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Magiche Faroe - II

Lo spettacolare arcipelago nel cuore del Mare del Nord

4° giorno 

Colazione in casa con le provviste dei giorni prima e poi via destinazione Saksun, uno dei più idilliaci villaggi faroensi, celebre per le sue case col tetto d’erba. Avendo programmato il trekking che ci porterà a Tjørnuvík, e volendolo farlo tutti assieme, prima arriviamo a Saksun, due “autisti” vanno con le auto alla meta finale dove lasciano uno dei due mezzi e rientrano. Il “gioco” riempie un’oretta che impieghiamo visitando la parte ovest di Saksun, quella che porta alla spiaggia nera da dove si gode un ottimo panorama sul villaggio e sulle cascate che lo circondano. Da lì occorre rifare la strada che costeggia il fiume fino all’unico ponte per andare al centro vero e proprio dominato dalla chiesetta bianca con tetto verde, ricongiunti coi driver iniziamo il percorso in una mattinata che si prospetta di bel tempo, qualche nuvola che velocemente passa e scappa via, poco male. L’ascesa è dolce e costante fino alle cascate denominate Gellingará, il sentiero ben indicato. Qui si trova il bivio, a destra si va a Haldarsvik, a sinistra a Tjørnuvík, nostra meta. Proseguiamo seguendo il corso del fiume che dà vita alle cascate, perdendo però il sentiero che passa molto più in alto e alla nostra destra, lo si recupera anche se i passaggi non sono agevoli. La vista sulla valle è spettacolare lungo tutto il sentiero, sia la parte in ascesa da dove si rimira il canyon che porta alla spiaggia nera di Út á Lónna, sia la parte precedente che pare formata da due laghi distinti, Saksunarvatn e Pollurin, anche se questo è già parte del mare. Il cammino centrale, in piano, regala la vista delle cime con le nuvole che le liberano e le imprigionano, dal blu intenso passando per il verde, tutto molto scenografico. Al passo vero e proprio (altitudine indicativa 500 metri), contraddistinto da un grande omino di pietra, la vista a nord spazia su tutti i promontori a nord delle isole, vedendo già da qui il Gigante e la Strega (Risin & Kellingin), enormi scogli nel mare (oltre 70 metri) facenti parte dell’isola di Eysturoy ma meglio visibili da qua. Non fosse per il forte vento, si potrebbe continuare a camminare in maniche corte, ma la discesa influisce nello smorzare i bollori ed è meglio rivestirsi. Sentiero segnato tra vari piccoli guadi, ultimo tratto in forte pendenza, si arriva al villaggio dopo circa 7 km, tempo impiegato 3:30 ore, con soste per foto e deviazione cascate, altrimenti in 3 ore il percorso è fattibile, ma perché privarsi del tempo di siffatta bellezza? Indicato dai più come il trekking più bello delle isole, conferma la sua nomea, va detto che siamo riusciti ad approfittare di una buona giornata dall’ottimo clima. A Tjørnuvík una sorta di bar all’aperto condiviso tra varie case e poco altro, il villaggio regala una bella vista dall’alto, incastonato in una baia naturale più che dal basso, non ha le tipiche abitazioni di Saksun, quelle sì iconiche. Ora dobbiamo tornare proprio là a recuperare una delle due auto, lungo la strada sosta volante alla cascata di Fossa, quella con la maggior portata di acqua dell’arcipelago, parcheggio sotto la cascata, comodissimo. Presso un distributore, l’ormai canonico hotdog e caffè americano, poi recuperate auto e passeggeri, trasferimento a Vestmanna per la minicrociera tra scogliere e avifauna. Prima giro del paese, che coi suoi quasi 1300 abitanti pare uno dei più grandi delle isole, per quanto molto anonimo, un porto, e come tutti i porti non particolarmente colorato e pittoresco. Alle 16, quando salpiamo, il clima è cambiato, le nubi hanno coperto il cielo, il vento spira intenso e il freddo ci proietta in inverno, si sta all’aperto iniziando a battere i denti. L’escursione di 2 ore diviene così un po’ anonima, le scogliere sono sì impressionanti ma indistinte, il mare nei paraggi agitatissimo, obbligatorio l’uso del casco quando si passa tra grotte e archi naturali, ma è quasi un bene, scalda! La celebre scogliera di Trøllkonufingur, 313 metri che s’innalzano come un dito accusatore verso il cielo, vanno e vengono tra nuvole infernali e grida di uccelli strazianti, pare un girone dell’inferno dantesco, peccato che la vista sia quasi esclusivamente in grigio ovunque, mare, cielo e scogliere, impietosamente gigantesche sopra di noi e alla nostra barca che pare un puntino nel vuoto. Rientriamo direttamente a casa, per godere al meglio di una lunga e fondamentale doccia calda. C’è pure tempo per programmare la lavatrice in dotazione e per una cena in casa. A seguire asciugatura lavaggio, termosifoni mai così utili. Percorsi 192 km, 55 dei quali evitabili se non si deve fare a/r Saksun/Tjørnuvík.

 

Il Gigante e la Strega visti dalla spiaggia di Tjornuvik - Copyright Pianeta Gaia

 

5° giorno

Colazione anticipata, ma sempre abbondante, partenza per destinazione “lontana”, isola di Kalsoy. Occorre percorrere il nuovo tunnel che sbuca nelle due uscite a sud di Eysturoy, attraversare quell’isola fino a Leirvik da dove il tunnel Eysturoyarvegur sbuca a Bordoy e far tappa a Klaksvik, la seconda città faroense. Qui ci sono i traghetti per Kalsoy, noi puntiamo a quello delle 10 decidendo di lasciare qui le auto. Per imbarcarle occorre arrivare molto presto, il traghetto garantisce posto a 12 auto (ce ne potrebbero stare di più, ma se ci sono camion il numero diminuisce), non è prenotabile e la popolazione locale ha la precedenza, quindi troppo vago come passaggio. Poco male, 15’ di navigazione, giunti a Syðradalur (isola di Kalsoy) un servizio bus parte nel giro di 5 minuti (30’ fino al villaggio a nord di Trøllanes) con possibilità di scendere negli altri due villaggi attraversati (Húsar e Mikladalur dove si trova la statua della donna foca e relativa leggenda, Kópakonan), passando per strettissime gallerie non illuminate, dove il bus passa a fatica, se s’incontra un’auto occorre che questa attenda all’ingresso, rare piazzole di scambio. Ma il traffico non è un problema, in pratica a quest’ora tutti vanno a nord, nessuno è già di rientro. Giunti a Trøllanes tutti scendono (il bus da 25 posti è esaurito anche negli spazi in piedi) e si parte per l’attrazione dell’isola, il faro di Kallur. Un’escursione in salita di 299 metri, a tale altitudine è posto il faro, gradevole e con belle viste per arrivare al promontorio a destra del faro da dove si trova la prima delle scenografiche vedute, raggiungibile senza dover passare per sentieri a strapiombo sull’oceano. Immancabile, ma indubbiamente quanto visto a profusione tra le escursioni imperdibili delle Faroe non è questa posizione, ma quella che si trova, una volta raggiunto il faro a nord, su di un promontorio raggiungibile con un sentiero completamente a strapiombo sull’oceano, 299 metri di scogliera a destra, 299 metri di scogliera a sinistra, passaggi non piani e un vento assassino. Vale la pena questo azzardo? Assolutamente sì! Vista mozzafiato, chi soffre di vertigini provi a farsi accompagnare o legare, non si può perdere questa vista. Il faro è di fronte, sotto il verde dei prati scivola nel mare profondo come se fosse una piscina naturale, gabbiani e loro amici vari volano imperturbabili sfruttando le correnti incredibili che si formano quassù. Da quanto ci dicono, il film di 007 No Time To Die contemplerà scene girate in quest’angolo di mondo, quando scrivo il film non è ancora uscito, anche se girato oltre 2 anni prima, il covid19 ha posticipato l’uscita nelle sale. Si ha poca voglia di scendere, prendo un sentiero che mi porta a sud del faro per averne un’ulteriore visione, proprio sotto il grande sperone che lo contrappunta, da lì seguo sentieri naturali battuti prevalentemente da pecore, le padrone del luogo, per ritornare a Trøllanes dal punto più alto così da godermi una vista diversa, anche se le nuvole ormai la fanno da padrone. Poco male, lo spettacolo ha ampiamente ripagato un’escursione di circa 35 minuti (sola andata, tempo per foto), in paese a parte i bagni pubblici quasi nulla, se non un bar in un container, suonare il campanello se la signora non c’è. Riprendiamo il bus per il ritorno, decidiamo di saltare la visita alla donna foca (avremmo dovuto attendere il bus seguente, oltre 1 ora) per rientrare a Klaksvik col primo battello. Avevamo lasciato le auto nel parcheggio di una stazione di servizio, tanto vale farci il solito spuntino prima di salire al punto panoramico di Klakkur, per nulla indicato. I vari navigatori ci danno indicazioni contrastanti, chiediamo a persone del posto e ovviamente otteniamo l’informazione migliore. Lungo una strada non asfaltata che ha più cartelli di divieto, decidiamo di parcheggiare in corrispondenza di due abitazioni da cui escono due signore, ci confermano che la via è corretta, in circa 30 minuti arriveremo a destinazione. In realtà con l’auto si potrebbe salire ancora 500 metri, poi un cancello blocca il traffico e da lì solo a piedi. S’incontra un piccolo bacino artificiale, ci sono 3 secchi, un cartello riporta una strana indicazione: chi s’inoltra è pregato di mettere ghiaia nel secchio, riempirlo dell’acqua del bacino e versare il tutto lungo il sentiero per un buon mantenimento. Lo facciamo, ma come direi facciano tutti, nei primi metri, il resto sarà sempre figlio di un dio minore. Il sentiero sale in forte pendenza, quando si arriva sulla terrazza naturale un vento patagonico spazza via tutto, va fatta attenzione a dove porre i piedi, non si sta veramente in piedi dritti, mai. Ma la vista, nonostante l’ormai fisso cielo coperto, è spaziale. I semicerchi delle isole paiono un dipinto, i fasci di luce che le colpiscono i laser di una navicella venusiana, le piccole barche che solcano l’oceano punti fermi che sfidano l’infinito, la fatica e il vento incredibile son stati ripagati con interesse. Poi si scende, riprendiamo le auto e ritorniamo a casa, doccia bollente e serata in uscita in capitale. Già, ma dove? Un pub aperto fino alle 23 ci sarebbe, ma serve solo hamburger, decido di tentare la sorte al porto con qualcosa di più tipico, e m’imbatto in un ristorante che ha già smesso di servire pasti (non sono nemmeno le 21) ma il servizio bar è operativo. Così, nel paradiso del salmone riesco a gustarmi un’insalata di salmone (con acqua naturale offerta e caffè a libero riempimento) spendendo 140 dk, che per qua è quasi un regalo. Ritorno al pub dove stazionano gli amici, serviti un hamburger alla volta, la cucina riesce a muoversi solo così, oltre a noi ci sono solo due ragazzi che giocano a biliardo, che farà la gioventù del posto se non esce nemmeno in capitale nella zona dei locali? Percorsi 93 km.

 

La spettacolare vista dell'Isola di Kalsoy dal view point di Klakkur - Copyright Pianeta Gaia

 

6° giorno

Solita colazione corposa, meglio finire le provviste, oggi trasloco. Partiamo con zaini al seguito, destinazione Oyrarbakki, piccolo agglomerato nel nulla sull’isola di Eysturoy. Non andiamo direttamente, facciamo tappa al punto panoramico di Sornfeli, che si raggiunge percorrendo la vecchia strada che taglia l’isola di Stremoy verso Tórshavn, sostituita dalla nuova coi tunnel, veloce e senza necessità di salire le montagne. La vista a sud, sul fiordo di Kaldbaksfjørður (visibile prima di giungere alla deviazione per il view point) è ben illuminata pure in questa mattina uggiosa, mentre una volta imboccato lo stretto viottolo che conduce al parcheggio del punto panoramico le nuvole iniziano a farla da padrone e la vista su tutte le isole a nord è tagliata appunto dalle nubi. Resta un’immagine forte ma dai pochi colori e dalla profondità pressoché nulla, peccato. Oyrarbakki si trova appena oltrepassato il ponte che unisce le due principali isole, parlare di paese è una forzatura, qualche centro commerciale, una stazione di rifornimento e alcune abitazioni sparse lungo la via che costeggia il fiordo a sud, dove si trova anche la nostra nuova base. Una doppia abitazione, con una dependance che può ospitare fino a sei persone in totale autonomia, ma in sei gli spazi sono limitatissimi, soprattutto un bagno minimale e la cucina quasi sui letti. La casa vera e propria ha ben nove posti letto, anche questa sfruttata totalmente diviene stretta, due bagni ma una sola doccia. La struttura è comunque bella e calda, ovviamente dotata di wi-fi (con info scritte a gesso su lavagnetta) e un gigantesco tv (inutilizzato), con una dotazione infinita di suppellettili per cucina. Appena lasciati i bagagli si parte, a nord verso Eiði, villaggio celebre per il suo campo da calcio praticamente sul mare, tra montagne a picco. In realtà in questa stagione funge da campeggio, pieno di roulotte e camper, lo si vede bene prendendo la strada 61 che sale al passo tra le montagne più alte dell’arcipelago. Ma prima di arrivarci, uno spiazzo sulla sinistra fa da punto di vista panoramico per gli scogli celebri del Gigante e la Strega. Si trovano lontano, e allora approfittiamo del drone che uno di noi ha al seguito per mandarlo in spedizione e vederci al meglio queste montagne nel mare. Il drone regge pure un vento sferzante senza problemi, recuperato il diabolico gioco si parte per il passo Eiðisskarð da dove si possono salire le due montagne più celebri, Slættaratindur (882 metri, la più alta) e Vaðhorn (più bassa di circa 150 metri ma con vista sulla “cima Coppi”). Prima di giungere al passo si può vedere il lago artificiale Eiðisvatn che pare appeso nel nulla sull’oceano, questo però a differenza del Leitisvatn è solamente un gioco ottico, La salita la lasciamo ai giorni prossimi, oggi meta Gjógv, altro remoto e idilliaco villaggio che par sorgere nel nulla tra scogliere impressionanti. C’è la possibilità in circa 30 minuti di salire al culmine delle scogliere a nord seguendo un percorso indicato e battuto, ci sarebbe da fare una donazione, ma non avendo denaro contante nessuno versa. Giunti al termine del sentiero, protetto da una rete, si può allungare il giro fino al punto più esposto delle scogliere, con mirabile vista a nord e sud, per chi non teme le vertigini, si tratta di un altro punto particolarmente esposto e senza nessuna protezione, 30 metri che però cambiano la percezione del luogo in maniera intensa. Gjógv merita quei 20 minuti di attenzione, dal piccolo promontorio che crea un fiordo naturale sul quale un sistema a carrucole funge da montacarichi, alle solite costruzioni col tetto di erba sul mare, l’unico ristorante funzionante si trova in un hotel all’interno. Da qui prendiamo direzione sud, con sosta cibo in zona Skálabotnur, tagliata appena prima dell’ingresso per prendere a sinistra, destinazione Oyndarfjørður. Un sentiero a sinistra conduce dopo breve passeggiata a un porto naturale, percorrendolo ci s’imbatte in un’antica abitazione col tetto in erba e con un lato completamente interrato, mentre dall’altro si domina l’oceano. Vi è un bar che funge anche da ufficio informazioni e vendita di prodotti tipici, si scorge di fronte, dall’altra parte dell’insenatura un altro villaggio che raggiungiamo, risalendo la montagna e scendendo, Hellurnar, similare al precedente villaggio ma se possibile perfino più piccolo. Da qui rientriamo con sosta al supermercato nell’area commerciale di Oyrarbakki, dove far scorta di cibo per le tre colazioni future, vi è anche un van che fa street food, o meglio fish&chips, che annotiamo per i giorni in seguito. Rientriamo a casa per testare bagni e docce (quello della dependance non proprio comodissimo, i più alti avranno problemi), passando poi alla preparazione cena, terminata la quale si tenta una sortita esterna per due passi digerenti, nel nulla totale. Percorsi 173 km.

 

continua.

 

Magiche Faroe - I

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Luca COCCHI

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