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Tra Grande e Piccolo Caucaso - II

Diario di viaggio in Georgia e Armenia

 

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5° giorno 

Piove questa mattina, mentre attendiamo che l’acqua corrente giunga a noi è tempo di colazione che si svolge in un ammezzato coperto ma senza finestre e vetrate, terminata la pratica però ritorna l’acqua, piccola soddisfazione. Visitiamo il mercato centrale decisamente interessante e caratteristico situato in pieno centro lungo via Paliashvili, prevalentemente mercato alimentare, vi è anche qualcosa di vestiario ma non interessante né caratteristico. Lasciamo Kutaisi per andare a Gori celebre unicamente perché città natale di Iosif Vissarionovi? Džugašvili che detto così ai più dirà poco ma che conosciuto come Stalin forse qualcosa alla memoria ritorna. Gori è a pochi chilometri dalla regione che si è dichiarata indipendente dell’Ossezia del Sud, stessa situazione descritta in precedenza per l’Abhkazia, ma se là le cose sembrano un attimo riappacificarsi, con l’Ossezia i problemi permangono, attacchi nei dintorni di Gori sono succeduti anche dopo il 2008, la città dista poco dalla capitale Tblisi e quindi essere così nei paraggi fa comodo a chi ne sostiene l’indipendenza. Russia e Georgia non hanno più relazioni diplomatiche, non esiste l’ambasciata russa in Georgia, al suo posto vi è un ufficio svizzero preposto a rilasciare i visti per accedere alla Russia, questo per quanto riguarda la popolazione, per quanto riguarda le merci tutto ciò che proviene dal sud passa invece in Russia dalla Georgia perché unico confine non problematico del Caucaso, anche il ricco Azerbaigian deve connettersi alla Russia passando da qui perché la via diretta significherebbe attraversare Daghestan, Inguscezia e Cecenia, vedete voi… Due pesi e due misure quindi, ma Gori non è un posto così tranquillo anche se il richiamo di Stalin ha trasformato un’anonima cittadina in un luogo turistico, seppur di passaggio. Il museo di Stalin consta di tre visite separate, ognuna delle quali costa 5L ma si possono comprare biglietti separati. Si può quindi accedere alla casa natale, la visita decisamente meno interessante, al vagone ferroviario con cui si spostò per le celebri conferenze di Yalta e Potsdam (aveva il terrore di viaggiare in aereo, per questo il treno speciale) che merita una visione per capire come si organizzavano i servizi al tempo, per terminare col museo vero e proprio suddiviso su due piani. Questa è la parte più lunga e potenzialmente più interessante, comprendente parecchi documenti storici, solo che una minima parte è esposta con didascalie in inglese, soprattutto le tante lettere non hanno quasi mai traduzione, compresa quella celebre in cui Lenin screditava Stalin in favore di Trotsky. Questa appunto non è tradotta, la guida la rivendica come volere della moglie di Lenin, a sua volta presunta amante di Trotsky, insomma difficile stabilire una verità storica anche a fronte dell’esposizione che chi viene fatta. Spezziamo la giornata mangiando il caratteristico pane cotto nei forni di pietra e attaccato nella parte esterna, tradizionale dell’Asia centrale per andare alla vicina città rupestre di Uplistsikhe per una visita molto interessante sotto un sole che “spacca le pietre”. Questa cittadella precristiana viene collocata come costruzione e sviluppo tra il VI secolo a.c. ed il I d.c., per poi svilupparsi in seguito perché tappa dei percorsi carovanieri a sud del Caucaso. Una specie di piccola Petra, certo manca il deserto a darla una connotazione esotica, oltre al fatto che per lungo tempo non fu accessibile e anche ora viene poco considerata, posta vicino a Gori ma non collegata da nessun mezzo pubblico. Da qui prendiamo la vecchia strada militare russo-georgiana e risaliamo in montagna, con sosta alla cittadella fortificata di Ananuri del XII secolo che sorge sul bacino artificiale di Zhinvali. Ennesimo esempio di architettura georgiana composta di fortificazione e immancabile chiesa, situata in un luogo molto scenografico, unico inconveniente che la giornata si è fatta nuvolosa e siamo già poco prima del tramonto così i colori perdono d’intensità. La strada che sale verso Gudauri è buona, si tratta del maggior comprensorio sciistico della Georgia, facilmente raggiungibile dalla capitale e quindi ben servito. La cittadina è piccola e piena di hotel, non tutti sono aperti perché sono utilizzati soprattutto in inverno, facciamo base presso una nuova struttura avvolta nelle nuvole, tempo uggioso, freddo e pioggia, fortuna che la proprietaria ci coccola in ogni maniera, sia per cena, sia con camere belle e calde, wi-fi ovunque, acqua minerale in abbondanza e per cena specialità decisamente particolari. Al termine ci propone un video di canti e balli locali che comprendono il folklore di tutta la Georgia e non solamente la zona dove stazioniamo, compresa tra le regioni del Mtiuleti e del Khevi, dalle connotazioni molto meno peculiari rispetto allo Svaneti o al Tusheti. Se la musica non è proprio così originale, le coreografie invece sono molto più interessanti, ma alla lunga conciliano favorevolmente col sonno. Percorsi 310 km, tutti su strade in buono stato.

 

La città rupestre di Uplistsikhe

 

6° giorno

Abbondante colazione in hotel poi si parte salendo verso al Jvari Pass (2.379 mslm) dove facciamo la prima sosta. Vi si trova un monumento del 1983 a ricordare i 200 anni di amicizia (di un tempo…) Russia-Georgia, da qui anche una bella vista sulla valle e sulle montagne che incombono imperiose ed avvolte nelle nuvole. Ripartiamo per scendere lungo la Tergy Valley definita da due principali caratteristiche: la prima è costituita da una formazione calcarea rosso-rosa con caduta di acqua in stile Pamukkale ma a oltre 2.000 m, mentre la seconda ben meno emozionante è l’infinita coda di camion fortunatamente fermi a lato della strada. È l’incredibile blocco creato dal confine che porta in Russia, l’unico sempre aperto, qui confluisce tutto il traffico merci su ruota che dal sud si dirige verso Mosca, sono oltre 30 km di fila, significa qualche giorno in cui gli autisti sverneranno nel luogo. Con circospezione superiamo i camion e giungiamo nel centro di Kazbegi che ora si chiamerebbe Stepantsminda, nome che nessuno utilizza, dove lasciamo il pulmino per salire sul solito Delica 4x4, necessario per accedere al simbolo della Georgia, la chiesa di Tsminda Sameba, situata a 2.200 m, visibile dalla città praticamente in perpendicolare alla piazza principale (la funivia costruita dai sovietici è stata distrutta al tempo dell’indipendenza). Con tempo a disposizione si può salire a piedi, unico inconveniente è dato dal sentiero che in più parti è da condividere con i mezzi che salgono, oggi nel pieno del fango perché ha smesso di piovere forte ma le condizioni climatiche permangono cattive. La vista simbolo, quella che riempie la maggior parte dei depliant pubblicitari della nazione la si può rimirare quando il sentiero (in orribili condizioni, 6 km che si percorrono in 30’) spiana e la chiesa della Santissima Trinità di Gergeti appare in una valle verde al culmine di una piccola collina attorniata da montagne innevate. La vista migliore si avrebbe salendo appunto su queste montagne che si trovano sul lato opposto della valle, la chiesa farebbe parte unica con la montagna della mitologia georgiana, il vulcano spento del monte Kazbeg (5.047m). Le condizione atmosferiche ci permettono di ammirare questo vulcano solo a spizzichi e bocconi, appare e scompare tra le nubi senza mai scoprirsi interamente. La chiesa di per se non è nulla di eccezionale rispetto ad altre viste o da vedere, la sua posizione è però unica, da qui la sua magia anche per chi non presta fede a credenze religiose o mitologiche, o al mix delle due cose. Non si paga l’accesso, in questo periodo il ristorante che è stato costruito nelle fondamenta interrato nelle rocce è chiuso, deturpa il panorama ma nemmeno troppo. Aggirando la chiesa e prendendo il sentiero che scende verso Kazgebi si potrebbe avere una vista unica della chiesa e del Kazbeg, le nubi ci negano questa, ma a sentire i locali è una negazione quasi quotidiana. Ci godiamo comunque il luogo a lungo, ben bardati nelle giacche a vento, senza ripari dal vento e dalla pioggia il freddo si fa pungente anche ad inizio agosto. Rientriamo a Kazbegi, dove il confine russo dista meno di 15 km e lasciamo il 4x4 per riprendere il pulmino e scendere, con sosta causa incidente tra camion che cercavano di sorpassarsi in coda, inventano un passaggio alternativo a bordo fiume e così giungiamo di nuovo a Gudauri dove spezziamo un attimo il viaggio in un autogrill (diverse specialità servite fresche) incontrando i primi temerari motociclisti del viaggio, tutti russi, in sella prevalentemente a moto crossover tendenti al fuoristrada, KTM-BMW-Triumph, notavo anche in seguito l’assenza di analoghi modelli giapponesi nell’area. Da qui ci attende un lungo e direi ben più anonimo trasferimento verso Telavi, rifacciamo la strada militare russo-georgiana, tagliamo per Mtskheta senza rientrare a Tbilisi e saliamo verso nord-est. Telavi, nella ragione del Kakheti celebre per la coltura vitivinicola, è solo una sosta, tappa all’hotel dove lasciamo gli zaini per una veloce visita alla cittadina, non particolarmente turistica. L’unica attrattiva è costituita dal castello di Batonistsikhe, che troviamo chiuso, lo si può osservare da un bastione sopraelevato con annessa piazza dedicata al solito eroe locale, le vie centrali denotano un paese in buone condizioni economiche, costruzioni in ottimo stato nel centro ma ben poco di caratteristico, unica soddisfazione quella di trovare un ristorante tipico dove assaggiare altre specialità del luogo: chakapuli, ojakhri e un piatto a cui non son riuscito ad abbinare il nome, formato da funghi con formaggio affumicato fuso, bomba calorica che si può terminare solo condividendolo in più persone. Percorsi 342 km in buone condizioni + 12 km lungo pessimo sentiero.

 

La chiesa di Tsminda Sameba, spettacolarmente posizionata davanti al monte Kazbegh

 

7° giorno

Terminata colazione, buona e varia, prendiamo posto sul Delica 4x4, mezzo assolutamente necessario per accedere alla regione del Tusheti. Facciamo spesa al supermercato per tutto quello che ci potrà servire durante la giornata, e la guida ci informa che nel Tusheti non può essere introdotto nulla che abbia a che fare col maiale, niente a che vedere con l’islam (i tushetani sono animisti) ma per un’antica tradizione che rammenta come la presenza del maiale in ogni forma porti il brutto tempo. Sarà, visto dove collocato non penso solo al maiale come causa del maltempo. Prima sosta alla cattedrale di Alaverdi, costruita nel XI secolo alta 50 m con una cupola ampia e luminosissima, fino a pochi anni orsono la più alta della Georgia. Da qui però le cose si complicano, lasciamo la via principale per prendere la deviazione per Omalo via Abano Pass, descritto come terribile, aperto quando va bene da metà giugno a inizio settembre. Sono 72 km della morte, tempo impiegato con soste fotografiche 5 ore, il sentiero che lascia spazio a un mezzo solo passa lambendo frane, cascate, guadi, smottamenti e lavori, giungere alla metà è un successo, se poi lo si percorre in mezzo alla pioggia come ci accade il panico è dietro a ogni curva o passaggio nel vuoto. Una volta rientrato, scambiano commenti via mail con la guida mi ha scritto dicendo che un gruppo accompagnato verso fine agosto è rimasto bloccato costringendo a un’evacuazione con elicottero. E un po’ me ne dispiaccio, sai che spettacolo un viaggio in elicottero qui? Spettacolare certo, entrando e uscendo dalle nuvole, si vede spesso un taglio della montagna e poco altro, quello è dove si deve passare per arrivare ai 2.900 m del passo. Freddo intenso, vista che rimette di buono spirito, anche se la pessima strada che s’intravvede da percorrere in discesa non è invitante, ma è da farsi. Questo è l’unico accesso al Tusheti su strada, se così è concesso di chiamarla, indubbiamente l’angolo più remoto ed inaccessibile d’Europa che ci accoglie scoprendosi proprio prima di giungere a destinazione (sarà perché le sottilette con pezzetti di maiale comprate per caso al market e non terminate le abbiamo lasciate lungo il pecorso?). Facciamo tappa presso una fortificazione lungo un’ansa del fiume Gometsris Alazani dove rimirare la prima delle case torri tipiche di qui (si differenziano da quelle dello Svaneti perché costruite a secco, infatti ne restano intatte ben poche) e il tempo magicamente volge al bello. Omalo sarebbe giusto sopra di noi a poco meno di 2.000 m, ma per raggiungerlo c’è ancora un tortuoso tratto di sentiero, ma noi ci fermiamo all’hotel, una grande casa di legno nel mezzo della valle, circa 2,5 km prima di Omalo. Le sistemazioni sono tipiche da baita di montagna, solo 2 camere sono dotate di servizi interni, una curiosamente ha il bagno in terrazza, mentre per il resto vi è un bagno comune interno (utilizzato anche dai proprietari) altrimenti i servizi esterni in costruzioni di legno, qui per la doccia occorre avvisare con almeno 30’ di anticipo perché fa attivato il fuoco, ci si ritrova poi con una doccia favolosa, esperienza da fare magari non quanto il tramonto è già sceso giacché manca l’illuminazione. Col bel tempo e con ancora qualche ora di sole intraprendiamo una passeggiata verso Omalo, ci fermiamo al Cultural Center da cui si può accedere al belvedere verso Tsokalta. Rientrando ripassiamo la strada e prendiamo il bosco opposto con viste sulla parte alta di Omalo, ben tratteggiate delle caratteristiche case torri, parte denominata Zemo Omalo. Cena in hotel, in realtà pare di essere in famiglia, pranziamo tutti assieme con altri viandanti in parte provenienti da Israele e altri dalla capitale, Tblisi, cena abbondante con birra fatta in proprio (da noi si direbbe artigianale, qui è servita come clandestina), vino del Kakheti (che riscuote più successo rispetto ai precedenti) e torcibudella locale. Fuori è fresco ma bello, allora s’improvvisano canti e danze locali, usando fanali delle jeep per vederci, stereo sempre delle jeep per le canzoni georgiane, mentre per quelle italiane che improvvisiamo (gli israeliani ci chiedono Bella Ciao, che ovviamente proponiamo) si va a braccio, finendo per far festa mentre gli israeliani al settimo cielo riprendono tutto. Almeno non potranno mettere tutto in rete immediatamente così da non incorrere in un ortodosso integralista che ci vuole sopprimere seduta stante, nel Tusheti la rete dati non c’è ancora, mentre segnale telefonico nei piccoli villaggi c’è, fortunatamente non nel nostro hotel così nessuno finisce per isolarsi e la festa è di tutti. Si va a dormire nel silenzio assoluto esterno (l’energia elettrica è prodotta dal fotovoltaico e dal geotermico, i generatori che aiutano vengono spenti dopo un certo orario) mentre le sottilissime pareti di compensato lasciano passare i ronfi di chi ci ha dato maggiormente col bere e col mangiare. Percorsi 100 km, 72 dei quali in condizioni inimmaginabili.

 

Le case torri di Omalo

     

8° giorno

La giornata si accende splendida già dalle prime luci dell’alba, le finestre senza tende lasciano intuire che terminata colazione sarà un giorno da escursioni e visite, appena mettiamo il naso fuori il blu del cielo e il verde dei prati sono talmente intensi che paiono ritoccati con Photoshop. Coi Delica andiamo direttamente a Dartlo, 12 km che tra soste varie, strada pessima e perfino traffico (basta incontrare un mezzo in direzione opposta ed è già un problema) impieghiamo quasi un’ora. Dartlo è posta in luogo da cartolina, le case torri a fianco del fiume che precipita in una cascata, la valle che si apre e lassù Kvavlo con a sua volta una casa torre che troneggia imperiosa su tutto il Tusheti, anticamente usata come osservatorio. Partiamo immediatamente a piedi, il sole batte intenso e la salita è dura ma breve, in 45’ di passo tranquillo si raggiunge il minuscolo villaggio che domina la vallata principale del Tusheti. Lasciato in parte andare, il fascino di ultimo avamposto della civiltà è fortissimo, una famiglia ha messo in opera una sorta di caffè dove far sosta, ovviamente all’aperto. L’antica casa torre che troneggia da quassù (siamo circa a 2.250 m, 350 m più in alto di Dartlo) purtroppo è in ristrutturazione, o forse solo attorniata da impalcature che fanno da protezione. Prati verdi in ogni dove, poche le montagne con un attacco di neve, occorre andare oltre i 4.500 m per avvistarla, da qui più sentieri partono per il confine russo raggiungibile senza troppe difficoltà, la Cecenia si trova ad un tiro di schioppo, in tutti i sensi… Una volta rientrati a Dartlo sosta in uno dei vari bar-ristorante dove s’incontrano diversi viandanti, il luogo è adatto a lunghe passeggiate a cavallo, mezzo ideale per chi con vari giorni a disposizione intende inoltrarsi per le valli minori, difficilmente raggiungibili anche con agili 4x4, incontro alcuni motociclisti provenienti dalla Russia i quali mi dicono come in moto il passaggio sia fattibile, ma moto agili rigorosamente con gomme tassellate, tanti, tantissimi guadi dove è impossibile passarla sempre liscia e tempo a disposizione per doversi fermare nel mezzo del nulla e accamparsi, non si riesce a raggiungere un paese in unica tappa. A Dartlo visitiamo il Sabtcheo, l’antico parlamento all’aperto contraddistinto dalle 12 pietre posizionate in corrispondenza dei tribuni, luogo che serviva anche come tribunale. La chiesa semi diroccata sorge in corrispondenza di un antico altare all’aperto denominato kathi destinato a sacrifici e di conseguenza l’area è vietata alle donne. Sempre in zona sorgono ancora i resti di due akladama, costruzioni dedicate ai lebbrosi. Rientriamo con sosta a Omalo per ammirare la parte di Zemo dove fanno bella mostra di sé un gruppo importante di case torre abbarbicate su di una collina a strapiombo sul fiume. Saliamo fino alla cima dove una di queste farebbe da museo, ma l’addetto non è nei paraggi e quindi la visita c’è negata, rimane intatto lo splendore del luogo che ci godiamo più a lungo. Omalo, che da lontano non è visibile, è un piccolo villaggio in una conca in pieno sviluppo turistico, quasi ogni casa si propone come home stay, ma in un periodo come questo senza prenotazione è dura. I servizi da basici si stanno alzando, quasi ogni casa sta costruendo una dependance per gli ospiti, facile trovare le famiglie che si spostano nel fienile per lasciare spazio agli ospiti, una manna dal cielo per questa popolazione all’oggi, difficile poter capire che cosa ne sarà di queste comunità montane un giorno che un turismo più invasivo potrà essere veicolato con più facilità, oggi arrivare rimane una piccola impresa. La lunga giornata non è terminata, non abbiamo tempo per escursione a piedi ma un “salto” a Shenaqo col 4x4 è fattibile, per arrivare occorre scendere e risalire la valle a nord-est scavata dal fiume Pirikita Alazani, sentiero pessimo, il chilometraggio è limitato il tempo di percorrenza no. L’ultimo chilometro preferiamo farlo a piedi, Shenaqo è il villaggio più abitato e non presenta case torri, le abitazioni sono però molto caratteristiche, in ardesia con terrazzi di legno, le strette viuzze hanno alcuni divieti per le donne per la solita questione degli altari all’aperto, o in alcuni casi nemmeno questi ma solo angoli dedicati ai sacrifici, come il khati che si trova nella collina a seguire quella dove sorge l’unica chiesa della regione dedicata alla S. Trinità, non particolarmente antica e datata 1.837 ma in splendida posizione panoramica. Qui i sacrifici sono ancora all’ordine del giorno, troviamo traccia di resti di ovini, corna, pelli e ossa, ma la gente che ci abita è tranquilla e ben contenta di imbattersi in stranieri interessati alla loro quotidianità. Così impariamo che questa remota regione è abitata solo in estate, durante l’inverno il Tusheti viene abbandonato sommerso dalla neve, una famiglia per ogni villaggio presidia a turno e il passaggio di consegne è compiuto con trasferimento in elicottero non esistendo una via percorribile a parte nei mesi estivi, e come accennato in precedenza non sempre. In questi tre mesi si coltivano i campi, si  accudiscono gli animali nei pascoli e si costruiscono suppellettili, oltre a sistemare le abitazioni, e dalle città vengono mandati in vacanza i bambini per un contatto con la montagna e le tradizioni. Se a poca distanza da Kvavlo si poteva giungere in Cecenia, a poca distanza da Shenaqo si può giungere in Daghestan, sempre per rimanere in zone tranquille, ma di questo passaggio non so dire a riguardo di sentieri o passi, riferisco solo quanto mi dicono gli abitanti, ovviamente sempre a mezzo della traduzione della guida. Rientriamo giusto in tempo per un tramonto da sogno con sullo sfondo le torri di Zemo Omalo, il fuoco è già stato attizzato per una doccia rigeneratrice, a seguire cena ancora migliore e più abbondante di quella del giorno precedente. Questa notte niente feste, il gruppo festoso della sera precedente è già partito, così nel buio più totale ci mettiamo a rimirare le stelle cadenti. Percorsi 51 km, tutti su sentieri pessimi.

 

continua...

 

Tra Grande e Piccolo Caucaso - I

 

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Luca COCCHI

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