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Nel cuore della Papua Nuova Guinea - IV

Diario di viaggio nella grande isola oceanica

 

...segue 

 

13° giorno

Ore 7, colazione preparata dai gestori in guest house, sempre loro ci chiamano un PMV per Mt. Hagen che ci recupera qui ma prima che parta ne passa. Sosta per controllo gomme, direi pressione visto che il battistrada è già abbondantemente slick da mettere in difficoltà pure Marc Marquez… Giriamo lungamente nel centro di Goroka a cercare avventori, da quando siamo saliti sul PMV alla partenza vera e propria passa un’ora esatta. Riprendiamo la solita Highlands Highway e con passo sostenuto oltrepassiamo il Daulo Pass per la prima sosta in concomitanza di alcuni banchetti e baracche che fungono da locale autogrill. Strada polverosissima, ma il pilota è in cerca di tempi da pole position e vola alla velocità della luce, così con soste da pit-stop box Ferrari tra scendere e salire arriviamo a Mt. Hagen in 4:30 perdendo oltre 45’ solo per la tratta aeroporto-centro città, in condizioni ignobili. Giornata splendida, possibilità di vedersi i panorami, soprattutto quelli salendo e scendendo il Daulo Pass più volte a strapiombo nel nulla. Facciamo tappa alla Missionary Home dove c’è l’uso cucina e così ne approfitto per un giro all’Hagen Market, conosciuto anche come mercato del “fresco”, bello e molto caratteristico, fornitissimo di prodotti della terra di ogni tipo a prezzi ottimi dove faccio spesa per i prodotti che accompagneranno spaghetti e tonno. Per le bevande occorre però andare ad un supermarket vero e proprio (solo la terribile acqua Natural Own) ma niente birre, pare che in tutta la città si trovino solo negli hotel o al Pub Hagen Club, ma forse sono gli addetti della missione a scoraggiarci. Rientrati in guest house approfittiamo del tavolo da ping pong per una seduta altamente adrenalinica con a fianco missionari-vacanzieri che continuano indefessi a leggere mentre la pallina più volte li disturba, finendo poi a prepararci una corposa e gustosa cena. Siamo gli unici ad usufruire nella serata della cucina quindi spazio e tempo tutto nostro, cenato e sistemate le stoviglie c'è tempo per conversazione con Eric (il gestore della gues thouse) e seduta di connessione col mondo, questa volta gentilmente offerta. Eric è l’unico gestore di questa missione che abbia riconfermato il mandato dopo il primo ottenuto di 4 anni, non sa se sia più pazzo o che altro, la vita qui è dura e soprattutto i figli (a quota 4 con un nuovo arrivo nell’annata) hanno pochissime possibilità d’integrazione vivendo in pratica rinchiusi tra le alte barriere di protezione della guest house. C’è ospite anche la sorella della moglie, che senza lavoro negli U.S.A. aiuta nella quotidianità da oltre un anno. Caffè e tè son sempre a disposizione gratuitamente, altre bevande si possono acquistare dal frigo così come generi di prima necessità e souvenir, in vendita alla reception che funge anche da piccola bottega di fortuna per evitare i contrattempi della città.     

 

Cibo di strada a Wewak - Copyright Pianeta Gaia

 

14° giorno

Notte particolarmente fredda, i pesanti panni, che parevano un’assurdità, una volta entrati in camera trovano il loro impiego, colazione che ci prepariamo da noi in cucina, poi sistemati zaini e bagagli col pulmino di Eric andiamo in aeroporto per una via molto più lunga ma senza buche e disastri vari. Si entra in aeroporto chiuso ai non viaggiatori da pesanti cancellate, al check-in di PNG Air non c’è nessuno, operazione velocissima, così come i controlli. Dispongono di raggi X ma nessun problema nell’imbarcare liquidi (comprese bottiglie aperte e mezze vuote) tagliaunghie, coltellini e così via. Ci sarebbe un wi-fi ma è quello interno per gli addetti all’aeroporto, le persone con cui ho parlato non hanno idea di una password, diciamo che hanno altro da fare o nulla da fare e si godono il tempo. I black-out elettrici sono vari, ma nessuna paura, tanto info sui voli non ce ne sono, basta attendere, a voce vengono chiamati voli e destinazioni, con un ritardo di 45’ ci indicano a gesti di alzarci e andare all’aereo attraversando il parcheggio dell’aeroporto dopo che il numero di posto ci è variato. Saliamo dalla porta posteriore e notiamo come la numerazione parta appunto dal fondo e non dall’inizio. Aereo in condizioni decisamente migliori di quello di Air Niugini ma anche qui nessun servizio ristoro in volo, anzi nessun servizio e basta. Atterriamo a Wewak dopo che l’ATR72 ha completato una bella inversione sul mare regalandoci una grande vista della costa e dei promontori, l’aeroporto è minimale e il clima che ci accoglie è caldo e sudaticcio già al primo passo. La riconsegna bagagli è fatta alla “mongola” (rammento qualcosa del genere ad Altai-Gobi) appoggiando tutto su di un tavolaccio ed ognuno si servi, fortuna che gli zaini arrivano prima di valige, pacchi di cartone e sporte varie, così ci togliamo dalla calca immediatamente. La nostra guida per l’escursione nel Sepik ci identifica (ovvio, siamo gli unici non locali) e ci fa segno di seguirci al suo pulmino da dove arriveremo in città presso la CBC guest house, una grande struttura su più unità abitative dotate di ventilatori che mitigano il caldo asfissiante. Sorge sul promontorio di Wewak Town, il quartiere della borghesia ricca e dei turisti, i pochi turisti che passano da qui. Con la guida i miei amici definiscono gli aspetti degli 8 giorni nel Sepik, ovviamente la cifra programmata varia, ma definita partiamo per il centro città dove far spesa e cambiare la valuta, perché come al solito accetta sì dollari ed euro ma solo se cambiati in kina… Wewak è piena di gente e negozi, funge da hub per tutti i villaggi dell’area, non c’è problema nel reperire quanto si necessiti per giorni fuori dalla civiltà, anche il cambio valuta in banca avviene con velocità ormai inattesa. Il luogo pare molto più vivibile e tranquillo di Mt. Hagen, anche se pieno ovunque di gente, risaliamo alla guest house e la guida cambia il costo dell’escursione alzandolo, generando già confusione ed insicurezza, sarà che le scarpe da trekking che aveva chiesto per lui e per la moglie a uno di noi gli sono addebitate così come specificato fin da subito, mentre un vecchio notebook rimane un gentile omaggio (col senno di poi un errore da non fare). Chiusa questa lunga parentesi con gli accordi per l’indomani, tutto molto vago ma in teoria c’è una carta scritta via mail avallata dalla guida, su consiglio della guardia del CBC andiamo a cena al Village-in, arriviamo alle 20 che pare già notte e fuori orario. Si tratta del ristorante di uno dei grandi hotel presenti sul promontorio, qui esistono solo ristoranti di questo genere, mangiamo bene approfittando del buffet gratuito che comprende assaggi stile antipasti e tanta frutta. Qui si può trovare birra e vino, cosa non sempre fattibile in altri ristoranti o negozi. Rientriamo in un Wewak Point completamente deserto riprendendo in guest house l’abitudine delle partite a carte, visto che fuori da qui non accade niente, nemmeno presso i grandi alberghi tipo quello dove abbiamo cenato, e le attività sono regolate dalla luce del sole, quindi sveglia molto presto e cena anticipatissima.    

 

Servizio taxi per l'Isola di Muschu

         

15° giorno

Colazione tutti assieme in guest houes fai da te, attesa congiunta per l’arrivo della guida, ma alle 8:30 PNG time non c’è traccia. Verso le 9 dopo svariate telefonate senza risposta comunica che è in arrivo, e con giusto un’ora di ritardo si palesa adducendo un problema a una gomma. Saluto gli amici in partenza per il Sepik mentre il caldo già di prima mattina è forte e l’umidità complica il tutto. Provo a visitare il promontorio ma dalla guest house non vogliono assolutamente che mi rechi in giro da solo, così costituiamo un piccolo gruppo perché mi seguono la guardia della guest house e l’addetto vi staziona poichè tra le tante costruzioni nell’area della guest house alcune sono abitate da gente che non ha un vero impiego e sopravvive lì, sostenuta dalle organizzazioni umanitarie che mandano avanti il tutto. La CBC in realtà si tratta di una minuscola chiesa evangelica della Nuova Zelanda (Community Bible Church) come ben evidenziano le bandiere all’interno e il simbolo del kiwi, l’uccello che non vola, non confondiamolo col frutto! È una delle tante strutture finanziate dall’estero che permette, seppur malamente, alla PNG di procedere. Non v’è traccia però di addetti provenienti dalla terra madre, tutti locali a gestirla e occuparla. La zona del promontorio è tranquillissima, larghe strade percorse da rari suv dei facoltosi abitanti della zona, scendo al punto più a nord sempre scortato ma non mi lasciano fare il periplo lungo il sentiero esterno a bordo del mare, unica tappa al cimitero posto in fronte all’oceano. Il view point per il tramonto con vista sulle prospicienti isole lo segno per il pomeriggio. Rientriamo verso la guest house, e da qui scendiamo in città con la guardia che ci saluta, nella zona dove partono le lance per le isole s’intravvedono i resti di una nave giapponese arenata, MV Busama, ma di nuovo non mi lasciano arrivare fino alla costa nei pressi, così ci inoltriamo in città ancora presa d’assalto dalla gente che arriva da ogni dove a far provviste. Un susseguirsi di market, in larga parte gestiti da cinesi o indonesiani, in uno di questi, il grande Vanilla Room, faccio un po’ di provviste per i giorni a seguire e per il pranzo, trovando finalmente acqua minerale indonesiana, che rispetto a quella commercializzata da Coca Cola è oro puro. Provo a trovare un qualsiasi posto dove connettermi a internet, da una libreria all’ufficio postale a un’ONG di missionari statunitensi, ma non c’è modo, in quest’ultima un addetto mi lascia il suo tablet ma niente, connessioni inesistenti. Butto un occhio anche al mercato, ben tenuto e coloratissimo, mentre il caldo mi assale rientro in guest house dove sfrutto la cucina per un pasto veloce e per riprendere fiato coi ventilatori al massimo. A questo punto, con gli addetti che mi hanno abbandonato, dopo un veloce relax con lettura, ritorno a visitare più approfonditamente il Wewak Point attendendo il tramonto al view point al termine della via dietro al Paradise New Wewak Hotel, in compagnia degli sparuti turisti locali. Da lì, incrociando pure una chiesa cattolica che pare poco frequentata, arrivo fino al Wewak Boutique Hotel, mi è stato detto che sia l’unico in città dove connettersi ad internet, così da provare a riconfermare a George il mio tour dell’indomani. Lui sarà di rientro via barca da Goroka, ovviamente non da lì con la lancia, ma l’aveva lasciata al porto di Madang e sarebbe risalito bordeggiando la terra ferma. Il servizio internet sarebbe a disposizione solo per gli ospiti, mi danno comunque la password per il wi-fi che funziona pure a bordo piscina, anche se la velocità è lentissima e i black-out ripetuti. In pratica in un’ora faccio ben poco, spero che George riceva la mia mail e quando esco non vogliono i 7k che inizialmente mi avevano richiesto (mettiamoci pure le lamentele avanzate per la lentezza), ci sarebbero anche 3 pc in stanza dedicata ma probabilmente quelli sono usati solo dagli ospiti. Quando esco, alle 18:30 pare notte fonda, non c’è quasi più nessuno in giro, alcuni che mi vedono arrivare con la lampada facciale accesa cambiano velocemente lato, mi avranno preso per uno spirito maligno. In guet house chiedo all’addetta di telefonare per conferma a George la mia presenza, giusto per essere certo che l’indomani potrò partire, fa tutto con un’inattitudine al servizio al cliente da primato, ma più tardi tornerà a confermarmi l’appuntamento per le 9 dell’indomani. Doccia splendida anche se uscito dall’acqua il caldo e l’umidità continuano a imperversare e in bagno non ci sono ventilatori, poi con calma mi preparo la cena facendo conversazione con un tecnico informatico della capitale qui per lavoro, deve installare il sistema in una nuova filiale di una delle varie banche che stanno sorgendo in città. A lui Wewak pare un luogo lontano nel tempo, pioneristico e insicuro all’ennesima potenza, chissà se e quando lo invieranno a Tari cosa penserà. Coi ventilatori che lavorano vorticosamente passo il resto della serata a leggere col vantaggio che all’interno non c’è presenza di zanzare mentre all’esterno imperversano.

 

Tramonto sull'isola di Muschu

 

16° giorno

Colazione a ritmo lento in guest house ma alle 8:30, addirittura in anticipo, si palesa George e quindi velocemente devo preparare lo zaino e seguirlo all’imbarco, proprio ai piedi del promontorio. La navigazione sarà assieme ad un gruppo di australiane e una coppia malese che approfittano del fine settimana per un’escursione sull’isola di Muschu. L’attraversata a velocità sostenuta e lavate comprese dura 30’, poi entriamo in baia con vista da ultimo paradiso. Si sbarca velocemente e siamo allocati nei bungalow di George che gestisce assieme alla moglie ai figli e a una varia comunità. Il villaggio si chiama Sup del quale George è una specie di autoproclamato sindaco giacché la maggior parte degli introiti nasce dai suoi contatti con i visitatori. La struttura è più che basica, un materasso di 5 cm è posto per terra avvolto da una zanzariera, e la parte alloggio è terminata, per i servizi igienici se non si vuole utilizzare ogni volta l’oceano, a circa 100 metri si trova una cabina mezza diroccata con tenda che staziona sopra una fossa. Un trono di legno sarebbe la tazza, uso sconsigliatissimo, ma chiusa la tenda l’infinità d’insetti rimane fuori. Non v’è traccia di doccia, lavandino o altro, solo due bacinelle ai limiti della foresta dove un tubo porta gocce d’acqua. Salto il pasto e dopo aver preso visione con quello che per alcuni giorni a venire sarà la mia base, faccio un’escursione della baia di Sup fino al point che fa da volta tra baia e oceano aperto, nei paraggi s’intravvede anche una piccola barriera corallina. Le australiane si definiscono volontarie qui in missione, in realtà lavorano per enti governativi o ONG, tutte regolarmente pagate, diciamo che di volontario c’è l’aver accettato questa meta piuttosto che un’altra. Contratti che vanno dai 6 mesi ai 2 anni, quantità di birra, patatine e stuzzichi in gigantesca abbondanza, che ingurgitano tra un bagno e l’altro. Rimangono stupite dalla mia provenienza e dall’essere qui da solo, dopo alcuni bagni (George può fornire anche l’attrezzatura da snorkeling ma da quanto mi raccontano non ci sono pesci magniloquenti) è tempo di cena che come ogni appuntamento futuro con la tavola è preparato da Josephine, la moglie di George con aiuto sporadico da parte di alcuni dei 4 figli/e. La cena inizia al tramonto per sfruttare la luce, ma qui il tramonto è uno di quei pochi momenti imperdibili, quindi anche col fatto che siamo in tanti ci prendiamo tempo per recarci a cena addirittura dopo le 19, incredibile. Parlano tutti alla velocità della luce e in tono gergale, col mio inglese maccheronico riesco a far conversazione e nemmeno troppo bene giusto con le 2 persone che ho a fianco, la cena si svolge sotto a un pergolato con una lampada servita da un generatore che inizia a lavorare proprio per la cena e che senza capirne bene l’utilizzo rimarrà accesso fino a notte fonda. Non so da dove recuperino l’acqua che ci viene servita, sulle prime siamo tutti premurosi, chi ne ha scorta personale non usa quella fornita dentro a grandi e scomodi canestri per irrorare una cena disgustosa, non solo io fatico a mangiare quello che mi è servito, anche le australiane cedono il più ai cani che ci attorniano, simpatici, tranquilli e per nulla intraprendenti nei confronti del nostro cibo. Ognuno cerca un suo angolo da abluzioni nel buio, cercando di evitare zanzare e insetti, meglio utilizzare repellenti su di ogni centimetro di pelle scoperta, ma soprattutto utilizzare abiti con maniche lunghe e pantaloni anche quelli lunghi, per quanto scomodi, pure le calze servono. La notte è calda, se di giorno lo si combatte tra amaca, ombra e bagni, di notte dentro i bungalow praticamente sul fondo dove non scorre un minimo d’aria la temperatura è elevata nonostante un acquazzone si fosse abbattuto sull’isola nel pomeriggio. Utilizzo lo zampirone in camera per far sì che quando entro a dormire sotto la zanzariera le zanzare non mi seguano, anche se il materasso non è molto grande e muovendosi di notte si arrivi a contatto con la rete della zanzariera dove possono esserci questi famelici insetti. Fortunatamente le due australiane che dormono sotto le zanzariere nel mio stesso spazio non sono disturbate dai fumi dello zampirone e cerchiamo così di scongiurare eventuali punture. Non che le punture di zanzare siano un fastidio così forte, ma il pericolo di contrarre la malaria, se non elevato come in altre aree della PNG, non è totalmente scongiurato.

 

continua...

 

Nel cuore della Papua Nuova Guinea - I

Nel cuore della Papua Nuova Guinea - II

Nel cuore della Papua Nuova Guinea - III

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Luca COCCHI

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