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Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - IV

Diario di un viaggio nei tre paesi ricchi di parchi naturali

 

...segue 

 

13° giorno

Uno scroscio di pioggia non ci viene mai negato, fortuna che all’ora della colazione il sole fa già capolino, continuiamo a visitare il parco con destinazione Fort Chawomera. Fino a Brighton Beach, sorta di piscina naturale sul fiume, il sentiero non è male, dopo diviene niente di più che due solchi tra l’erba, la deviazione per il forte giusto da immaginare. Del forte, come ci avevano detto, ben pochi resti, è piuttosto la posizione a rendere bella la vista in una giornata di sole, anche se qualche nuvola già compare. Usciamo da questo lato di parco per andare nella zona di Pungwe, non raggiungibile internamente. Dalla A14 prendiamo l’indicazione della Pungwe Scenic Drive, questa dopo 4 km svolta a destra e da lì parlare di strada, scenic per di più, non ha senso. Praticamente abbandonata da tempo, con solchi, precipizi, pozze che paiono laghi, fango, rami, insomma il peggio che ci possa essere, impieghiamo oltre 1 ora per meno di 10 km, col pick-up che deve dare il massimo di se stesso per uscire da molte situazioni scomode, intanto ha iniziato a piovere e le nuvole ci avvolgono. Dal Pungwe View Point non vediamo oltre due metri, la cascata per esserci c’è, sentiamo il rumore, ma non si vede e quindi continuiamo in direzione del Far&Wide, un resort con maneggio in un posto che dire dimenticato dal mondo è poco. Oltre c’è l’Honde View Point, facciamo l’ennesima deviazione ma ancora nulla, nuvole ovunque. Non desistiamo, vogliamo arrivare fino alla fine della via dove sono segnate le Mtarazi Falls, una delle cascate più alte al mondo, 762 metri. Il percorso ora non è nemmeno pessimo, peccato che il tempo non migliori, giungiamo al parcheggio e punto finale della via dove una guardia armata ci spiega come raggiungere i view point sulle cascate. Ci illude dicendo che le cascate si riescono a vedere, ci pare incredibile, ma giunti fin qui perché rinunciare? In 10 minuti a piedi in leggera discesa giungiamo sul bordo del canyon e magicamente le nuvole si aprono, vanno e vengono ma sì, le cascate si vedono. O meglio, i getti d’acqua che possiamo scorgere sono in due punti distinti, è impressionante perché son sì piccoli ma sembra non abbiano fine. Vedere il punto più in basso è impossibile, occorre sporgersi nel vuoto, qui non c’è la minima infrastruttura atta al caso, ci si mette sulle rocce più esposte e si prova a guardare in basso, chi soffre di vertigini meglio che non giunga qua. Lo spettacolo con le nuvole che vanno e vengono scoprendo alternativamente cascate, canyon, foresta è veramente spettacolare, la natura al suo massimo splendore, non vorrei sembrare blasfemo, ma mi ha colpito più questa esigua ma infinita cascatella verso il nulla che le Victoria Falls che vedrò in seguito. Rientriamo e usciamo definitivamente dal Nyanga National Park, A14 fino a Rusape e da lì A3, buone condizioni ma grande traffico. Sosta lungo la via e poi puntiamo in direzione della capitale Harare, pioggia torrenziale che lascia spazio al sole di continuo, tanti incidenti anche con auto capovolte, una volta in città facciamo tappa a uno dei primi e grandi Mall di Pick’n’Pay (gigantesco, pieno di prodotti ma poca gente, prezzi stellari) dove si può pagare in dollari, rand e carte di credito, c’è pure il liquor store. Diamo un occhio alla città girando per le vie del centro, ma la vecchia Salisbury (questo il nome al tempo della Rhodesia) si manifesta come una città grigia, costruzioni come periferia di Praga anni ’60, pure il centro non svetta. Abbandoniamo quindi l’idea di passare la notte in città e ci cerchiamo un camping nei paraggi, cosa non facile, il traffico è congestionato e le uniche opportunità si trovano verso i laghi nella parte opposta da dove proveniamo noi, lungo la A5. Quando arriviamo a un’indicazione che mi segnala il navigatore verso il Lake Manyame significa farsi 14 km in una strada di campagna già al buio, chiediamo lumi ad alcune persone ferme alla fermata dei bus, uno di questi ci conferma l’esistenza del campeggio, sta rientrando verso casa proprio in quella direzione e ci chiede se possiamo dargli un passaggio, cosa che facciamo più che volentieri. Ci indica dove deviare per arrivare al camping e che questo si trova dentro a un complesso produttivo senza indicazioni, una volta sceso, 12 km dalla strada principale e chissà dove vivrà (ma soprattutto quest’avventura ogni giorno…) proseguiamo a sinistra per 2 km, le indicazioni non rispettano né i cartelli né il navigatore ma da qualche parte arriviamo. Sono le 20 e pare notte fonda, al cancello varie persone sembra facciano festa, chiediamo del camping, ci fanno passare e ci dicono di procedere, occorre passare tutto questo complesso e prendere prima della fine una deviazione a destra, si giungerà così all’Hideaway Lodge. All’ingresso però un addetto non c’è più, giusto le guardie, ci fanno comunque passare, il posto è sicuramente bello (splendida piscina con gigantesco bar, tutto chiuso però) ma non attendendo nessuno non sanno che fare (ci portano in lungo e largo attraversando pure il campo da calcio in auto), alla fine trattiamo un posto tra gli alberi e l’uso del bagno comune, non c’è però una doccia così ci attivano quella della piscina, all’aperto anche se riparata e con acqua calda. Anche oggi rimediamo un posto, le aspettative a un certo punto erano scemate ma ce l’abbiamo fatta. Cena in relax dopo 383 km, quelli su asfalto in buone condizioni, nello sterrato molto meno, per essere buoni.                  

 

Le Mtarazi Falls tra le nuvole, Zimbabwe

 

14° giorno

Colazione e vista lago, cosa che la sera precedente nemmeno avevamo notato, da qui ci sarebbero spedizioni di pesca, ma gli avventori del lodge sono quasi inesistenti (una coppia anziana dedita al relax y nada mas), noi ripartiamo cercando una via che ci eviti ti tornare in città. Un percorso sterrato ma in buone condizioni esiste, passa verso la Lilifordia School e i suoi bei campi da basket nel verde, ci immettiamo quindi dopo circa 30 km sulla A1, meta di giornata il Mana Pools National Park. C’è meno traffico oggi anche perché siamo in uscita dalla capitale, attraversiamo alcune cittadine molto ben tenute, Chinhoyi pare la più sviluppata e viva, con code interminabili a ogni bancomat presente, le feste recenti avranno prosciugato le finanze dei più. Non occorre scendere dall’auto per fare compere, non solo agli incroci ma un po’ ovunque i venditori di qualsiasi cosa son presenti, mai invasivi però, occorre chiamarli. Ovvio che il flusso del traffico ne risulti rallentato, ma poco male. Per accedere al parco occorre registrarsi molto anticipatamente sul cammino presso lo Zim Parks&Wildlife Office di Marongora dove si possono fare le ultime compere ove necessario, nel parco non c’è nulla. Qui viene rilasciato il pass, poi si continua fino al passo, la vista spazio sull’infinita foresta che si estende sopra e sotto al fiume Zambesi, confine naturale con lo Zambia. La discesa a precipizio tra alcuni tornati è rallentata dai tanti camion che fanno avanti ed indietro tra i due stati, prima del primo accesso al parco c’è un posto di controllo (non ci fermano) e sulla destra si prende la strada per Mana Pools NP. Al controllo si esibisce il permesso e nient’altro, seguiranno 30 km su strada sterrata in discreto stato, animali pochi. A un incrocio a T ulteriore posto di controllo, si prende a sinistra per altri 45 km, anche questi tutti dritti nella foresta, qualche elefante attraversa, ovvio che abbia la precedenza, qualche antilope s’intravvede, percorso ancora in buone condizioni, anche se larghe pozzanghere ci sono già. Prima dell’ingresso alla reception ci sono alcuni pan dove i primi animali a gruppi fanno capolino, ma di felini non troviamo traccia. Alla reception si paga il conto salatissimo, non c’è una logica sui posti camping, alcuni si pagano a piazzola altri a persona, a noi assegnano una piazzola nel Nyamepi Camp con costo a persona visto che è la soluzione più economica. Vabbè, fermiamoci un giorno, prendiamo possesso della nostra piazzola, vicino al fiume e a un bagno in orribili condizioni, sotto a un albero abitato da scimmie poco amichevoli. La natura padrona dello spazio, non serve lamentarci, questo cercavamo. Partiamo a visitare il parco, le regole del luogo permettono pure di girarlo a piedi, la compagnia degli animali ci scoraggia, proseguiamo in auto con destinazione est alla confluenza tra il grande Zambesi e il Mana, posto denominato non a caso Mana Mouth. C’è chi scende con casse di viveri e canne da pesca se ne va giustappunto a pescare proprio qui, gli ippopotami sono in acqua numerosissimi e particolarmente vicini, ma molti sguazzano pure sulla terra ferma. Waterbuck e kudu sono le antilopi più numerose, impala a centinaia, di felini ancora nulla, ce ne saremmo aspettati poiché le guide dicono mirabilie di questo luogo. Ma sarà la stagione delle piogge a portare qui pochi animali, possono trovare acqua comodamente ovunque e le grandi aspettative vengono in parte deluse. Non che avere di fronte a qualche metro decine d’ippopotami sia situazione disprezzabile, ma già in larga parte vissuta. E così dopo aver girato e capito che l’area non sia così facile (ci avvisano di far bene i conti sui possibili guadi che affrontiamo) rientriamo alla piazzola e per trovare una doccia decente occorre fare qualche centinaio di metri a piedi con luce calante, rumori di animali a fianco, niente illuminazione nel complesso delle abluzioni, non proprio il massimo per quanto pagato. Affrontiamo la cena al gran caldo con una concentrazione d’insetti elevatissima, almeno tutti questi si pappano le zanzare. Dal fiume litigi tra ippo arrivano sia di sera sia di notte, felici di dormire sul tetto del pick-up e non nella tenda sul terreno. Percorsi 412 km, in buone condizioni, pure lo sterrato non si è rivelato male.             

Il nostro mezzo impantanato nel Mana Pools National Park, Zimbabwe

 

15° giorno

Colazione al caldo e in litigio con le scimmie, dispettosissime, riescono a depredarci alcuni piccoli sacchetti dei rifiuti, poco male se non fosse che poi spargono il contenuto ovunque. Per oggi abbiamo previsto su consiglio dei ranger al HQ l’escursione verso Vundu Point, zona ovest del parco. Non c’è un percorso lungo il fiume si rientra per un km per poi seguire il percorso tra lagune e foresta, il cielo si copre e minaccia pioggia. Seguiamo bene o male una traccia che fa da via, occorre attraversare grandi pozzanghere, ma avventurarsi fuori dalla via può essere a sua volta altrettanto pericoloso. Incontriamo i soliti impala e waterbuck, qualche elefante ogni tanto, ma tutto sommato poca compagnia, una pozza però diventa per noi la fine del viaggio. Rimaniamo incastrati, il fango è talmente tanto sul fondo che pure un potente 4x4 dotato di marce ridotte non esce da lì. Proviamo a recuperare legni e sassi, ma incastrarli sotto alle ruote è impossibile, l’acqua è alta più di mezza ruota e immancabilmente appena si prova a partire finiscono sputati nell’acqua. Siamo a circa 5,5 km dal HQ, nessuno è partito nella mattinata in questa direzione, l’unica possibilità che abbiamo per uscire da questa situazione è tornarcene a piedi alla reception, nel parco a piedi è pure permesso girare, non infrangiamo nemmeno le regole! Ci procuriamo un bastone nel caso occorra difendersi da qualche animale (mossa psicologia e nulla più) e partiamo, passati 5’ un tifone si abbatte su Mana Pools, siamo completamente inzuppati, seguire la traccia impossibile, procediamo scavando nel fango, ogni passo è un problema ma almeno con questa pioggia gli animali se ne stanno riparati. Dopo pochi attimi, completamente inzuppati la restante pioggia non è più un problema, fa pure caldo, continuiamo usando il bastone più come stampella che come protezione. Passata poco più di un’ora, percorsi 3,5 km sentiamo il rombo di jeep, provengono da un resort privato e vedendoci ci recuperano e notiamo che tutti iniziano a ridere. Sono pure loro italiani e ci spiegano il perché della risata, a loro nel resort non era concesso di fare in autonomia 50 metri per paura degli animali, noi ce ne andiamo da km a piedi da soli. Al HQ spieghiamo la situazione, nel frattempo la guida del resort ci dice che se vogliamo ci organizza il recupero del mezzo tramite il suo capo ora al resort x 120$. Alternative non ne abbiamo e accettiamo, ma nessuno arriva, allora parlando con gli addetti iniziamo a verificare cosa accada. Loro ne sanno meno di noi, pare che loro avrebbero dovuto chiamare al resort, ma o non lo hanno fatto o non sono riusciti, qui è sempre tutto un forse, almeno ha smesso di piovere e dopo 3 ore di attesa impiegate nel frattempo a lavarmi alla meno peggio nel bagno di servizio asciugandomi con carta igienica qualcuno si palesa. Sono gli inservienti che con una calma assoluta ci dicono che vanno verso la nostra destinazione e ci accompagnano cercando col loro mezzo di trainarci via. Serve solo una corda, noi ne abbiamo una robusta in dotazione, ma per 30 minuti scompaiono cercandola, più probabilmente visto l’orario vanno a pranzo. Quando partiamo ci accorgiamo che solo per arrivare al pick-up occorre inventarsi traiettorie di sicurezza, immagazziniamo alcuni passaggi oltre a quello di comprendere come e dove passare nelle pozzanghere non evitabili (dritto per dritto possibilmente su tracce esistenti recenti a velocità sostenuta). Troviamo la nostra Ford Ranger che pare un’isola nel lago, ora c’è da recuperare la fune di traino che ovviamente è situata in posizione non comoda, nel lago si scivola oltremodo, fortuna che il pick-up ha appoggi esterni e una volta in zona si sale su quelli. Gli addetti fanno tutto loro, ma il primo tirotto va ripetuto più volte, oltre al fango dove ci siamo impantanati la tanta acqua caduta ha peggiorato la situazione. Comunque senza grosse difficoltà ritorniamo in possesso del nostro mezzo, vorremo offrire loro qualcosa ma a parte qualche sigaretta non vogliono nulla. Ed allora grandi saluti, la sicurezza che entro sera sarebbero ripassati da qui, sai mai, e proviamo a fare il percorso inverso. Ci riusciamo senza grossi affanni, poi prendiamo la via d’uscita, solo che la parte sterrata dei primi 45 km è in condizioni pessime, laghi veri e propri, affrontiamo a velocità sostenuta con cascate d’acqua ben più alte dell’auto, anche coi tergicristalli alla massima velocità non vediamo nulla, non c’è traffico e l’importante è cercare di tenere il volante sempre dritto. Giungiamo al primo posto di controllo con mezzo in condizione orribile ma felici, qui carichiamo un addetto che deve arrivare sulla via principale, anche il controllo in uscita è una formalità, e una volta sulla via facciamo tappa per un attimo di relax, caffè ovvio! Il controllo in ingresso paese ci porta via poco tempo, ci chiedono di aprire il frigo e niente di più, poi prendiamo la strada per Lake Kariba, A1 fino a Makuti e M15 per Kariba. Cerchiamo di muoverci il più in fretta possibile, abbondonata una Mana Pools altamente adrenalinica c’è molta strada per arrivare alla civiltà. Kariba è una cittadina con un centro nei dintorni della diga e poi tanti piccoli spruzzi di città tra le insenature di questo enorme lago artificiale creato negli anni ’60. La sua formazione ha portato una quantità incredibile di acqua, un bene per molti versi ma un male per altri, la forza dell’acqua ha messo in movimento placche terrestri che si sono sviluppate con terremoti e anche il clima è di molto cambiato. Ma per noi il lago significa la possibilità di trovare un luogo dove passare la notte, è stazione turistica e così dopo averlo cercato in lungo e largo ci registriamo al Warthog Bush Camp. Nel bar con vista sul lago c’è una festa, ritrovo dei bianchi possidenti della zona, si beve e si balla, nel frattempo la titolare attiva il suo smartphone come hot spot in modo che possa segnalare al mondo che le bestie di Mana Pools non hanno avuto ragione di me. Con una calma che si sognano anche i più sperduti aymarà boliviani, procediamo a doccia e cena, doccia all’aperto protetti da una struttura di canne e illuminati da faretti a led, cena condivisa con un grande numero di zanzare che sguazzano con l’autan e si mettono in riga giusto con un arcaico zampirone in fronte. Percorsi 207 km, nel parco in condizioni “tragiche”, fuori su strade asfaltate in buono stato.  

 

Un villaggio sulla strada Karoi.Binga, Zimbabwe

 

16° giorno

Un caldo inatteso ci avvolge durante colazione con vista sul grande lago, poi rientriamo in città per visitare la Kariba Dam sul fiume Zambesi, la grande diga che ha formato il lago e che fa da posto di confine Zimbabwe/Zambia. Ci sono lavori in corso per la realizzazione di un tunnel che possa tagliare la città, tutti in mano ad aziende cinesi, comprese le indicazioni stradali bilingui, per accedere occorre registrarsi all’ufficio immigrazione (1$ x proseguire con l’auto, visti i lavori ci è espressamente richiesto di procedere col mezzo), moderno e in ottimo stato, poi il permesso va vidimato da due inservienti che stazionano sotto a una tenda fatiscente tutti presi dalla visione di un film su di un tablet. Avrebbero timbrato qualsiasi cosa… Da qui scendiamo alla diga, opera di per se non esageratamente larga, nemmeno 600 m, ma alta 128, terminata nel 1958 (costruita dall’impresa italiana Impresit) e a seguire nel 1960 inaugurata la centrale elettrica alla presenza della Regina Madre britannica, di Rhodesia si parlava al tempo. Parcheggiamo e possiamo attraversarla a piedi. Funge anche da confine con lo Zambia, se non s’intende proseguire non viene richiesto il visto per arrivare fino al lato opposto, non c’è nessun controllo. Da qui il lago pare più un mare, lentamente raggiungiamo il lato nord, alcuni soldati zambiani presidiano l’accesso ma sono del tutto disinteressati a chi passeggia, poi visto che le nuvole improvvisamente coprono l’area torniamo velocemente al pick-up prendendoci la prima parte di tifone. Solo per fermarsi un attimo sulla montagna a fotografare l’intero complesso si finisce fradici, decidiamo quindi di attraversare la zona Height dove nei pressi della chiesa di S. Barbara c’è il view point sul lago. Le nuvole però ci dicono di no, così abbandoniamo Kariba e proseguire verso il Chizarira N.P.. La strada asfaltata prevede di rientrare a est sulla A1, da dove siamo giunti ieri, per prendere la famigerata Karoi-Binga, pure questa in larga parte non asfaltata. A questo punto ci affidiamo al navigatore che segnala alcuni sentieri che si dipanano a sud del lago e tagliano la Charare Safari Area, su e giù per le montagne. Effettivamente un viottolo c’è sempre, a volte lo sterrato è pure in buone condizioni, altre meno con avvallamenti di una certa complessità, ma tutto sommato abbiamo visto di peggio. Non s’incontra quasi mai nessuno lunga la via, qualche abitazione c’è e se qualcuno ci vede corre a salutarci, quando giungiamo sulla Karoi-Binga se possibile il percorso peggiora, uniche parti asfaltate in concomitanza dei ponti, alcuni su fiumi al loro massimo di portata e con un’acqua color fango che rivaleggia giusto col nostro pick-up ormai interamente ricoperto di fango. Poichè non passa mai nessuno facciamo tappa sul ponte del fiume Sanyati, forse il più spettacolare, per oltre 20 minuti di relax. Non c’è traccia di vita, poi pian piano l’area si popola e i villaggi sono numerosi, costringendoci a viaggiare a una velocità molto limitata, in strada ora si sussegue di tutto, gente a piedi o in bicicletta, corriere sgangherate, animali di ogni tipo, ma niente big five o simili, più mucche, cavalli e asini per intenderci. A differenza di quanto osservato nelle aree rurali a sud, qui la povertà è ben più forte, anche per l’isolamento in cui si trovano i villaggi. Sempre sterrato fino alla deviazione a sinistra per il parco, ovviamente non segnalato, in prossimità di un villaggio di cui non son riuscito a scorgere il nome. La guida riportava però le coordinate del punto esatto di svolta (S17 34.5333 E27 49.0333) e questo ci ha permesso di localizzare il viottolo corretto. Per arrivare al parco ci sono ancora 18 km e qui la faccenda si complica. Se la prima parte è pessima ma fattibile con qualsiasi mezzo robusto, pian piano il sentiero scompare e occorre salire e scendere da grandi rocce fino al posto di registrazione. Qui vive un addetto con giusto un tetto sopra la testa, sarebbe già tardi per l’ingresso (chiude alle 17) ma dato che non passa nessuno da 25 giorni non va molto per il sottile. Ci specifica che non troveremo nulla, dobbiamo avere tutto al seguito, ci offre dell’acqua da una grande tanica (unica comodità di cui dispone), ci apre la sbarra indicandoci dove potremo fare campo una volta giunti in cima a questa specie di plateau, ovviamente deducibile sulla nostra mappa alquanto generica, lui non ha nulla da darci. Da qui fino al posto per campeggiare parlare di percorso è eufemistico, occorre scalare il plateau, circa 8 km che percorriamo in oltre un’ora col buio che diventa padrone dell’area, elefanti che fanno la voce grossa e situazioni stradali da oltrepassare che è meglio dimenticare. Giunti in cima prendiamo la deviazione indicata per il posto destinato a noi per la notte, Mucheni Viewpoint. Su di un precipizio sorge una piazzola dotata di separé per doccia (se uno ha tutto l’occorrente al seguito) e vano in pietra strettissimo per le funzioni corporali (da paura), per il resto è solo natura. Nel nulla assoluto con solo rumore di animali non classificati ci approntiamo la cena con la temperatura che nel frattempo è crollata e così per la doccia rimandiamo all’indomani. Il contatto con la natura è totale, non ci sono reti di protezione, non c’è presenza umana, e anche vie di fuga praticamente infattibili in piena notte, ma il luogo mette comunque una tranquillità assoluta, una sorta di ritorno alle origini terapeutico. Che non ci sia campo, wi-fi ecc…mi pare scontato affermarlo. Percorsi 356 km, tutti su sterrato, in larga parte in pessime condizioni.

 

continua...

 

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - I

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - II

Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - III

 

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Luca COCCHI

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