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1° giorno
Effettuato il check-in on line nelle 24 ore antecedenti il volo, al banco bagagli dell’Emirates dell’aeroporto di Bologna la fila è praticamente inesistente (non così per chi non aveva fatto il check-in on line), così in un attimo registrano gli zaini, ci forniscono le carte d’imbarco (quelle stampate on line si possono anche non portare, non serve nemmeno il .pdf su qualsiasi tipo di device, il check-in on line si collega al numero di passaporto), la carta frequenty flyer dove accumulare miglia e un buono pasto da utilizzare in attesa a Dubai. Le procedure di controllo sono veloci e altrettanto velocemente saliamo su un nuovo Boeing 777-A300 destinazione Dubai dove atterriamo dopo 5:30 ore, pasto e rinfresco già consumati. A disposizione svariati intrattenimenti sullo schermo personale, compresi oltre 500 titoli di film (almeno un centinaio in versione italiana) ma se non c’è nulla di proprio gusto vi è un ingresso usb per le proprie memorie. L’aeroporto di Dubai, che sarà il massimo come centro commerciale, non è però particolarmente funzionale: la maggior parte dei voli non è connessa alla struttura principale tramite maniche, occorre prendere bus che impiegano circa 20’ per arrivare a destinazione, tra curve, incroci, frenate che mandano a terra più persone. Controlli in arrivo velocissimi, poi vista la lunga attesa prendiamo visione dell’aeroporto e dopo meditata scelta optiamo per spendere il nostro voucher al Thai Express. Il wi-fi dell’aeroporto, funzionante mediante registrazione gratuita, offre un’ora di connessione, volendo ci sono anche alcuni pc a disposizione che funzionano con analoga modalità. Ci facciamo un giro dell’aeroporto, poi trovando libere comode poltrone (nella zona C ma non lungo il corridoio principale) ci riposiamo per non dire che ci addormentiamo.
Tramonto da urlo dalla Table Mountain
2° giorno
Il volo Emirates per Cape Town ancora con Boeing 777-A300 è puntuale, arriviamo dopo 9:05 ore e 7.650 km, avendo mangiato più volte ma, non essendo un volo notturno, non viene offerto il comfort kit, almeno non in classe economica. Intrattenimenti di ogni tipo a bordo, il viaggio passa senza eccessivi problemi. All’arrivo le pratiche d’ingresso portano via quasi un’ora non tanto per la lunghezza ma per il fatto che oltre 500 persone nello stesso momento con soli 4 sportelli a disposizione necessitano di tempo. Effettuato un prelievo da uno dei tanti ATM, preferibili agli sportelli di cambio lunghissimi nell’operazione, prendiamo il taxi che l’ostello ci aveva prenotato, prenotato in precedenza visto il periodo di vacanze dei sudafricani. Il posto è lungo Long Street, la via del divertimento, se cercate calma e tranquillità statene lontani, almeno a dicembre. Da qui ci dirigiamo a piedi a far serata al Victoria&Alfred Waterfront accorgendoci in breve che lasciata Long Street nessuno si muove a piedi. Il V&A è la zona del porto, vivacissima di sera soprattutto da parte delle famiglie in vacanza, zeppa di negozi e ristoranti, tutta illuminata a giorno, con una brezza che arriva dal mare in forte contrasto col caldo del pomeriggio. Si passa da una zona all’altra tramite pontili mobili, l’area già notevolmente sviluppata è comunque in forte espansione e tante gru stanno a fianco di enormi grattacieli in costruzione. La vista da qui è incantevole, con la Table Mountain che anche di sera regna sovrana sulla città. Ristoranti affollatissimi, dopo aver perlustrato in lungo e largo l’area optiamo per un Spur’s e rientriamo quando una felpa diventa consigliata data la temperatura. Siamo praticamente gli unici a muoverci a piedi, ci sono giusto due ragazze che conoscono la zona e ci insegnano a tagliare il percorso lungo ponti pedonali per approdare in Long Street dove la festa è mobile e senza fine. Reduci da una notte non al massimo in aeroporto, vorremmo provare a dormire prima dell’alba, ma la festa al backpackers impazza fino almeno alle 4, così dormire non è per nulla semplice, ma l’impatto con Cape Town non si può certo definire negativo, anzi.
Cape Town di notte
3° giorno
Sveglia di buon mattino per sfruttare al massimo la giornata, mentre alcuni reduci dalla serata sono in qualche angolo del locale a riprendersi. Dopo colazione direzione Castle of Good Hope dove arriviamo avendo attraversato i Company’s Gardens e la Grand Parade, una piazza di per sé senza nulla da dire, non fosse per l’alto valore simbolico perché qui pronunciò il primo discorso da uomo libero Nelson Mandela. Il castello è una costruzione dovuta agli olandesi, in larga parte ricostruito e utilizzato dall’amministrazione locale, ma nel patio principale si può ancora vedere un cannone che spara (a salve, ma attenzione al boato), vi si trovano due musei dove fare pratica con la storia del Sudafrica e con l’epopea delle lotte anglo-boere-zulu, immancabile la salita ai bastioni dove da quelli frontali si gode un ottimo panorama della città e delle montagne. Da qui, gironzolando a piedi, arriviamo al Nelson Mandela Gateway, da dove nel primo pomeriggio salperemo per Robben Island. Vediamo il V&A Waterfront alla luce del giorno, poi alle 13 - nonostante la prenotazione effettuata con largo anticipo - affrontiamo un’interminabile coda per salire sulla nave destinazione appunto Robben Island, la famigerata prigione che ha ospitato numerosissimi prigionieri politici della lotta per l’indipendenza contro l’apartheid, fra cui Nelson Mandela che qui è stato trattenuto per 18 lunghissimi anni, dei complessivi 27 trascorsi in cella. Ora il luogo è nella lista dei siti patrimonio UNESCO dell’umanità, lo si raggiunge in circa 30’ attraversando un tratto di mare molto mosso in compagnia di qualche balena, le ultime presenti nel periodo. All’arrivo si viene caricati su pullman che portano a un giro dell’isola con sosta a un punto ristoro (prezzi modici per tutto quanto a disposizione) sul versante rivolto al continente da dove si gode una suggestiva vista della città e della Table Mountain. Una volta entrati nella prigione veniamo presi in carico da un ex detenuto che, con uno slang personalissimo, spiega fatti e misfatti del tempo che fu, ci mostra refettorio, celle, elenco dei personaggi più noti poi lascia un po’ di tempo a disposizione per terminare il percorso e rientrare al porto a piedi, porto che è decorato con numerosi murales a ricordare la tremenda storia del luogo e della nazione, coinvolte figure politiche sudafricane ma anche dei vicini stati ora indipendenti, come Namibia e Botswana. Sull’isola anche ora in piena estate tira un forte vento che abbatte la temperatura, pensare alle sofferenze dell’inverno in questo luogo con una coperta e poco più vien male. Il rientro in nave è caratterizzato da una frenata improvvisa, una balena poco attenta alle precedenze ha attraversato all’improvviso e per non incrociarla più persone della nave son finite a terra, ma lo spettacolo dell’enorme balena ritardataria va sopra a tutto. Dal Waterfront con un taxi ci facciamo accompagnare alla Lower Cabloway Station da dove salire alla Table Mountain, idea che condividiamo con un mare di persone. Terminata la coda di circa 90’ saliamo pure noi sulla grande funivia rotativa, fatta in maniera che tutti possano godere del panorama. All’arrivo pare che mezza Africa si sia data appuntamento quassù, del resto il tramonto spiegherà il perché. I tanti sentieri sono invasi da gente pronta per questo strepitoso spettacolo della natura dotati di cibo e bevande, il tramonto con la città da un lato e le montagne increspate fino al Capo di Buona Speranza dall’altro è qualcosa da brivido. Si rimane incantati, l’orario dell’ultima discesa che dice ore 20:30 è disatteso da quasi tutti, così quando il buio è già totale e il freddo pungente rimaniamo a lungo in fila arrivando all’uscita della funivia alle 22 passate. Da lì in taxi rientriamo in Long Street dove facciamo tappa in un ristorante cubano proprio di fronte al backpacker, ce la prendiamo comoda tanto pure questa sera c’è fiesta e dormire subito è un’utopia. Per entrare al backpacker per i non residenti si paga pure, problema che non esiste per noi, certo l’età media di chi frequenta il luogo è bassissima ma nessuno sembra incredulo nel vederci, notiamo fin da subito che qui lo strano non è dato dalle frequentazioni in età diverse ma da etnie distinte. I bianchi fanno gruppo con i bianchi, i neri con i neri, e questo perché siamo nella cosmopolita Cape Town, in seguito si vedranno i bianchi in vacanza far festa mentre i neri sempre al lavoro, un’integrazione ancora molto lontana.
I pinguini di Boulders Beach
4° giorno
Sveglia di buon mattino, colazione e dopo aver recuperato gli zaini un addetto della Britz alle 8:45 è già pronto per portarci a ritirare il mezzo con cui gireremo il sud dell’Africa. Il luogo dove questi mezzi escono si trova di fronte all’aeroporto (Britz, Maui, Kea fan parte dello stesso gruppo e si trovano nello stesso luogo), le pratiche sono veloci perché avevamo già definito tutto in precedenza tramite drivesouthafrica.com, con i quali avevamo trattato pure uno sconto che si sviluppa nel concederci gratuitamente tutte le assicurazioni aggiuntive senza nessuna franchigia o danni a vetri e gomme. È più lunga la presentazione di tutto quanto avremo a disposizione, anche se avendo già alle spalle l’esperienza della Namibia dello scorso anno molte cose già le conosciamo. Il mezzo è dotato di tantissimi attrezzi compreso il preziosissimo frigo, curiosamente è targato Windhoek, Namibia, e questo lungo il viaggio scatenerà la curiosità di più persone. Preso possesso del potentissimo pick-up Nissan 2.5 diesel (molto meglio del benzina dello scorso anno), facciamo tappa al primo pick’n’pay per far spesa di generi alimentari e di quelle poche cose non in dotazione, come filo e mollette per stendere, spugna e asciuga piatti, lampada, zampironi scaccia zanzare e poco altro dato che di serie c’è veramente di tutto e di più. La destinazione odierna riguarda la penisola di Cape of Good Hope nel Table Mountain NP, con prima sosta a Boulder per l’accesso alla spiaggia dei pinguini. Una passerella conduce al luogo preferito di questi piccoli e numerosissimi pinguini africani, abituati alle persone e quindi pronti a mettersi in mostra senza paura. Riprendiamo la M4 verso sud, la zona è turistica e trafficatissima, passare i tanti villaggi richiede tempo, ma più si alzano le montagne e meno gente si vede, così all’ingresso del parco si viaggia tranquilli in uno scenario sempre più affascinante. Il capo non è il punto più meridionale del continente e nemmeno il punto dove gli oceani s’incontrano, ma a tutti gli effetti è il luogo simbolo della fine di un continente, anche per lo splendore del posto. Preferiamo visitare prima Cape Point, dal punto di vista scenografico il top del capo, la salita al faro si può evitare con una funicolare, ma perché perdersi la possibilità di godersi ogni singolo passo per arrivare in cima? Da qui si può proseguire per il piccolo e vecchio faro proprio alla fine della terra, sembra vicino, in realtà 20’ occorro per arrivare, anche se l’accesso al faro è vietato, ma la vista super. Il rientro è in salita, da qui si può andare a piedi verso Cape of Good Hope, ma poi rientrare per il pick-up diventerebbe una questione lunga, così andiamo in auto alla fine del continente dove farsi immortalare col celebre cartello indicatore è un obbligo. Il posto non è così affascinante come Cape Point anche se molto più simbolico, risaliamo la montagna sullo sfondo giusto per poter vedere tutto il capo a 360°. Non essendoci campsite in zona dobbiamo a malincuore rientrare, non prima di aver fatto tappa alla croce di Vasco de Gama. Ci accorgeremo in seguito che tra Vasco de Gama e Bartolomeo Diaz la costa è piena di tracce di questi due esploratori portoghesi. Percorriamo la costa ovest salendo e scendendo le montagne della M65 passando da Scarborough, attraversando Misty Clifts fino a Kommetje dove pare ci sia un campeggio. Giriamo a lungo, tutti ce ne indicano uno a Imhoff ma le indicazioni portano a una farm che non ospita campeggiatori. A lungo chiedendo troviamo l’indicazione giusta e giungiamo a un campeggio non proprio di alto profilo, l’Imhoff Park, vicino al mare del quale si sentono le onde ma non si vede nulla, l’idea di avere wi-fi tramonta immediatamente, ma va bene così tanto abbiamo tutto quanto ci serve per la prima cena da campo in autonomia. Temperatura buona, anche se una felpa leggera non guasta. Percorsi 130 km, tutti su strade in buone condizioni, traffico a parte.
Il Capo di Buona Speranza
5° giorno
Prima colazione da campo e, dopo sosta al Poi Market di Sun Valley per le dimenticanze riscontrate nella dotazione del mezzo (poca roba a dire il vero), iniziamo il viaggio vero e proprio tagliando il capo lungo la M65 per costeggiare l’oceano sulla R310 per inserirci nella N2, un’interminabile arteria che lambendo tutta la costa porta a Johannesburg. Ma prima di trovarla costeggiamo l’enorme township di Khayelitsha, di cui poco si parla anche a Cape Town, turisticamente al momento è molto di tendenza quella di Nyanga. Chilometri e chilometri di township, il vento porta plastica, detriti e rifiuti in ogni dove, coperti campi e strada. La nostra meta è Hermanus, la città delle balene, sappiamo di essere fuori tempo massimo ma un tentativo lo facciamo, anche se a vuoto. Nonostante il tempo pessimo, non piove ma il cielo è coperto da nuvole basse che promettono pioggia, il posto è preso d’assalto dai villeggianti locali, difficile pure trovare uno spazio per parcheggiare. Fortunatamente troviamo un posto proprio a ridosso del Cliff Path Walking Trail che percorriamo in direzione nord senza però nessun avvistamento, unico animale intravisto sulla terra ferma però, la procavia del capo. Riprendiamo la via senza rientrare sulla N2, percorriamo vie minori, a volte sterrate passando per il caratteristico borgo di Elim, dove le abitazioni hanno i tetti di paglia, uno spaccato di Irlanda al sud, Elim nacque come missione morava oltre 2 secoli fa. Da qui tagliando sempre su strade sterrate passiamo per la zona paludosa di Soetenddalsvlei, peccato che il tempo sia brutto così i colori si spengono. Arriviamo quindi a Struisbaai e da lì l’Aguilhas dista poco, vogliamo simbolicamente toccare terra a Cape Aguilhas dove l’Oceano Indiano incontra l’Oceano Atlantico. Il vento la fa da padrone, lungo una passerella di legno arriviamo al punto terminale di un continente, onde alte ma non pensiate di vedere la netta separazione dei due mari, non fosse per il cartello che li indica sarebbe difficile capirlo. Il tempo inclemente ci fa velocemente lasciare il posto, proviamo a visitare l’attiguo faro che funge anche da museo ma chiude anzitempo (prima delle 17), date le condizioni atmosferiche decidiamo di non fermarci in uno dei campsite presenti ma tentare la sorte rientrando lungo la N2 e almeno sperare che il vento si plachi. Saltiamo così il passaggio alla De Hoop NR e puntiamo diritto a Swellendam dove troviamo una sistemazione in un caravan park. Riusciamo ad aprire la tenda e prepararci la cena prima che la pioggia diventi costante e intensa, sperando che la tenda regga il carico di pioggia che la notte promette. Percorsi 368 km, su strade asfaltate e sterrate, entrambe in buone condizioni.
continua...
BLOGGER ma anche fotografo e ciclista
Luca G.