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26° giorno
Ci prepariamo la colazione in cucina, roba da lusso per noi, dopo una nottata di lotta con le zanzare. Fa caldo sull’altipiano, partiamo subito immettendoci sull’A1 verso la capitale, Maseru, con un traffico da giorni di festa. La città, alquanto disordinata, sorge metà verso la collina e l’altra parte verso sud da dove si dipanano le poche strade di questo piccolo e montuoso stato. Prendiamo la strada interna ora asfaltata per Thaba-Bosiu, montagna simbolo della nazione che nei paraggi ha alcune scenari tra i più affascinanti. Passato appunto la piatta montagna lungo vie sterrate, si accede ad alcuni minuscoli villaggi tra i quali Qiloane, e proprio lì si annidano alcune montagne sculture uniche, una delle quale leggenda narra, ha dato l’origine al copricapo simbolo del Lesotho, ed effettivamente la similitudine c’è. Al di là di quest’aspetto, la vista tra queste montagne è super, canyon tra canyon, pare di stare in un film di John Ford aspettando una diligenza attaccata dagli apache. Da qui tagliano verso sud destinazione Roma, la cittadina di suo ha ben poco di caratteristico se non trovarsi tra canyon, se già non è male quello che si attraversa arrivando, quello all’uscita è spettacolare e alla sinistra, prima di giungere al passo, se ne apre uno ancora più incredibile. Che meraviglia questo Lesotho di cui poco si conosce, lungo la strada s’incontrano auto ma anche molta gente che gira a cavallo. Proprio in centro a Roma un bel campo da basket con un gigantesco albero a fare ombra fin sopra a un canestro. Da qui ritorniamo verso Maseru ma prendiamo la deviazione a sud prima dell’aeroporto che taglia per il villaggio di Mokema, un ulteriore taglio spezza questa piana dove praticamente nel nulla andiamo orizzontandoci più a sentimento che ascoltando il navigatore che segnala vie che o non ci sono o non sono battute da tempo. Andiamo di pastore in mandriano, tutti con i loro copricapo simbolo, quello che nella città più sviluppate nessuno più utilizza qui invece è un riparo quanto mai utile sotto a un sole pesante, peccato che trovare uno di questi copricapo sia impossibile (magari in capitale, chissà), per tornare sulla statale A2 recentemente asfaltata che sale e scende tra canyon senza soluzione di continuità ed estensione dai colori intensi. Facciamo tappa a Morija, piccolo villaggio ben conservato dove visitiamo il locale museo che è pure il museo nazionale del Lesotho, dove si possono recuperare molte informazioni sulla storia e sugli animali, qui apprendiamo dell’esistenza del dinosauro Lesothosauro, un erbivoro di non oltre 2 metri cui abbinare buona parte delle impronte scorte a Tsikoane. Qui in zona troviamo un posto all’ombra per rifocillarci in vista di un pomeriggio impegnativo. L’A2 ad un certo punto va abbandonata per prendere a sinistra dove termina l’asfalto, la strada per il paradiso è lastricata di buche e massi in ogni senso, perché se raggiungere il passo Gate Of Paradise (2.001m) non è nemmeno così complesso, la discesa verso Malealea è di ben altro tipo. Siamo nel cuore della nazione diretti a un’antica stazione commerciale originaria dell’inizio del 1900 fondata da un cercatore di diamanti. Ora questa stazione è stata trasformata nel Malealea Lodge con splendide piazzole per campeggio, ma prima di arrivare occorre guadagnarsi quest’accesso, pochi chilometri distano dal passo (direi 5) ma impieghiamo quasi 45 minuti, compresa doverosa sosta a un incrocio che segnala indicazioni per tutto il mondo… All’arrivo siamo accolti ottimamente dai gestori, il figlio che ora ha in carico la struttura e che utilizza molti abitanti del posto nello sviluppo e nel servizio di guide ci mostra tutte le piazzole a disposizione, ci fornisce tantissime indicazioni per esplorazioni in autonomia col nostro mezzo, per chi vuole ci sono giri a cavallo, trekking di più giorni, caverne con incisioni rupestri san, ma anche l’opposto, relax con sosta in piscina, ristorante elegante, wi-fi e passaggi interni con animali da aia che vivono qui all’interno. Partiamo subito per l’escursione alle Botso’ela Waterfalls, che al di là delle cascate in sé (difficilmente troveremo acqua, ci avvisano subito) rappresenta una bella vista degli altipiani centrali, in pratica oltrepassiamo il canyon su cui si affaccia il lodge, ma per farlo impieghiamo tra andata e ritorno oltre tre ore, il percorso è veramente ostico, 4x4 quasi sempre inserito, passaggi da ridotte, ma tutto molto spettacolare, come la vista poco prima del tramonto dal versante opposto al lodge col canyon rotondo che lo cinge. Ma prima di questo affrontiamo la strada con l’unica indicazione trovata, tenete a destra a ogni bivio. Qui non esiste nessuna indicazione, pochi villaggi, più sparuti gruppi di baracche che altro, alle fonti tanta gente armata di qualsiasi contenitore possibile per procurasi acqua, passato un gruppo di case alcuni ragazzini vogliono assolutamente portarci alle cascate, noi non saremo subito così interessati, ma in pratica ci fanno deviare e iniziano a correre a perdifiato lungo la discesa. Impiegano molto meno tempo loro abili nell’impresa e a conoscenza di ogni taglio del percorso che noi in pick-up, quando arriviamo al fondo della valle, arida e senza un briciolo di verde, la ragazza più grande che parla un po’ d’inglese ci introduce in un sentiero ovviamente non segnalato che porta alle cascate, ma tutta l’area è completamente secca, lo scenario è di tutto rispetto ma la cascata non c’è. A quel punto non ci resta che risalire, non ce la sentiamo di lasciare tutti quei bambini quaggiù e li carichiamo tutti, pigiati all’ennesima potenza risaliamo il sentiero in un silenzio dato dalla loro incredulità del passaggio ricevuto, la ragazza ha almeno la voce per dire dove lasciarli oltre a ringraziare continuamente. Probabilmente sono abituati a questa scampagnata per recuperare qualche rand, cosa che nel nostro caso col favore ricevuto potrebbe non essergli venuta in mente di chiedere. Gli offriamo anche qualcosa da bere e da mangiare ma son diventati così timorosi che non accettano. Riprendiamo il cammino del ritorno con doverosa sosta al cartello che annuncia la direzione di Cape Town e Johannesburg, oltre a Tokio, Oslo, Rio, Amsterdam ecc., che viste da qui appaiono più lontane della luna. Rientriamo al lodge giusto in tempo per avere ancora un po’ d’acqua per la doccia, mentre nel patio antistante al ristorante si sta esibendo il coro del villaggio, nel bar-ristorante si può tentare di utilizzare il wi-fi per le necessità basilari. Verso sera il lodge si anima, chiunque passi da queste parti deve fare forzatamente tappa qui, se nella parte inferiore c’è un gruppo in festa nella parte superiore pian piano sorge una piccola cittadella creata da un numeroso gruppo di turisti di Nomad, buona parte dei quali namibiani sorpresi nel vedere una loro auto proprio qui, peccato che la nostra auto sia sì targata Windhoek ma a parte quello di namibiano non vi sia altro. Buona scusa comunque per scambiare un po’ d’impressioni. Cena senza grandi problemi, non è freddo, non tira vento, unico inconveniente non poter lavare le stoviglie e dover rimandare il tutto all’indomani mattina. Percorsi 226 km, strade di vario tipo, buon asfalto e pessimo sterrato.
Strada nell'area di Qiloane, Lesotho
27° giorno
Sveglia di buon mattino in modo da sfruttare il breve periodo con acqua corrente, terminata colazione e il lavaggio completo delle stoviglie lasciamo, adimalavoglia va detto, Malealea via passo Porta del Paradiso. Una volta rientrati sulla B25 invece di rifare la strada del giorno precedente optiamo per allungare la permanenza in Lesotho e puntiamo a sud-ovest, notando che dopo poche centinaia di metri l’asfalto appena riconquistato termini. L’idea è di percorrere questi splendidi luoghi fino a Mohales Hoek, non abbiamo però fatto i conti con la strada che non ha nulla della B25 del giorno prima. Saliamo e scendiamo canyon senza mai scorgere la fine, spettacolari ma strada in condizione pessima, saranno quasi 70 km durissimi, attraversando minuscoli gruppi di baracche con molta gente al pozzo municipale a recuperare acqua, mentre altra è elegantemente vestita per la giornata di festa. In questo caso la tipica coperta che portano addosso viene riposta, non sempre il cappello simbolo fa mostra di se, ma c’è molta più eleganza anche in chi incontriamo a piedi nel bel mezzo del nulla senza che si capisca dove possano andare. Durante un tratto in discesa buchiamo nuovamente, questa volta però la foratura non ci permette di continuare e dobbiamo sostituire la gomma. Chiunque ci veda si ferma e ci da una mano, così l’operazione diventa meno complicata e faticosa e si trasforma in una festa, anche se nessuno riesca a capire da dove proveniamo, l’Italia qui rimane qualcosa di sconosciuto. Per l’aiuto non vogliono nulla, nemmeno una birra, al massimo qualcuno chiede una sigaretta, quando ripartiamo c’è ancora una parte di sterrato ma il peggio è alle spalle, ritroviamo l’asfalto dell’A2 dopo aver passato Mohales Hoek, e ora andiamo verso nord a Mafeteng per raggiungere il passaggio di frontiera lungo l’A20 di Van Rooyensnek Gate. Pratiche di uscita veloci, al solito tutto scritto manualmente, quelle d’ingresso in Sudafrica sono più lunghe solo perché l’addetta leggendo la nostra provenienza ci chiede un sacco di cose sull’Italia che sogna di visitare. C’è da dire che da qui passano pochi avventori, nel periodo in cui siamo stati presenti noi non abbiamo incrociano nessuno. Caldo, decisamente molto caldo pure qui. Prendiamo direzione Bloemsfontein, la capitale giudiziaria, percorrendo la R702, non un’autostrada ma almeno 100 km senza una curva e senza traffico, in seguito aggiriamo la città dove svettano un grande carcere e la tristemente nota township di Manguang per immetterci nella N8 destinazione Kimberley, con sosta alla prima area alberata incontrata. Arriviamo nella capitale dei diamanti in una domenica pomeriggio caldissima, sarà per il caldo o per la festività ma tutto è immobile, non c’è anima viva per le strade, i vecchi pub che resistono dal tempo che fu dei cercatori di diamanti sono tutti chiusi, qui è più deserto di un deserto vero e proprio, di aperto c’è solo la grande miniera che però vogliamo visitare in condizioni più idonee la mattina seguente. Passiamo così per la City Hall, per il monumento a Cecil Rhodes comprendendo fin da subito come questa sia terra a dominanza boera, chi altri terrebbe in città un monumento simile? L’ordinato campeggio Open Mine Caravan Park è aperto ma non presidiato, ci sono gli annaffiatoi funzionanti, i bagni sono impeccabili ma sarà possibile rimanere? Nel dubbio stiamo perché dopo esserci informati non troviamo un’alternativa e l’addetto al parcheggio del Big Hole Complex ci dice che possiamo rimanere, anche se una coppia australiana soggiunta in seguito preferisce non fermarsi. Preso posto rigorosamente sotto agli alberi per non finire al forno col caldo che fa, ci prendiamo un po’ di relax mentre di fronte si sentono i rumori del locale skate-park, frequentato dai pochi giovani che sfidano il sole. Fa caldo anche di sera quando dopo aver visto svariate auto entrare nel campsite più per trovare un angolo appartato che per pernottarci, incontriamo un addetto alla vigilanza che ci tranquillizza sulla possibilità di restare qui, regolarizzando il tutto l’indomani quando arriverà l’addetta. A tarda ora si presenteranno anche altri avventori, non saremo gli unici come invece accaduto a Pilgrims Rest. Percorsi 419 km, la parte sterrata in Lesotho pessima, il resto in ottimo stato.
Paesaggio nei dintorni di Malealea, Lesotho
28° giorno
Forte vento di mattina, scaldarsi un caffè un’impresa ma ci riusciamo, arrivata l’addetta regolarizziamo la nostra presenza per spostarci appena fuori nel parcheggio del Big Hole Complex, la più grande buca mai scavata a mano del mondo, da dove è stata estratta la più grande quantità di diamanti di sempre, oltre 14 milioni di carati. Penso che chiunque abbia sentito parlare di diamanti abbia accostato questi alla De Beers che fu di Cecil Rhodes, che proprio qui fece la sua fortuna. Ora il complesso non è più attivo ma lo si può visitare anche se la gigantesca buca (1,6 km di circonferenza) in buona parte è piena d’acqua. S’inizia da un filmato che ripropone la storia e i vari passaggi di proprietà della miniera, le dure condizioni di vita ma anche la corsa alla caccia di diamanti che portò un numero impressionante di gente in questo posto lontano da tutto. Si prosegue camminando su di una passerella sospesa nel vuoto sopra della buca per entrare in seguito nelle viscere della terra con una ricostruzione della miniera e sbucare in seguito nel museo dove, sorvegliati, si entra in un caveau dove tra i vari pezzi pregiati fa bella mostra anche il più grande diamante del mondo. Kimberley lega la sua storia ai diamanti, tutto esisteva in questa funzione e pure ora molto gravita agganciato a questa storia, come gli storici pub dove è permesso entrare a cavallo. Nel complesso è stata spostata buona parte del paese che fu, si può così girare tra botteghe, ristoranti e pub dell’era gloriosa, ai ristoranti ora funzionanti si può accedere senza dover pagare il biglietto d’accesso. Finita questa visita l’interesse per Kimberley è terminato così dopo aver fatto spesa, riparato la gomma da un gommista vero e proprio e ripristinato il carburante prendiamo la N12 verso sud-ovest iniziando ad attraversare spazi namibiani, nel bel mezzo di un uragano che ci costringe a rallentare vistosamente fino a fermarci. Usciti dalla tormenta ne approfittiamo per una sosta pranzo tra Strydenburg e Britstown, dividendo la piazzola con gli autisti di un camion che vedendo il mal tempo arrivare sistemano al meglio il carico dopo aver appreso da noi le pessime condizioni che dovranno affrontare. Il cielo rimane coperto e il vento fortissimo, buon per noi perché spazza le nuvole e quando lasciamo il Northern Cape per entrare nel Western Cape lungo la N1 il sole ha ripreso possesso del territorio e ci accompagna alla prossima meta che troviamo uscendo da Beaufort West dove l’autostrada passa per il paese tanto da approfittarne per rabboccare il gas della bombola da cucina. Deviamo a destra per l’ingresso del Karoo National Park dove troviamo posto nello splendido campeggio interno con presenza di tartarughe giganti, mentre gli animali più grandi non possono entrare perché tutto attorniato da reti di protezione con fili elettrici. La vista sulle montagne stile Table Mountain con cielo blu intenso è fantastica, anche qui mancano solo gli indiani pronti a partire alla carica. Ci godiamo il tramonto quando il vento inizia ad alzarsi impetuoso tanto da renderci problematico cucinare, fortuna che ogni piazzola è dotata di una struttura robusta per il barbecue, di bidoni con ampi coperchi, tutto diventa utile per proteggere la debole fiamma dal vento. Dobbiamo utilizzare al meglio tutti i tiranti della tenda per evitare che sbatta eccessivamente durante la notte lasciando al contempo aperte le feritoie perché nonostante il vento fa caldo. Percorsi 500 km, tutti su strade asfaltate in ottimo stato.
Ragazzino sulla strada per Mofoka, Lesotho
29° giorno
Il vento si è placato, lo si percepisce dal canto multiplo di un’infinità di specie di uccelli, terminata colazione partiamo nell’esplorazione del parco salendo subito lungo lo spettacolare scenario del Klipspringerpas. Questa prima parte è percorribile con qualsiasi mezzo, ma dopo l’area di picnic di Doornhoek spazio solo ai 4x4, meglio se robusti. Gli animali sono pochi e paurosi, iniziamo a vedere gli orici che fino ad ora non avevano dato traccia di presenza, la zona seppur tra le montagne inizia a presentarsi come predesertica, le formazioni rocciose sono quanto di meglio il parco possa regalare e così decidiamo di dedicare più tempo del previsto per visitarlo fino alla remota area del Klipplaatsfontein, avventura pura in un parco praticamente vuoto. Poche le indicazioni, preziosissima la mappa fornita all’ingresso che nel dubbio riporta le coordinate di tutti i bivi. Percorriamo poca strada ma impieghiamo quasi cinque ore per completare il periplo del parco, rientriamo al campeggio dove facciamo sosta per goderci un’ultima visione delle montagne addentando uno a caso degli scarsi formaggi locali prima di riprendere la marcia per una destinazione insolita, Southerland, la città delle stelle. Sempre lungo la N1 fino all’incrocio di Matjiesfontein dove imbocchiamo la R354 tutta asfaltata ma con lunghi tratti soggetti a lavoro di riasfaltatura per arrivare dopo 110 km di piacevoli pianori e un canyon a Rooikloof nella capitale delle stelle, di nuovo nel Northern Cape. Southerland, situata lontana da ogni più remota cittadina, si trova in mezzo alle montagne, su di un altipiano in una zona dove in inverno la neve cade ogni anno. Il cielo terso, la mancanza di umidità, la rendono un luogo ideale per osservare le stelle, di conseguenza c’è gente che le dedica una visita, passando per un centro città che spazzato dal vento pare il set di un film western abbandonato da tempo. Il riferimento del paese è un emigrato tedesco, Jurg Wagener, che ha fatto della sua passione una sorta di attività assieme alla fattoria che porta avanti. Ci riceve lui in persona per presentare il suo piccolo ma ottimo campeggio e per proporci l’attività prioritaria, la visione notturna delle stelle utilizzando i suoi potenti telescopi. Appuntamento alle ore 20, tempo per riprendere contatto con la realtà e per una doccia, poi puntuali si presenta un buon numero di avventori per iniziare la serata. La prima parte è dedicata all’illustrazione in sala di cosa si potrà vedere per capire meglio stelle, buchi neri e galassie, poi passiamo alla pratica nella parte all’aperto dove conserva cinque telescopi che guida a seconda del tempo e di quanto vuole illustrarci o la gente richiede. Possiede anche un incredibile puntatore laser che spara diretto fino alle stelle, chissà che danni potrebbe fare un malintenzionato con uno strumento del genere. La serata purtroppo vede l’arrivo di qualche nuvola di troppo così alcune stelle o galassie non sono visibili, spettacolo interessante anche se agli occhi di un totale inesperto come me potrebbe dirmi qualsiasi nome che non farei differenze. Il vento è intenso e inizia a far freddo, l’escursione termica in queste giornate elevatissima, finiremo la serata cenando coperti con felpe nel silenzio più totale col fido cane sempre in nostra compagnia. Fatichiamo ad utilizzare a dovere il fuoco causa vento anche se le piazzole sono tutte attorniate da alberi che ne limitano la forza, ma ci permette di passare una nottata fresca dopo aver percorso 452 km tutti in ottime condizioni a parte quelli nel parco.
Paesaggio nel Karoo National Park, Sud Africa
30° giorno
Sveglia più tardi del solito e colazione in stile sudamericano, la prima visita di giornata non può avvenire prima delle 10, quindi relax. Lasciamo Southerland per dirigerci lungo la R356 al SAAO dove si trova il telescopio SALT, posto su di un’altura dove si trovano svariati telescopi compreso il secondo telescopio più grande al mondo, dotato di una lente di 11 metri di diametro composta da 91 singole celle orizzontabili singolarmente. La visita andrebbe prenotata ma nessun problema a unirci ad altre persone già presenti, partiamo con una parte didattica in aula e al museo per poi salire sulla montagna dove sono posti i vari telescopi, molti dei quali in gestione a nazioni straniere (U.S.A., Russia, G.B., India) e controllati da remoto. Visitiamo il più vecchio in uso al Sudafrica del 1962 per passare infine al SALT. Qui stanno installando la parte principale dello SKA, quello che diventerà il più grande radiotelescopio del mondo. Non accediamo al telescopio vero e proprio, o meglio lo facciamo solo al primo, ma vediamo immagini solo sui computer, ci viene detto che ormai nessuno osserva il cielo direttamente dalle lenti come siamo abituati a pensare, terminato questo sopraluogo lasciamo l’area godendoci viste che spaziano a 360° con una profondità senza fine. Si scorge molto bene anche il più grande vulcano della nazione, il Salpeterkop, ultimo ad essersi estinto anche se parliamo di un numero elevatissimo di anni, ancora interamente coperto di lava solidificata. Qui al centro ci dicono come arrivarci ma anche che per visitarlo occorre un permesso, troppo tempo per noi, ci basta osservarlo da questa posizione perché in seguito dalla strada principale di ritorno non si scorgerà più. La destinazione di giornata è Paternoster nel Cape Columbine, promontorio della Western Coast sull’Oceano Atlantico, ma raggiungerlo lungo le strade asfaltate solite è banale e poco interessante, così decidiamo di tagliare per vie meno battute. Imboccata la R354 passato il canyon la lasciamo poco dopo per un lungo tratto di sterrato nel nulla, l’infinito come compagna di ventura. Da qui fino a Ceres lungo la R356 non c’è nulla, l’immagine tipo sono i pozzi d’acqua con mulinello che gira e qualche rudere dove se un mandriano si perde all’inseguimento di pecore o mucche può alla meno peggio passare la notte. Il sole è cocente, troviamo un albero dopo tanti chilometri sotto al quale ripararci per una sosta di cibo ma soprattutto liquidi, in questi ultimi giorni di grande caldo anche senza muoversi molto a piedi il corpo richiede numerosi litri d’acqua. Arrivati a Ceres ritorna la civiltà, affrontiamo il Michell’s Pass già su asfalto, le valli si riempiono di vigneti, il nuovo eldorado dell’area, poi passata anche questa zona sempre per percorsi minori di nuovo non asfaltati puntiamo a nord-ovest affiancando coltivazioni di grano spezzate solo da centinaia di pale eoliche. Il vento è fortissimo, quando giungiamo nella caratteristica Paternoster anche solo scendere per una bella foto della costa con la bassa marea, le barche ferme sulla sabbia e le case bianche dei pescatori sullo sfondo è un’impresa, ma niente ancora rispetto a quanto dovremo affrontare. Scegliamo di fermarci all’interno della Cape Columbine National Reserve precisamente al campeggio di Tieties Bay, un parco sabbioso direttamente sull’oceano. Più che un campeggio vero e proprio sono spazi tra le dune e le onde con qualche servizio in qua e là. Noi optiamo per la terza piazzola, il fascino del luogo selvaggio trascende il luogo ed è realtà vera e propria, il vento spazza via qualsiasi cosa e gli schizzi delle enormi onde che s’infrangono contro gli scogli arrivano alle tende, ma è parte del bello del posto. Salire alle dune significa ricevere pugni in faccia dal vento, ma lo spettacolo lo merita, dopo aver recuperato una bella doccia calda (occorre andare ai bagni della seconda spianata incontrata) cerchiamo di creare una protezione attorno al pick-up dove sistemare la bombola del gas per preparaci la cena, ma anche così l’impresa è dura, ci accontentiamo del meno peggio che possiamo ottenere. Il rumore costante delle onde ci accompagna come una dolce ninna nanna, cullati dall’oceano possiamo raccontare. Per arrivare può bastare anche un mezzo 2 ruote motrici, l’importante è non addentarsi nei solchi più profondi lasciati nella sabbia da chi è già passato, ma un 4x4 è caldamente consigliato. Percorsi 406 km, su strade miste, con passaggi altamente affascinanti.
continua...
Sudafrica e stati annessi - II
Sudafrica e stati annessi - III
Sudafrica e stati annessi - IV
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Luca