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Nel cuore della Papua Nuova Guinea - V

Diario di viaggio nella grande isola oceanica

 

... segue

 

17° giorno 

Reduce da una  notte con temperature elevate pure in riva al mare, veloce passaggio in bagno (ovvero utilizzo dell’acqua nei secchi) e poi colazione congiunta, con uova, frutta e caffè (qualche busta di tè si scorge ma non contateci) poi con Denis, cugino di George o così si dice, come guida parto per un’escursione a una delle attrattive dell’isola, i resti della contraerei giapponese. Già, Muschu è stato un centro nevralgico durante la seconda guerra mondiale, qui per tutti WWII, e attraversare la foresta alla ricerca di questi reperti è una delle attività preferite dai più. La WWII è stata feroce anche da questa parte dell’emisfero, noi studiamo quanto accaduto in Europa e piccoli accenni fuori dai nostri confini tipo Pearl Harbour, Hiroshima e Nagasaki, ma qui hanno picchiato duro. E allora lascio la tranquillità della spiaggia paradisiaca per immergermi nella foresta. Ovviamente qui nel mezzo, dove sovente la luce del sole fatica a farsi strada, l’umidità la fa da padrona, i sentieri che tagliano l’isola sono identificabili solo da un indigeno del posto, attraversiamo alcuni villaggi dove Denis è sempre ospite gradito, soprattutto se in compagnia di stranieri. Il machete che fa da suo compagno di giochi è quanto mai utile per tagliare radici, arbusti, rami e così via lungo un groviglio di sentieri via via sempre più impenetrabile. In circa un'ora, con soste presso villaggi o capanne nel nulla arriviamo a destinazione, presso due postazioni di contraerea giapponese ancora visibili nel mezzo della fitta foresta. Qui i giapponesi fecero base dal '41 al ’43, luogo da dove controllare il pacifico per non fare arrivare gli alleati e poter dare l’assalto a Port Moresby senza eccessivi problemi lungo il Kokoda trail. Leggenda narra, la racconto per come mi è stata venduta, che negli anni ’80 un giapponese ancora nascosto nella giungla dell’isola è ricomparso tra la costernazione generale. Foto di rito coi reperti per poi tagliare l’isola verso un altro ritrovamento legato al conflitto. Riprendiamo uno dei sentieri percorsi in precedenza per lasciarlo ben presto, ancora foresta fitta fino a un villaggio dove posso osservare la lavorazione del bambù utile per costruire le case tradizionali, che va incrociato con un altro tipo di legno, sempre reperibile da alberi di dimensioni ridotte. Anche la daga, il rametto che serve per recuperare la polvere di kambang si trova numeroso, e infatti più volte Denis chiede se ho tempo per attendere che lui salga sugli alberi a recuperarne. Nessun problema perché fa altrettanto con le noci di cocco da cui ricavare acqua fresca di cui se ne necessita in quantità, questo permette di evitare di portarsi più borracce la seguito, le noci di cocco non mancano di certo. Ovvio che serva una certa abilità per aprirle adeguatamente, ma chiunque viva qui con quattro veloci e precisi colpi di machete è in grado di farlo. Arriviamo nei pressi di un aereo americano abbattuto dalla contraerea giapponese, pezzi sparsi su ampia superficie con la natura che ha già fatto il suo corso e si è impadronita di più parti, come essere ad Angkor Wat ma al posto dei templi trovarci resti di aerei. Rientriamo alla base, il giro dura poco più di due ore con soste sia per vedere i resti della WWII, sia per fermarsi presso alcuni villaggi del posto, Denis chiede 25k per ogni escursione, non varia a secondo della lunghezza e del tempo impiegato. È informato sui fatti dell’isola, parla un sufficiente inglese, non è assolutamente logorroico come altre guide del posto, lo assoldo anche per l’escursione ben più lunga dell’indomani. Per oggi basta, sfrutto l’amaca nell’attesa del gruppo australero oggi in escursione sulla vicina isola di Kairiro, passo tra bagni in un’acqua molto calda vicino a riva, meno quando ci si allontana, a lettura sull’amaca. In acqua pochi pesci ma nessun disturbo di meduse o altro, a parte il sole che brucia, e a causa del quale ci consigliano di andare in acqua protetti da una maglietta. Nel frattempo tratto con George un eventuale spostamento su altra isola, definisco tra tre giorni di andare a Yuo Island dove conosce un amico che gestisce una guest house, per il trasporto in solitario mi chiede 100k, questi anticipati perché deve predisporre la lancia e la benzina. Tramonto fantastico, con tutto il gruppo rimaniamo a rimirarlo fin quando il mare si colora di rosso dopo che la foresta pare aver preso fuoco, è già buio quando andiamo a cena, terribile, ne godranno a lungo i cani. Solite misure precauzionali verso le zanzare, se sulla spiaggia la temperatura e fantastica, all’interno della capanna il solito caldo, fortuna che ad un certo orario un acquazzone si abbatte sull’isola portando oltre al presumibile fango sui sentieri anche un po’ di refrigerio.

 

La spiaggetta davanti ai nostri bungalow - Copyright Pianeta Gaia

 

18° giorno

Colazione pessima, al posto delle uova c’è una sorta di pancake spesso, crudo e insapore, cani ancora felicissimi. Saluto le australiane che rientrano al lavoro nel pomeriggio (non mi paiono sottomesse a ritmi lavorativi dittatoriali, anzi…) per partire sempre con Denis all’escursione della Swimming Pool, una sorta di piscina naturale nel mezzo dell’isola, o meglio dall’altro versante. Ci si può andare in lancia in poco tempo e veloce camminata, il bello però è attraversare tutta l’isola, vedere foresta, baie, villaggi, passare su tronchi che fungono da ponti, salire su colline dove godersi il panorama ed imbattersi in ulteriori resti della WWII. Parto quindi di nuovo con Denis e con un suo amico che proviene da un villaggio di una tribù diversa. Già, anche su questa piccola isola ci sono tribù distinte con tradizioni proprie e linguaggi non comuni. La moglie di Denis, che viene dal piccolo villaggio di Bam, parla una lingua diversa, integrazione perfetta. Il percorso parte costeggiando la spiaggia, raramente ci immergiamo nella fitta giungla per i primi 45’, nei dintorni del villaggio di Marai iniziamo a tagliare Muschu. La foresta si fa fitta, i passaggi non sempre semplici causa anche la pioggia della notte che ha reso i sentieri veri e propri acquitrini, alcuni passaggi avvengono su tronchi che attraversano profondi canyon, non così banale. Giungiamo in prossimità di un airstrip attorniato da alcune costruzioni, tra le quali la prima scuola dell’isola, ora ve ne sono altre e i bambini accedono alla più vicina così vanno regolarmente a scuola, a differenza di un tempo. Nei paraggi vi è l’unica possibilità di avere un minimo di segnale telefonico, non che m’interessi, ma mi accorgo della cosa perché sento suonare il telefono dopo giorni di morte apparente. La swimming pool è nei paraggi, una pozza verdissima, fresca e a sbalzo sulla baia, un invito a tuffarsi impossibile da rifiutare. Ritemprante come nulla d’immaginabile dopo la lunga scarpinata, si può anche evitare di asciugarsi tanto riprendendo il cammino si suda al solo pensare. Scendiamo alla Muschu Bay, dove la foresta di mangrovie entra in acqua passando dalla laguna verde all’oceano blu, luogo incantevole. Poiché agli occhi delle guide son parso un buon camminatore, mi propongono un rientro più lungo ma con la possibilità di passare per qualche villaggio e la vista di altri reperti di guerra giapponesi. Accetto la proposta e partiamo per Bam, il villaggio dove risiede la suocera di Denis che troviamo sulla soglia della capanna in abbigliamento tipico. Rimane interdetta per l’arrivo imprevisto di uno straniero, si ripresenta vestita “moderna” mentre nel frattempo una selva di bambini è arrivata a rimirare il viso pallido, giocano con maialini come da noi si gioca con un cagnetto, nel frattempo noci di cocco per riprenderci e dopo qualche domanda su da dove vengo (Italia non pervenuta da queste parti, vicino alla Germania e fin lì ci arrivano) riprendiamo il cammino del ritorno. La via maestra che taglia l’isola senza portare in realtà da nessun parte è nel mezzo della foresta sovrastata da rami cadenti, qui scorgo due jeep giapponesi rimaste intrappolate nella giungla. Di una mi sono spiegati i minimi dettagli, non si trovano più i pistoni perché li hanno utilizzati per usi domestici, ma è ancora ben visibile il motore. Nei paraggi sorge la collina più alta dell’isola, vi si accede per una scalinata decrepita, viene utilizzata per le preghiere alla madonna con tanto di altarino e ora la chiamano appunto la collina della madonna dove vanno gli sposi nel giorno del grande evento. Da qui si riesce a scorgere in più punti in lontananza l’oceano, cosa mai fattibile nel resto della giungla. Il lungo rientro passa per qualche piccola cascata dove facciamo una specie di doccia, fondamentale poiché non si trova presso la guest house, e arriviamo a Sup dalla parte inferiore. Noto che il villaggio non è formato solo dalle poche capanne sulla spiaggia, c’è pure un centro sportivo, una chiesa, passo dalla scuola che però ora è già chiusa e ci fermiamo presso alcuni locali dove Denis recupera qualche foglia di tabacco essiccata che inserisce in un pezzo di giornale per una sigaretta artigianale. In effetti tutti fumano ma di pacchetti di sigarette non v’è traccia, chiunque essicca il tabacco e recupera un po’ di carta per fumarlo, a parte il tabacco non c’è nulla di più nelle loro sigarette. L’escursione è durata sei ore, comprese soste per bagno, chiacchiere con locali e digressioni lungo il percorso, Denis parla di una distanza tra i 15 e i 20 km, percorso non semplice per via del fango, delle radici e dell’umidità, quasi tutto in piano però. Tempo di relax, l’amaca oggi è tutta per me, mi trasferiscono in un bungalow solo per ospiti dove sono completamente solo, mi godo il tramonto ma Josephine ha fretta di chiamarmi a cena, non essendoci ospiti stranieri ma solo alcuni locali che fanno tappa qui di passaggio da un’isola all’altra, le loro abitudini prevedono cena alle 18, già arrivare prossimi alle 19 è un regalo che mi fanno. Siamo in 5, ma solo uno di loro parla inglese, proviene da Aitape e mi racconta vari fatti che accadono sulla costa e sui vari mercati prossimi e poco oltre il confine con l’Indonesia, nazione con la quale la PNG si divide l’isola. Con qualche info in più sui luoghi provo a dormire quando il generatore continua a ronzare e il caldo non abbandona il bungalow. Ritorno all’amaca per godermi un minimo di brezza, ma leggere non è semplice perché le zanzare sono attratte dalla presenza di un obiettivo da attaccare, e rimanere vestiti come in montagna su di un’amaca in spiaggia non è il massimo.

 

Residui bellici della Seconda Guerra Mondiale - Copyright Pianeta Gaia

 

19° giorno

Colazione abbondante bagnata dal caffè, poi ha inizio la giornata destinata all’ozio visto che domani dovrò partire per una nuova isola da visitare. Quindi tappa all’amaca per lettura intervallata dall’osservazione della vita quotidiana di un’isola nel nulla. Passa un sacco di gente senza fare mai nulla, George in teoria sta ampliando i suoi possedimenti con la costruzione di un nuovo e grande bungalow, ma gli addetti che vi lavorano pare lo utilizzino più per andare a dormire che per farlo crescere. L’unica che non stacca mai è Josephine, che oltre a mantenere immacolata la sua cucina all’aperto completa di un’infinità di stoviglie (ci pensano grandi foglie di banano a far da tetto per le immancabili piogge) spazza e pulisce il litorale, sistema i bungalow e rammenda i pochi vestiti a disposizione. A metà mattina George mi segnala che andrà a prendere i miei amici per portarli sull’isola, chiedo meglio e mi conferma quanto detto, stento a crederci, dovrebbero essere ancora nel Sepik per un itinerario completamento diverso, mah, saranno sì italiani che immagina come miei amici ma non proprio loro. Invece verso le 13:30, giusto dopo aver gustato un’altra barretta energetica che fa da pranzo li vedo arrivare sulla lancia di George. Li accolgo stupito, mi racconteranno che la loro guida, come immaginabile, non ha mantenuto le promesse, già dal secondo giorno soldi e guida erano spariti e dopo aver subito l’assalto dei topi in una stamberga pagata di tasca loro hanno deciso di abbondare la spedizione nell’alto Sepik e trovare rimedio qui. Info ai più, l’alto Sepik non è al momento il posto più interessante dell’area, tutti si stanno dando alla riproduzione dei coccodrilli che ha cambiato in toto l’economia del luogo, tradizioni spazzate vie in poco tempo e zero tempo per raccontare fatti e misteri ai rari avventori. Molto meglio far tappa nel Middle Sepik attorno al Chambri Lake, fango a parte, ma lo si affronta. Ma torniamo a noi, sbarcati li accolgo come se fossi qui da sempre, cosa fare, dove andare, come sopravvivere, il bungalow si ripopola e nel pomeriggio la priorità diventano i bagni nella favolosa baia antistante Sup. Abbiamo così occasione di sperimentare la doccia da viaggio by Decathlon, che riempiamo da una delle bacinelle e fissiamo ad un albero, grazie al caldo e al sole ci troviamo così con una vera e propria doccia calda a disposizione, una chicca fuori dall’ordinario per il luogo. George, che ha fatto un passaggio in ospedale a Wewak per medicinali antimalarici, continua a star male ma per l’indomani ci promette il funzionamento dell’impianto idrico. Non faccio tempo a raccontare meraviglie del tramonto che quello già si prende la scena, siamo chiamati a cena sempre in anticipo ed oggi siamo in buon numero, ancora il marinaio di Aitape che racconta storie di navigazione tra isole e collegamenti sulla terra ferma, luoghi che però ben difficilmente potremo visitare. Cena decente, ci servono una specie di tonnetti con una leggerissima impanatura che deriva da un frutto locale, quale proprio non saprei, non ne troviamo una traduzione. Luce sul tavolo grazie al generatore, rumore che accompagna in lungo la notte, il caldo la fa sempre da padrone così anche se intabarrato quasi da inverno passo tempo sull’amaca a leggere.

 

Per attraversare la jungla dell'isola, il machete è imprescindibile

 

20° giorno

Colazione in relax con opzione tè che accompagna il caffè (gli amici hanno buona parte delle scorte del Sepik con loro), do un po’ di dritte per eventuali escursioni, così alcuni vanno a vedere i resti della presenza giapponese mentre c’è chi si prepara per la swimming pool dell’indomani. Con loro arrivo cambio il programma e rimango in loro compagnia, così non farò il passaggio a You Island e ridefinisco la presenza a Muschu, dopo il solito relax su amaca e fide letture (quanto mai utile il kindle, altrimenti per i 10 libri letti in viaggio mi ci sarebbe voluto mezzo zaino) faccio un giro di Sup per capire come viva la popolazione del luogo. Negozi non ne trovo, c’è giusto un bungalow che vende noodles, gallette, patatine & salatini e qualche bibita, un altro lodge come lo chiamano loro che altro non è che qualche bungalow basico gestito dal fratello (o presunto tale di George) in condizioni più umane di quello dove risiedo, dietro alla parte sulla baia ci sono la scuola, la chiesa cattolica alcune capanne che fungono da uffici governativi, capanne comuni dove alcune sere sono proiettati film in dvd e poco altro, la popolazione se ne sta per lo più nella giungla a coltivare tabacco, bambù utile in mille modi, ma il tutto con ritmi da rimanere staccati da un bradipo. Del resto perché correre, fa caldo, si suda e quel poco che serve sono le noci di betel, il kambang e un poco di carta per fare sigarette col tabacco che cresce qui. Al rientro noto che nella veranda del bungalow ci hanno portato un ingente numero di noci di cocco, provo ad intagliarle ma l’operazione non è semplice con un coltellino svizzero. Uno dei nullafacenti carpentieri in zona ci mostra come fare provando pure lui ad evitare il machete, non semplice anche per uno così pratico, forse perchè mai fatto in quel modo, ma ci riesce, alla lunga impiegando circa 30’ ce la facciamo anche noi, importante non avere una sete assassina… Solita barretta energetica per tirare sera ed evitare un possibile pessimo pranzo e nel pomeriggio tempo per il tragitto amaca-oceano, non male. Giornata più ventosa delle precedenti, col vantaggio che il caldo non da fastidio, ma occorre fare particolare attenzione al sole poiché il percepito del calore è minore ma i danni del sole non calano, anzi. Tramonto da cartolina, ma ormai è scontato, lo si rimira comunque tanto il tempo gioca per noi, poi cena a cui arriviamo dopo una nuova doccia by Decathlon. George ha sistemato anche il discorso arrivo dell’acqua, ma ha posizionato ampi barili proprio in area cucina così da renderne difficile l’utilizzo se non si vuole mostrarsi a tutti mentre mangiano o chiacchierano. Il pesce che ci è proposto questa sera è scadente, alternative non ne abbiamo e occorre farselo piacere, poi rimaniamo a bordo oceano con una mezza luna che pare un lampione a led, in una serata in cui la leggera brezza spinge via le malefiche zanzare. Il vento però si alza e si vedono arrivare grandi nubi che non rimarranno inermi.

 

800

Una piccola baia dell'isola circondata da mangrovie

 

21° giorno

Niente caldo questa notte, la pioggia battente ci accompagna a lungo e quando è tempo di colazione tutto è umido e bagnato. Questo clima uggioso ma non freddo si protrae a lungo nella mattinata mentre sul mare si odono tuoni, dall’interno arrivano invece suoni di musiche tradizionali fatti coi tamburi, gli antichi drum come un George non ancora risistemato ci racconta. Le storie dell’isola sono comunque legate alla WWII, i più narrano di vicende raccontate poiché gente che visse quei tempi non se ne trovano più. Tempi durissimi, esecuzioni sommarie, si cercava di togliere le abitudini e soprattutto le usanze delle Haus Tambaran (le case degli spiriti), viene da pensare che dove non riuscirono con la forza gli invasori ci stiano ora riuscendo loro stessi con lo studio e la scuola. I resti dei giapponesi sono però una manna dal cielo per l’isola che richiama turisti anche per questo motivo, a differenza di altre piccole isole nei dintorni. Una vera e propria guerra di liberazione sull’isola non ci fu, i Giapponesi se ne andarono una volta scacciati dalla terraferma in seguito ad accordi, mentre nemmeno gli Australiani che presero il controllo della PNG fino al 1975 arrivarono qui. Nel pomeriggio il tempo tende a migliorare così da poter procedere agli ultimi bagni nell’oceano del viaggio, alternati alle ormai abitudinarie letture per un relax assoluto. Il tramonto non tradisce nemmeno questa sera, salendo su di un robusto albero che emerge direttamente in spiaggia c’è la possibilità di goderselo praticamente nel mezzo del mare. Cena al solito antelucano orario, passabile ma non proprio il massimo, ancora tonnetti ma stopposi come non mai, prendiamo congedo dalla solita verdura che ormai ha stancato anche i vegetariani incalliti per passare un’ultima serata ad ascoltare  storie di qui tanto provare a dormire col solito generatore che produce rumore non è possibile.

 

continua...

 

Nel cuore della Papua Nuova Guinea - I

Nel cuore della Papua Nuova Guinea - II

Nel cuore della Papua Nuova Guinea - III

Nel cuore della Papua Nuova Guinea - IV

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Luca COCCHI

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