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Deserti d'Oman - III

Il nostro Luca ci racconta questo stupendo pezzo di Medio Oriente

...segue 

 

7° giorno 

Mattinata senza vento vuotando le tende dalla sabbia, colazione e, una volta sistemato tutto nelle jeep, via per una giornata di lungo trasferimento. Si continua su sabbia ma dopo pochi chilometri, giunti sulla 32 all’altezza di Sarab sosta per sistemare la pressione dei pneumatici. La strada è al solito in ottime condizioni, proseguiamo fino a Doqm per rifornimento di benzina, da lì ancora lungo la 32 per una deviazione in area Wadi Darfa dove passato uno sterrato misto sale-fango si scorge un nutrito stormo di fenicotteri tra lagune interne prospicienti il mare. Non c’è nulla qui, nemmeno l’indicazione del sentiero, e guai a sbagliare traccia, pure quando si scende per camminare, altrimenti si sprofonda in una melma che diviene una sorta di cemento a presa rapida. Di nuovo sull’asfalto che diviene statale 41, tappa in un parcheggio prima di Lakabi per veloce sosta cibo e quindi ascesa tra le montagne attraversando la falesia che prima di Shuwaymiyyah regala panorami mozzafiato. Ovvio che pure per avvistare questi angoli occorra una guida che conosca la pista per arrivarci, al solito nulla segnato. Il tramonto qui dovrebbe essere incredibile, ma ci chiedono di procedere, sarà ancora più incredibile nel canyon dove faremo campo, non distante, in pratica dall’alto della falesia si scende e si entra nel sottostante wadi, facile da dirsi, non immediato da realizzare, da quassù le distanze si cancellano. Discesa impegnativa con odore di ferodo che lievita, prima del termine della cittadina si prende una strada interna che a breve diviene sterrata e pian piano ci s’inoltra nel canyon tra alte pareti di roccia che paiono la lavagna di un maestro di scrittura cuneiforme. Troviamo prima una pompa d’acqua per far scorta (acqua che usiamo per preparare cibi cotti e per lavare evitando la sabbia, oggi non disponibile), poi seguiamo il sentiero che pian piano si stringe quasi soffocandoci, per arrivare al luogo dove faremo campo si oltrepassa un guado (al momento del tramonto fa da specchio del canyon, applausi) e si prende una pista che sale tra le gole, nemmeno tanto ma quando arriviamo, dopo svariate soste fotografiche il tramonto è già andato, ma ce lo siamo goduti all’ennesima potenza passo passo, giusto in compagnia di qualche dromedario. Questa notte faremo campo tra la roccia e non tra la sabbia, lasciamo i picchetti da tenda per sabbia (se non ne avete al seguito, poco male, ci pensa la guida, ma sono fondamentali) e recuperiamo pietre per fissare i picchetti tradizionali, magari buona cosa avere un materassino resistente per una notte. Il posto è diabolico, nel mezzo del canyon con vista sia verso monte che valle, essendo nel mezzo delle rocce serata decisamente calda e senza vento, tempo per preparare la cena e a seguire ricerca di scorpioni, con una torcia a luce dedicata. Dopo numerosi avvistamenti di parti di pelle, ne troviamo uno, felici per aver coronato la ricerca, meno per dover condividere lo spazio con queste graziose bestiole, ci ragguagliano sul fatto che l’eventuale puntura non sia mortale, ma solo altamente dolorosa, nemmeno male. Percorsi 538 km, la tappa più lunga del viaggio, quasi tutti su asfalto.

 

 Sorta di scrittura cuneiforme nel canyon di Shuwaymiyyah

 

8° giorno

Colazione sotto qualche sparuta goccia di pioggia, ripercorriamo il canyon per tornare in città, una Shuwaymiyyah pressoché disabitata di prima mattina con giusto qualche dromedario per le vie. Cielo costantemente coperto, lungo la 42 verso sud il percorso fino ad Hasik è un vero e proprio spettacolo, non solo trasferimento. Tutto in quota sopra alla falesia che sovrasta il mare arabico dove iniziamo a scorgere il re incontrastato del luogo, l’albero dell’incenso, incenso qui denominato Frankincense. Prima di Hasik si passa un check-point, controlli veloci solo ai permessi dei mezzi per trasportare turisti, in seguito presso un baracchino per la strada tappa al “miglior” ristorante di carne di dromedario dell’Oman, con la statale che ora è la 49. Siamo ad Hadbeen, il ristorantino è particolare perché la carne viene cotta sotto ad una montagna di sassi e pietre calde, si possono assaggiare anche altre specialità, sia carne sia pesce, siamo a ridosso del mare, a 155 km dalla partenza. Circa 90 km dopo sorge Mirbat dove si può visitare un forte in pessime condizioni, luogo principe di una delle battaglie del Dhofar nel 1972, subito dopo il colpo di stato non cruento che portò al potere il Sultano Qaboos. Nella parte vecchia della città rimangono anche resti di abitazioni di mercati dell’antica città della regina di Saba, giriamo vedendole senza però avventurarci tra i vicoli, poi via per un’altra deviazione presso i Baobab Trees, anomalia del territorio in gemellaggio col Madagascar. Veloce escursione a piedi tra le montagne, con temperatura che si raffresca, causa pure le nuvole che non se ne vanno. Di nuovo lungo la 49 per un’ulteriore visita, questa volta al Sumhuram Archaelogical Park, antico sito non ancora totalmente scavato che regala pure viste preziose sulla foce del Wadi Darbat. Buona cosa visitarlo tra qualche nuvola, altrimenti il sole potrebbe cuocere anche i più resistenti, si sale e scende tra vecchi muri con la natura che ha seguito il suo corso, in alcune parti alberi crescono sopra ai ruderi delle costruzioni, una piccola Angkor Wat, con pure un’interessante galleria da visitare per capire meglio quest’insediamento risalente al I secolo a.C caduto in disuso verso il III secolo d.C. La nostra meta serale è a Salalah. Qui il turismo piomba da tutta la penisola araba in estate, la coda del monsone copre di nebbia la città, il kharif, quando ovunque si brucia a oltre 50°, a Salalah si vive tra i 15-20°, e così chi può permetterselo se ne sta comodo tra le nebbie. Ora che questo clima non permea la regione, la città ha ben pochi turisti, gli appartamenti sono quasi tutti vuoi e le offerte fioccano, nel nostro caso un appartamento per 4 persone compreso pure di colazione servita in camera, 2 bagni, wi-fi, e ogni diavoleria immaginabile costa una miseria. Un bisogno di doccia impellente è così prontamente ripagato, nell’attesa che la guida ritorni coi mezzi sistemati provo ad avventurarmi per l’area ma siamo molto fuori dal centro con ben poco da vedere, se non la corsa dei più alla funzione in moschea proprio qui a fianco delle 18. Alle 19 si parte per andare a cena, passando a fianco della nuova e grande moschea del sultano, illuminata a giorno, per giungere nello splendido e straniante (rispetto a quanto visto negli ultimi giorni) Garden Mall ove ceniamo in un ristorante con buffet libero nel dehor esterno. Giochi di luci e acqua ovunque, personale fin troppo servizievole nei mille giri al buffet, clientela prettamente straniera ma non mancano donne sole locali che possono qui cenare in totale tranquillità, anche se vedere una donna senza tunica nera e copricapo è quasi impossibile. Fa specie vedere nei tanti negozi sfilate di tuniche nere che a me sembrano tutte identiche, invece avranno le loro importanti distinzioni a saperle distinguere. La serata non finisce qui, visitiamo il suq dell’incenso dove in botteghe identiche le une alle altre (saranno almeno 50) tutti provano a vendere, oltre all’incenso, i contenitori per bruciarlo ma pure tante altre specialità del posto non indimenticabili, per andare in seguito al mercato della frutta. Qui, in zona desertica crescono banane, papaya e cocco, i prezzi sono irrisori, tanto che a fronte di un qualsiasi acquisto, l’acqua delle noci di cocco è offerta a tutti. È già tardi per le nostre abitudini quando rientriamo in hotel, sfruttando pure la lavatrice a lavaggio e risciacquo veloce per sistemare senza fatica quanto giunto non in perfette condizioni dai giorni precedenti. Percorsi 329 km, quasi tutti su asfalto.

 

Tra le dune del Rub Al Khali, il Quarto Vuoto

 

9° giorno

All’orario prefissato suonano alla porta e la colazione è servita, magari non così abbondante e varia come quella che siamo usi prepararci quando facciamo campo, ma anche tutto molto più pratico e veloce. Ancora immersi nelle nuvole, quando in questo periodo non dovrebbero mai far capolino, lasciamo la città direzione nord lungo la 31 dove a Thumrait facciamo le ultime spese rifornendo anche le taniche di benzina. Abbondiamo con l’acqua, bene prezioso, di cibo siamo pieni da tempo, ma prima del deserto sosta a Ubar raggiunta seguendo la 43, sito archeologico a ingresso gratuito, forse perché le sue origini non sono completamente certe. Che fosse una città lungo la via carovaniera secoli prima di Cristo è quanto raccontato, non però completamente certificato e potrebbero essere molto più recenti, le sue rovine sono sistemate in alcune parti malamente con colate di cemento, certo che la parte sprofondata nella terra colpisce, diciamo che venire qui per visitare appositamente il sito ha poco senso se non si è archeologi provetti, altrimenti è una tappa intermedia comoda per apprestarsi al Quarto Vuoto, il famigerato Rub Al Khali che a pochi chilometri da qui ci attende nella sua maestosa ampiezza. Dove l’asfalto lascia strada alla sabbia sorge una sorta di garage gestito da pakistani, ultimo avamposto di civiltà e in alcuni casi opzione ultima per recuperare benzina (che oggi non hanno) a prezzi superiori ai distributori. Poi, sgonfiate a dovere le gomme, si va sempre percorrendo la pista 43 in buone condizioni, iniziando a lasciare larghi spazi tra i mezzi per non finire asfissiati dalla polvere. Sempre seguendo la pista arriviamo a un villaggio di beduini, lo stato omanita ha costruito per loro abitazioni di pregio che sfruttano mettendoci le tende tradizionali negli ampi giardini, siamo ad Al Hashman, 40 km dal confine con Yemen e 50 km da quello con l’Arabia Saudita. I confini non sono presidiati qui nel nulla del RAK, sorge una base ogni 5 km a dare nota del cambio di stato, nulla di più. Nell’oasi a ovest del villaggio c’è una sorgente naturale convogliata in una grande vasca dove potersi bagnare e riscaldarsi, ma è curioso fare un giro anche nel villaggio, praticamente abitato solo da donne e bambini, coi camion incellofanati per non essere mangiati dalla sabbia e con le strutture un tempo a uso dell’amministrazione governativa in stato d’abbandono, troppo duro per un omanita vivere qui mi sa. Però un campo da basket che ancora si delinea, chissà chi avrà pensato di far 2 tiri nel deserto? Ora lasciamo la pista e proseguiamo tra le dune che all’orizzonte iniziano a farsi padrone del territorio, rosse ed arancioni pure in una giornata dove il sole non compare mai. Facciamo campo qui 18.636, 53.10377, ovvio che il luogo non abbia nome, l’area è sempre indicata come RAK. Prima di fare campo ci godiamo il luogo salendo la duna più alta e grande di fronte a noi, sembra vicina e non altissima, servirà circa un’ora per conquistarne la cima, fatica e divertimento assicurato, l’oceano di sabbia e dune è ovunque, peccato che le nuvole non regalino colori intensi e vivi. Ridiscesi, il tempo è più che dimezzato, volendo ci si può buttare dritti per dritto, predisponiamo il campo in una serata fresca ma senza vento, con giusto qualche zanzara. Cena sempre più abbondante e poco dopo le 21 si susseguono i saluti per trovar posto nelle tende, in una notte più calda di quanto la serata poteva paventare. Percorsi 279 km, 2/3 su asfalto.

 

continua...

 

Deserti d'Oman - I

Deserti d'Oman - II

 

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Luca COCCHI

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