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Mondi in bilico: I Nyangatom

Temuti guerrieri, nemici storici dei Suri

 

I Nyangatom, temuti guerrieri da sempre coinvolti in scontri con le vicine etnie dell'Etiopia Sud Occidentale e Sudan Meridionale, sono imparentati con i Toposa, assieme ai quali sono giunti in queste terre circa 150 anni fa, gli unici vicini coi quali sono in buoni rapporti. La loro è una lingua nilotica orientale, strettamente correlata con quella dei Karamojong e Teso dell'Uganda, i già citati Toposa e i Turkana. I loro nemici, praticamente tutti i loro vicini, fra questi si distinguono i Suri e i Turkana, li chiamano col nome spregiativo di Bume, cioé "puzzolenti". Lo stesso nome Nyangatom deriva da un insulto (nyam-etom=mangiatori di elefanti) anche se è poi stato trasformato in quello attuale che significa "fucili gialli". I Nyangatom abitano delle aride lande che ricevono poche precipitazioni e affidano il loro sostentamento principalmente alle loro mandrie di zebù ma coltivano anche mais, sorgo, soia e tabacco. Hanno difficoltà ad accedere alla scarsa acqua della zona e ai migliori pascoli, cosa resa più complicata da cicliche inondazioni. Il cibo è spesso scarso: gli uomini allevano bestiame e per proteggersi dai raid dei nemici pascolano armati, spesso di un kalashnikov. Mentre sono al seguito della mandria lontani dal loro villaggio, si nutrono del latte e del sangue del bestiame, quest'ultimo ottenuto colpendo con una freccia la vena jugulare di un animale che poi si cicatrizza senza danni per la bestia. I Nyangatom che abitano vicino al fiume di solito non allevano bestiame poiché la zona è infestata dalla mosca tsetse. Se in qualche modo ne vengono in possesso, lo danno a parenti che vivono lontani dal fiume e che si spostano in cerca di pascoli tra il fiume Kibish e il confine col Sudan, dedicandosi invece alla pesca e alla coltivazione del sorgo. Le capanne dei Nyangatom dediti all'allevamento sono costituite di ramoscelli intrecciati e non da fango essiccato, in accampamenti temporanei che posso essere velocemente smontati e spostati in caso di necessità. Gli uomini passano la maggior parte del tempo lontani dal villaggio, occupandosi del bestiame e difendendoli dai raid dei nemici.

 

Donne Nyangatom, col piercing sotto al labbro inferiore e molte collane - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Sono divisi in circa 20 clan, che possono variare in numero da poche persone a diverse centinaia, che seguono una suddivisione territoriale e hanno una discendenza patrilineare. Ogni clan è diviso per classi di età, ognuna con un preciso nome, a loro volta divise per sesso e ognuna con i propri canti e storie specifiche. Genitori e figli socializzano separatamente. Gli anziani rimangono al villaggio e i giovani sono in giro a badare agli animali, mentre le donne mungono il latte. Come parte della loro iniziazione, i giovani devono dimostrare di saper assistere gli anziani. In una cerimonia alla quale assiste l'intero villaggio, un giovane deve cercare di uccidere un toro con una lancia. Un singolo colpo nel fianco destro perfora il fegato e causa una forte emoraggia che uccide il toro velocemente, senza sprecare molto del prezioso sangue. Se riesce a farlo, dimostra la sua bravura. Una volta iniziati diventano braccia guerriere a disposizione del villaggio: dovranno difendere la gente e gli animali, andando in giro con questi ultimi e rischiando la propria vita per proteggerli dai raid nemici. Circa ogni 50 anni, i padri cedono la sovranità alla generazione successiva, cosa che in passato comportava dei sacrifici umani: l'asapan. Il medium che si occupava di questo rito di passaggio, anche lui un padre che passava il potere, si riteneva che con questo atto perdesse anche la sua mente e veniva mandato a morire nella savana, cosa resa illegale dal governo di Mengistu.

 

Giovane Nyangatom davanti alla propria capanna

Giovane Nyangatom davanti alla propria capanna - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Vista la situazione di perenne conflitto in cui vivono, molta importanza assumono gli aspetti bellici. Dopo l'uccisione di un nemico i guerrieri Nyangatom vengono benedetti e cambiano nome, ma devono anche scarificarsi ripetutamente sul petto e sulle spalle per evitare che il "sangue cattivo" che li ha spinti a uccidere resti nel loro corpo, avvelenandoli. In seguito il clan cui appartiene dona loro una lancia e altre armi, un poggiatesta che funge anche da sgabello e un paio di sandali, avendo acquisito lo status di adulto. Combattono per il diritto all'accesso all'acqua dei pozzi visto che molti di loro non hanno accesso ai fiumi. Per i motivi sopraddetti, si considerano mezzi parenti coi Toposa, al punto che non è difficile trovare dei Nyangatom che vivono in villaggi Toposa e quando viene ucciso un animale per mangiarne le carni, una parte viene data ai vicini. Fondamentalmente i Nyangatom si scontrano coi Turkana quando si muovono verso il Triangolo di Ilemi, coi Suri e i Baale a nord, e sull'altro lato del fiume Omo coi Mursi, i Daasanach, i Karo e gli Hamer. Nonostante le inimicizie tradizionali, sono possibili amicizie personali con appartenenti a queste etnie rivali. La guerra del Sudan ha portato a questi latitudini molte armi automatiche e i Nyangatom sono stati tra i più veloci e assidui a dotarsene: ancora oggi sparano a vista ai Suri. La norma prevede che in caso di attacco della propria mandria un Nyangatom si difenda fino alla morte, e in caso di sterminio non tarderà molto ad essere organizzata una faida. Lo status sociale viene stabilito in base al numero di bestie (vacche, capre, pecore, asini e cammelli) ma anche in base al numero di figli. Sono famosi per le storie che si tramandano e per i canti, spesso dedicati ai loro animali preferiti tra il bestiame, che intonano durante le cerimonie o gli scontri con i popoli vicini. Queste canzoni dedicate al bestiame vengono spesso cantate dai bambini e poi si diffondono in tutta la regione. I Nyangatom non sono vasai e, tra i bottini delle loro razzie presso i Mursi e i Karo, cercano di includere anche questi oggetti. Ciò nonostante il loro numero è in aumento, attualmente attorno ai 14.000 in territorio sudanese (circa il doppio se si considera anche il territirio etiope), anche grazie al sostegno dato, fino a qualche anno fa, da missionari svedesi. Ma il futuro non pare roseo, essendo le terre che abitano reclamate dal governo Etiope per l'Omo National Park cosa che potrebbe limitarne l’accesso all’acqua e la libertà di pascolo.

 

Madre Nyangatom con bimbo sulle spalle - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Anche nella mia brevi visite presso i loro villaggi hanno avuto modo di dimostrare la loro perenne aggressività. Durante una visita all'Omo National Park, la nostra guida era un Nyangatom, che viveva in un piccolo villaggio costituito solo dalla sua famiglia - composta da due mogli e molti figli - all'interno del parco. Piuttosto ciarlero, mi chiese da dove venivo, che lavoro facevo e via dicendo. Ero piacevolmente sorpreso che, per una volta, si fossero invertiti i ruoli tra popolazione autoctona e viaggiatori ma non era vera curiosità quello che lo spingeva a farmi domande. Quandi finii di rispondere alle sue domande, sembrò trovare la conferma alla tesi che aveva in testa e sentenziò, con un certo disprezzo: "Io non li capisco i bianchi: stanno tutto il giorno chiusi in ufficio mentre io vivo all'aria aperta a badare le vacche, si sposano una volta sola con una loro coetanea mentre io ho due mogli di cui una molto giovane, io vado in giro mezzo nudo mentre loro si vestono da testa e piedi perché si vergognano del loro corpo e perché ce l'hanno piccolo". Ammetto che in quel momento mi sono sentito solidale coi Suri. In seguito, abbiamo fatto sosta in un villaggio in una zona difficilmente raggiunta dai viaggiatori occidentali. Quando hanno visto le nostre due jeep fermarsi davanti al villaggio, si sono radunati tutti, alcuni uomini che stavano costruendo un'abitazione a qualche centinaio di metri sono arrivati di corsa. Era palese che di visite del genere ne ricevevano poche e che volevano sfruttarla. Ci hanno chiesto una cifra per visitare il villaggio ma erano talmente sovraeccitati che la nostra guida ci ha fatto cenno di tornare in auto. Quando si sono resi conto che ce ne stavamo andando, si sono messi davanti alle jeep per impedirci di andarcene. Solo la bravura del pilota ci ha permesso di uscire da questa situazione senza riportare danni e senza arrecarne a nessuno. In un altro villaggio della stessia etnia, ma molto più vicino al fiume Omo e quindi non difficilmente raggiungibile da chi proviene da Omorate, fummo accolti molto più pacificamente e non ci furono problemi nell'interagire coi locali. Un'ulteriore prova che una terra difficile forgia popolazioni bellicose.

 

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Roberto CORNACCHIA

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