troppo invasivo, pare a oggi un’astronave aliena nel deserto. Per terminare la giornata ci facciamo portare nella zona di Melville, segnata come la più tranquilla e aperta, il regno degli hippie e dei giramondo. L’area è però piccola, sorge su di una collina e gravita tutta attorno a 7th street, in pratica bar, ristoranti, guest house e qualche negozio di seconda mano, un’aria da tempo che si è fermato, quasi tutti bianchi con camicioni hawaiani e ritmi lenti, lentissimi. Anche qui stanno arrivando a prendere possesso delle attività più redditizie alcuni stranieri, e nel caso dei musulmani capita che non vendano alcool, cosa che fa la fortuna di altri locali come il Buzz 9 (wi-fi free) dove ammazziamo un tardo pomeriggio piuttosto caldo. Tentiamo di visitare Melville, ma in realtà da vedere c’è ben poco, luogo da vivere come una piccola comunità peace&love fuori dal tempo, così ci fermiamo fino a cena, che qui inizia prestissimo, al Nuno’s. Rientriamo in taxi imparando che le tariffe sarebbero standard, quando applicate agli stranieri però, visto che un vero e proprio tassametro non c’è. In serata Melville diviene il ritrovo di tutti quelli che vogliono uscire a divertirsi con qualche soldo nel portafoglio, accettata quella condizione il colore della pelle poco importa in una città che a differenza di Cape Town presenta un’integrazione praticamente inesistente. 

 

Lo stadio simbolo di Soccer City

 

4° giorno

Colazione di nuovo in hotel gentilmente offerta, alle 9 in punto un addetto Avis Safari Rent ci preleva per portarci al punto di noleggio dei mezzi per grandi escursioni, nei paraggi dell’aeroporto. Le pratiche di domenica mattina sono velocissime, Kevin ci illustra il tutto, il pick-up Ford Ranger che per 4 settimane fungerà da casa è di livello certamente superiore a quanto usato negli anni passati tra questi luoghi, il tutto dovuto alle problematiche dello Zimbabwe, dove tra alimentazioni particolari, restrizioni sui mezzi e così via non tutti possono circolare liberamente ed ufficialmente. Serve pure una liberatoria della banca che ad oggi non ha da consegnarci, la recupereremo via mail nei giorni a venire. Spese due ore a imparare come utilizzare le tende, il pannello fotovoltaico, come riporre l’incredibile quantità di attrezzi e utensili al seguito, il comodo fornello a gas, fatto scorta di acqua e anticipato l’addebito su carta di credito dei costi di cauzione (riporto subito, prontamente rimborsati una volta rientrati e controllato il mezzo, per via di una piccola caduta del rand il gioco ha pure reso qualche eurino…) siamo pronti per partire. La prima tappa, su consiglio di Kevin è all’Irene Mall, uno di quei mall che funge da città per gli abitanti benestanti del luogo. In effetti nei giorni precedenti raramente avevamo visto bianchi in città e ci chiedevamo dove fossero. Risposta trovata, in pratica vivono nei giorni di festa in questi luoghi da mattino a sera, più che centri commerciali piccole città a ingresso ristretto però, col parcheggio a pagamento. Comprato tutto quanto necessitiamo per essere completamente autonomi (acqua e cibo, ma anche il completamento della vita da campeggio come mollette e filo da stendere, asciugapiatti e spugne) partiamo verso la prima meta di giornata, la Cradle of Humankind, denominata in questo modo poichè si tratta di una delle più importanti aree paleontologiche del mondo, celebre per gli ominidi di Sterkfontein. Qui nel complesso principale di Maropeng, accolti da una gigantesca scultura a forma di DNA entriamo in un corposo museo adatto a grandi e bambini dove, dopo aver visionato fossili di dinosauri, si gioca lungo un percorso acquatico dell’era glaciale e si entra in un buco nero, per tornare presto seri sull’evoluzione del mondo. Ha una valenza a sè pure lo strano edificio in cui tutto questo è ospitato, dalla sommità la vista spazia lontano, e lontano dobbiamo andare per trovare il primo campeggio del viaggio nel Krugersdorp GR. Prima cena da campo dopo una buona doccia nelle strutture del campeggio lontano dalla reception in un bel parco dove stazionando per la notte è compresa nella tariffa la visita l’indomani. Percorsi 183 km, tutti in ottimo stato, la maggior parte su grandi autostrade a pagamento.

 

continua...

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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