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Pura Vida - IV

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13° giorno 

Ricca colazione in ostello, il tipico gallo pinto, vanno pagate solo le bevande. A piedi raggiungo il Terminal 7-10 da cui parte il bus per La Fortuna che fa sosta a Ciudad Quesada (San Carlos) per scendere per cibo e servizi, unica per questo nelle ore ore. Devo dire che i più arrivano già carichi di ogni diavoleria alla partenza, ne approfitto per qualche info su La Fortuna da una ragazza a fianco che sta andando la per lavoro, soprattutto per una soluzione al meglio tra prezzo/qualità riguardo le tante opzioni termali. Tempo splendido, poco prima di arrivare salendo tra le montagne tutto cambia e anche scendendo a La Fortuna le nuvole fanno compagnia. Il terminal dei bus è poco più di una fermata coperta, non c’è né ufficio informazioni né biglietteria, prendo a piedi per lo sciccosissimo ostello prenotato in anticipo perché della stessa catena di quello di San José. Un vero e proprio luogo di ritrovo alle pendici del più celebre vulcano del paese l’Arenal, che dalla piscina si potrebbe vedere in tutta la sua grandezza, se non fosse che le nuvole lo avvolgono completamente. Ho un po’ di tempo per fare il punto in paese dell’escursione per l’Arenal ed il Cerro Chato, apprendendo che da qualche mese questo non è più accessibile perché le troppe ascese hanno rovinato i sentieri e così la sua laguna sul “tetto” con vista Arenal rimane un ricordo per chi passò da qui anzitempo. Il tour dei due vulcani che propongono tutte le agenzie ha prezzi indicativi tra i 55 ed i 60$, opto per acquistarlo in ostello, per chi vi soggiorna costa 50$. In paese sosta cibo, poi a piedi raggiungo le Termalitas del Arenal che mi erano state descritte come poco lontane, nemmeno 20’ a piedi. In realtà sono 4 km lungo la statale, dopo il primo km termina il marciapiede e raggiungerle non è piacevole, oltre a perdere circa 45’, ma il viaggio ne vale la pena. Qui i centri termali si sprecano, del resto i vulcani sono ovunque, il problema è aver acqua fredda, non calda e termale, ci sono più punti naturali gratuiti, ma le strutture regalano agi di tutt'altro livello. I grandi hotel hanno però costi rilevanti, si va da un minimo di 25$ a 60$ per il solo accesso termale, queste terme che Raquel mi aveva consigliato non sono in un hotel e il prezzo contenuto. Se non avete un lucchetto per chiudere l’armadietto lo forniscono sul posto (ne serve uno col becco sottile e lungo), affittano anche asciugamano e costume nel caso, poi via alla scoperta delle 10 piscine immerse nella foresta. Temperature di 7 vasche a 42°, una a 35° per familiarizzare, le 2 restanti a 50°, uno spasso. Nella piscina più grande ci sono pure scivoli stile acquapark, ma son più invitanti quelle piccole con idromassaggi su lettini sotto l’acqua, i 42° sono un piacere che va intervallato con frequenza, tanto uscendo nonostante la giornata non sia bella non si ha la minima percezione di possibile freddo. Le piscine a 50° son più per spettacolo che per altro, impossibile immergersi, anche solo facendo due passi con acqua alle caviglie sembra di entrare nel fuoco, nessuno in tutto il pomeriggio è riuscito a restarvi per più di qualche secondo. Quando il sole tramonta, o meglio la luce scompare, le brume che salgono dall’acqua in mezzo alla foresta regalano uno spettacolo splendido, tempo di doccia e poi rientro a La Fortuna, questa volta cercando di fermare un taxi, impresa non facile in cui ci aiuta il parcheggiatore nicaraguense col quale scambio un po’ di chiacchiere. M’invita a visitare il suo paese dicendo che con quello che spendo in un mese qui là posso viaggiare per 6 mesi, la mia amica tica gli contesta che la qualità però non è nemmeno paragonabile, la discussione che si alza si smorza solo con l’arrivo di un taxi. Voglio schivare uno dei maxi ristoranti sulla statale 142, così troviamo un posto che non sarà scenografico ma sulla sostanza se la gioca alla grande. Saluto Raquel alle prese coi suoi conteggi di giornata lavorativa, che intermezzata dalle terme è sempre un bel lavorare per rientrare in ostello dove la piscina non è frequentabile per il clima ma nel grande spazio del bar ristorante tra tavoli e divani ricavati coi pallet par richiamare la stragrande maggioranza dei viandanti che evitano gli hotel, anche se pure qui ci sono opzioni per camere singole e mini villette con accesso diretto in auto. Alle 22 passa un addetto in ogni camera ad attivare il servizio di aria condizionata, fortuna che da me chi già presente ha evitato richieste troppo forti. Tutto sommato nonostante il numero elevato di presenti poco rumore, gente ben educata, in linea col paese visitato.

 

 Il gigante con la testa tra le nuvole, Volcan Arenal

 

14° giorno

Piove, colazione forzatamente in ostello, alle 9 passano a recuperare sia me che altre 3 persone qui presenti quelli del tour operator per l’escursione odierna che parte con 30’ di ritardo poiché lungo la statale c’è un funerale, tutti procedono a piedi e l’ingorgo è assicurato. In bus proseguiamo fino all’ingresso al Parque Ecologico Arenal, qui il bus ci scarica e si continua a piedi. Siamo un gruppo di oltre 30 persone, ci dividono in due per rendere la situazione vivibile, guide preparate che parlano inglese e spagnolo, gruppo giovane e interattivo. Iniziamo la lunga giornata di marcia, prima tappa alla vicina laguna, piove e non poco ma camminando nella foresta il problema è quasi inesistente, non occorre nemmeno coprirsi col poncho, sconsigliatissimi capi antipioggia come k-way o impermeabili, col caldo-umido della foresta si finirebbe per essere più bagnati della pioggia stessa. Faremo tappa qui al ritorno, ora al campeggio (all’interno di una grande struttura aperta in legno ma coperta) ci fermiamo per rimirare alcune rane, tra cui la famigerata rana dagli occhi rossi. Pare proprio il frutto di una foto col flash, ma è tutto vero, ancora più incredibile quando inizia a camminare e mostra i 7 colori di cui sono tinteggiate le zampe. Da qui prendiamo un sentiero che scende alla laguna, il fango la fa da padrone assoluto, la vista con la pioggia non regala purtroppo grandi emozioni, ora ci aspetta una mezz'ora in salita intervallata da una sosta dove ci segnalano su di un albero le unghiate di un giaguaro, in tutto il parco se ne trovano 10, in concreto impossibile vederli di giorno, sono controllati tramite le telecamere fisse. Ci spiegano come avviene la marchiatura dell’albero, la differenza tra queste e quelle dei puma che qui sono in un numero di 3:1 rispetto ai giaguari ma sempre di difficile visione. Incrociamo il sentiero che porta alle rocce laviche in concomitanza del passaggio di un gruppo a cavallo, il tutto rende il sentiero ancora peggiore. L’ultima parte è direttamente sulle rocce laviche della colata del 1968, quella che annientò un intero villaggio causando la morte di 87 persone, salvando solo alcuni contadini che lavoravano i campi dalla parte opposta del villaggio. Quest’ultima grande eruzione portò pure alla formazione di una laguna, che sistemata in seguito con una diga artificiale costituisce ora il lago più grande del paese e fonte primaria di energia rinnovabile, il Costa Rica è l’unico paese al mondo con emissioni zero grazie ad energie alternative e grandi foreste trasformate in parchi nazionali dove non è possibile disboscare o costruire. Camminare su queste rocce è altamente rischioso soprattutto in giornate piovose e ventose come oggi, le nuvole non hanno intenzione di andarsene e così l’Arenal non è mai visibile, la pioggia rallenta la presa e ci permette una sosta fuori dalla foresta senza lavarci completamente. Peccato la non vista del gigante che fuma, quella sulla laguna, che da qui paiono due vicine è aperta, anche se con colori spenti, pare di essere in un documentario in bianco e nero. Con precauzione iniziamo la discesa andando direttamente alla laguna incrociata in salita dove è possibile fare il bagno lanciandosi da una corda appesa a un albero con un salto di 5 metri nell’acqua verdissima. Chi lo tenta, io non sono tra questi, racconta di un’acqua che sulle prime pare fredda ma poi si rivela tonificante. Da qui ci sono alcuni secondi in cui il vulcano si scopre, scatti compulsivi dei più, gli unici in cui si potrà vedere la sommità. Tutti sistemati riprendiamo il sentiero verso l’uscita dove il bus ci porta alla sosta cibo presso un hotel/ristorante, sosta veloce perché la giornata è ancora lunga e intensa. Pranzo discreto, possibilità di rabboccare borracce e bottiglie con acqua fresca. Da qui sempre in bus andiamo all’Arenal Observatory per giro a piedi verso il Cerro Chato, vulcano non più scalabile. Un giro ad anello ci porta in una bella posizione dove vedere entrambi i vulcani, la parte inferiore dell’Arenal si scopre mostrandoci i canali aperti dalle ultime eruzioni ancora fumanti, mentre il Cerro Chato, spento da svariate migliaia di anni, è completamente ammantato dalla vegetazione. Avifauna in grande presenza, continuiamo sul sentiero passando per il primo puente colgato, in 5 alla volta e non di più. Quando incontriamo il secondo siamo già rientrati all’osservatorio, qui c’è una terrazza che spazia con viste sia sull’Arenal sia sulla laguna, a fatica identifichiamo la laguna, per il resto sempre immersi nelle nuvole. Ma ci raccontano che non è stato nemmeno male, a volte i sentieri sono così coperti di fango che si percorrono solo con galosce al ginocchio e più volte rimangono incastrate nel troppo fango. Lungo il percorso in bus altre soste per immortalare alcune scimmie cappuccino e ragno, poi tappa finale quando già siamo completamente al buio per un bagno termale ristoratore lungo il fiume, temperatura elevatissima e fanghi di cui narrano benefici incredibili. Alla “vecchia” rientriamo velocemente sul bus per arrivare in ostello oltre 10 ore dopo la partenza con la necessità impellente di una doccia che trovo libera in camera. Oggi vari cambi di presenze ma stanza sempre tutto esaurito, come al solito gente tranquilla che non causa mai il minimo problema, provenienza da ogni angolo del mondo col solo inconveniente di non poter mai parlare spagnolo qui dove regnerebbe lingua madre. Mi avventuro in paese per cena, la pioggia mi coglie impreparato, avevo lasciato tutto l’occorrente in ostello dato il limitato spostamento, mi fermo così in un Pollolandia più per non prendermi una cascata d’acqua che per scelta oculata, cena passabile, appena spiove raggiungo a passi lesti l’ostello dove mi godo un intenso caffè trovando i compagni di viaggio del giorno, una ragazza argentina che lavora nel campo della moda e due olandesi di Gouda, la città del formaggio, e appunto impiegati in attività affini. Piove di nuovo, ma nel grande ostello e nella sua enorme sala all’aperto ma ben coperta non costituisce problema. Wi-fi ottimo, mi guardo pure tutti gli highlights di Eurolega.

 

 Rana dagli occhi rossi, dintorni del Volcan Arenal

 

15° giorno

Sveglia di buon mattino, devo essere alle 6:15 al terminal dei bus, alle 6:30 passa quello per Upala, qui non c’è nulla per colazione, mi accontento di due mie barrette cioccolato e cereali e acqua, recuperata dall’ostello. Son già le 6:45 quando non vedendo ancora arrivare il bus inizio a chiedere, le risposte dagli autisti degli altri bus di passaggio son vaghe, aspetta, sarà in ritardo, poi arriva ecc… fin quando uno mi dice che quel bus non ferma al terminal ma passa lungo la statale ed ovviamente è già andato da tempo. Veloce studio della mappa e provo a costruirmi un passaggio diverso verso la meta di giornata, Bijagua. Ore 8 bus per Tilarn, circumnaviga la laguna Arenal lungo un percorso da mille curve con laguna visibile ma vulcano no. Poco prima di arrivare le nuvole in parte si aprono, nella parte sud della laguna il clima è sempre migliore e ne ho conferma, qui il bus in corrispondenza per Cañas attende appositamente l’arrivo di quello da La Fortuna per partire a sua volta e scendendo di poco a sud il clima pare di un altro mondo, 30° e non una nuvola. A Cañas attesa di 20’, tempo giusto per un salto al bagno e cibo in una delle piccole tiendas del terminal, fila ridotta per il biglietto a destinazione Bijagua. Qui fa caldo, caldo intenso, partiamo per ritornare tra i vulcani e dopo 30’ che passo in bus in compagnia di una giovane coppia belga quello che temiamo si profila, ritornano le nuvole, il brutto tempo e la pioggia. Scendiamo e prendiamo direzione opposte, loro hanno la prenotazione in un hotel nei paraggi dell’ingresso al parco del Volcan Tenorio meglio conosciuto come Rio Celeste, il fiume che solca la vallata è descritto appunto come incredibilmente celeste, così come la laguna che la cascata forma, e tutto questo da vita a uno dei richiami principali dell’intero Costa Rica. Avevo contattato un backpacker in vicinanza consigliatomi pure da un amico, circa 750 m prima del paese, lo raggiungo a piedi dopo prolungata sosta durante un acquazzone da paura, ma quando arrivo non c’è traccia di presenza umana, così ritorno nel centro del paese, avevo scorto un hotel e provo a domandare. Pure qui non incontro nessuno, riprende a piovere intensamente e mi riparo sotto la tettoia dell’attiguo negozio di souvenir gestito da due gentilissime persone. Mentre lui dipinge tucani di varie dimensioni da vendere ai passanti, lei m’informa che la dueña dell’hotel non è qui perché durante queste giornate uggiose non arrivano nessuno a soggiornare, prova pure a chiamarla sul cellulare ma nessuna risposta, in seguito sapendo delle mie intenzioni di visitare il parco chiama una guida e me la passa al telefono, senza che io abbia chiesto nulla. Mi dice subito che in questi giorni non ha in programma escursioni, il Rio Celeste pare il Rio Chocolate, nessuno ha intenzione di spendere soldi per un’escursione del genere e nemmeno lui si azzarderebbe a portare qualche ingenuo chiedendogli soldi. Così faccio di nuovo il punto della giornata e decido di procedere a ovest dove pare regni sempre il bel tempo, attendo il bus di ritorno a Cañas dopo circa 40’ e come d’incanto uscendo dalle montagne il sole torna a farla da padrone. L’autista mi scarica alla confluenza tra la Panamericana e la strada proveniente da Bijagua così da guadagnare tempo, lì attesa di 15’ per il bus destinazione Liberia dove arrivo verso le 15:30 di pomeriggio, caldo da 30° abbondanti allo scalcagnato terminal Liberia, non lontano dal nuovo e moderno Terminal Pulmitan. Trovo alloggio in un hostal dopo qualche ricerca conclusasi col tutto esaurito, strano vista la non turistica città. Anche qui sistemazione non semplice, una notte in camera da 6 e una in singola, nella prima bagno in camera nella seconda esterno, doccia fredda (qui fa sempre caldo), wi-fi, uso cucina, caffè e infusi offerti, niente amache ma poltrone a dondolo, per entrare e uscire occorre sempre suonare e attendere la simpatica, anziana e arzilla dueña. Proprio lei m’informa relativamente all’escursione più richiesta nel luogo, il Parque Nacional Rincón de la Vieja, non raggiunto da mezzi pubblici ma fattibile solo con escursione organizzata o con passaggio privato, al quale provvede lei tramite autista e guida. Sistemata questa questione, più stanco dopo 5 bus e relative attese che dopo 15 km a piedi in un parco provo a esplorare la cittadina, pur sempre una delle principali del paese anche per via dell’aeroporto internazionale. Un campo da basket tipo The Cage newyorkstyle mi pare l’unica attrattiva, il mercato sta chiudendo, in città proprio pochino, grande paesone in stile sudamericano, larghe vie con alberi, case basse ed un museo aperto nelle ore diurne, ovvero quando tutti sono in giro in escursione. Unica nota positiva, un tramonto da cartolina, il fuoco in cielo. Mi fermo per cena in un ristorante e completo la serata per smaltire l’eccessivo fritto con un po’ di frutta in un bel negozio nei paraggi del terminal e caffè in ostello, qualche chiacchiera con alcuni avventori, ovviamente sono statunitensi e non parlano una parola di spagnolo.

 

Laguna vulcanica al P.N. Rincon de la Vieja

 

16° giorno

Colazione al mercato proprio di fronte all’ostello e a fianco del terminal, qui vi sono svariati locali, opto per uno frequentatissimo dove scelgo un gallo pinto completo di formaggio alla griglia, quantità e qualità elevate, caffè buono e abbondante. Alle 9 si parte con pulmino privato per il vulcano, non distante sale anche un ragazzo tedesco e lungo la strada del parco due ragazze svizzere, altre 3 persone che dovevano essere dei nostri non pervenute. La via d’accesso privata va pagata, poi arrivati al parcheggio in corrispondenza del P.N. Rincón de la Vieja sector Las Pailes il duo autista e guida ci abbandonano, si tratta in pratica di un trasporto privato dotato di guida che illustra alcune attrattive del parco ma senza poter entrare. Si pagano 12$ (anche con carta di credito, ma molto lentamente), si è assegnatari di un numero di accesso che va registrato in ingresso e uscita e da lì c’è la possibilità di scegliere 2 percorsi, il facile sendero Las Pailes tra fumarole, lagune vulcaniche e il più piccolo vulcano al mondo ed il sendero La Catarata, che si divide in due cascate separate. Piove e tira un vento fortissimo, ci consigliano di prendere prima il sendero Las Pailes ma farlo nel senso opposto all’indicato, si tratto di un anello tra due tipologie di foreste distinte, optiamo prima per la parte umida, in realtà più folta e meno coinvolta da pioggia e vento facendo subito un passaggio presso una cascata. Qui troviamo più fumarole che sprigionano zolfo, non importa nemmeno seguire le indicazioni per arrivare, è sufficiente il naso. Pozze di fango, fumarole, il tutto nel mezzo della foresta, mentre le lagune vulcaniche sono nell’altra parte di questo sentiero, più aperto. Da qui la vista è più impressionante, si scorgono anche gli imponenti fumi delle precedenti fumarole tra il bosco come se il tutto stesse prendendo fuoco. Sopra invece, o meglio, come sempre le nuvole, il vulcano non è visibile e nemmeno più scalabile, costantemente in eruzione l’accesso è stato chiuso. Terminato quest’anello di circa 2,5 km prima di arrivare all’ingresso parte il sentiero per le cascate, 5 km per la Cangreja, non propriamente agevoli. Il primo km e mezzo scende e sale oltrepassando un fiume, fango e radici sono un ostacolo non semplice, oltre questo si arriva alla deviazione per la cascata Escondida, opzione che quasi nessuno prende in considerazione, da qui a sinistra si va alla cascata più conosciuta, il sentiero sale leggermente e la vista spazia tra le montagne fino all’oceano Pacifico, poi per circa 30’ si scende tra le rocce perso la cascata, posta in luogo effettivamente spettacolare. A differenza di quanto riportano le guide, si può fare il bagno nella piscina naturale ai piedi della cascata, l’acqua non è troppo fredda, sulla sinistra c’è un piccolo rivolo in entrata caldissimo, il posto, attorniato da grandi rocce funge anche da naturale punto di relax dov’è facile addormentarsi nella natura assoluta che ci attornia. Peccato solo che alla ripartenza ci aspetti la pietraia in salita e i 2 km finali non proprio idilliaci, anche se già conosciuti. Poiché il pulmino per il ritorno ci attende alle 16, difficile riuscire ad arrivare anche alla cascata Escondida, sarebbero 6 km tra andata e ritorno, descritti come non in buone condizioni, il sentiero che sale, o meglio saliva al vulcano si trova poco prima di giungere al termine di questo percorso, ben sbarrato e già in pessime condizioni. Torno a vedere la laguna vulcanica nella speranza che i colori siano più intensi, ma il fittizio attimo di sole balenato scompare prima del mio giungere. Così rientro ad attendere la partenza (per il ritorno abbiamo imbarcato anche i 3 desaparecidos della mattina, qualche sosta in più, una statunitense nemmeno ricordava quale fosse il suo hotel, lo descrive e l’autista fortunatamente indovina), percorsi circa 15 km a piedi, durante i quali la stramba formazione che avevamo costituito aveva creato un rapportarsi in lingue varie, il ragazzo tedesco parlava inglese, ma delle due ragazze svizzere, quella lì da oltre 2 mesi voleva provare a parlare solo spagnolo e quindi ero l’unico interlocutore, l’altra sapendo 7 parole d’italiano provava a parlare con quelle in modo che per parlare in 4 occorreva ripetere più volte lo stesso discorso, probabilmente la fatica maggiore della giornata, i 15 km molti dei quali su terreno ostico son stati nulla in confronto. Ritornato a Liberia, prendo possesso della camera singola, un lusso sconosciuto ormai, e dopo una doccia sempre fredda ma non freddissima provo a trovare un posto dove cenare nell’ultima giornata dell’anno. Le soda e il mercato per l’occasione son già tutti chiusi, in centro poco di disponibile, un bel ristorante ovviamente aperto solo su prenotazione, dopo aver già meditato di far spesa in un supermarket dove mi fermo per predisporre la colazione del giorno a seguire trovo un Pizza Hut aperto e ne approfitto. Rientro in ostello per il caffè dei giusti e lì due signore son stupite di vedere uno spagnolo (per loro la mia lingua è spagnolo, si stupiscono nell’apprendere che in Italia si parli italiano e non spagnolo) a Liberia per l’ultimo giorno dell’anno. Sono di Formosa/Taiwan e vivono in Oregon, una è la proprietaria di una galleria d’arte giapponese ed effettivamente parla inglese, l’altra non più di tre parole. Però sono curiose di sapere cosa ci faccia lì, cos’abbia visto in Costa Rica e altrove, sono arrivate oggi e visiteranno il paese nelle prossime due settimane. Si aggrega anche la figlia della non parlante, lei parla perfettamente inglese, capendo il mio sobbalzante idioma tutto diventa più semplice e finiamo per farci un giro del mondo tra foto e ricordi vari tirando pure mezzanotte e quindi anno nuovo. Una particolarità che mi colpisce, pensavo che con le varie tazze di acqua calda bevesse tisane o infusi, invece continuava a bere pura acqua calda, qui dove al caldo intenso del giorno segue una serata ventosa e per nulla calda, anzi.

 

continua...

Pura Vida - I

Pura Vida - II

Pura Vida - III

 

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Luca COCCHI

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