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Tra Grande e Piccolo Caucaso - III

Diario di viaggio in Georgia e Armenia

 

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9° giorno

Oggi lasciamo il Tusheti ed il Caucaso in generale, giornata lunga e scenari totalmente distinti, anticipiamo la colazione il più possibile compatibilmente con le esigenze dei proprietari strappando le 7. Anche oggi la giornata è meravigliosa, così mentre stiviamo gli zaini ci rimiriamo uno scenario montano idilliaco, ma preso si parte perché anche col bel tempo i 72 km per lasciarci alle spalle l’Abano Pass sono difficili. A differenza dell’andata ci godiamo maggiormente il panorama e una sosta al passo va comunque rimessa in programma, bel tempo ma fresco, almeno la felpa è necessaria. Raggiungiamo Telavi dopo circa 100 km e quasi 5 ore, per guadagnare tempo facciamo un pranzo al sacco nei paraggi di un distributore di benzina dove sorgono un forno e un negozio di generi alimentari e da qui tagliamo la Georgia per andare a sud, destinazione il complesso monastico di David Gareja. Se la mattina eravamo tra le montagne ora attraversiamo il deserto, un cambio repentino di scenario, la strada corre tra colline brulle e a un certo punto ci imbattiamo pure in due laghi salati, i laghi Jukurebi, in contrapposizione fortissima con la mattina. Da qui si aggira Udabno, dove volendo si può far tappa, e David Gareja è in vista, vi è un’unica strada per arrivare e non si può sbagliare. Il complesso è formato da due distinti complessi monastici, quello inferiore più recente denominato Lavra e quella superiore di Udabno. Il caldo è intenso oltremodo, per goderci al meglio il luogo la guida ci fa salire a Udabno tagliano per il canalone posto proprio dietro a Lavra, salita al sole cocente senza aria (occhio alle vipere), fortuna che in 20 minuti di un passo accelerato si arriva sul crinale dove c’è un briciolo di aria per respirare e dove si può vedere il monastero di Lavra con sullo sfondo il deserto, le piccole celle scavate nella roccia dai colori ocra, mentre in lontananza alcuni pozzi petroliferi provano a estrarre qualcosa, ma ben poco rispetto al vicino e per questo arricchito Azerbaigian. A proposito di quest’ultimo stato, va segnalato che una volta giunti sul crinale per visitare le tante splendide e interessanti celle del monastero scavate lungo la falesia occorre percorrere un sentiero a strapiombo sulla valle che di fatto è appunto già Azerbaigian. Non occorre esibire il passaporto, vi si trovano alcune guardie di frontiera georgiane ma il posto di frontiera azero è lontano, visibile nella valle quasi come un miraggio. Dal sentiero si sale e scende verso le celle e le grotte, per chi avesse al seguito un telefono cellulare sarebbe un continuo cambio di gestore tra quello di uno stato e l’altro, togliere per favore la segnalazione acustica dei messaggi in arrivo! Questa è indubbiamente la parte più affascinante e interessante dei monasteri abbarbicati su questa montagna di confine, arrivati ai resti della torre di avvistamento una volta goduta una vista senza frontiere si scende passando per altre grotte, la discesa da questo lato è più impegnativa, una volta terminata abbiamo ancora tempo per visitare la parte di Lavra, disposta su tre livelli. All’ingresso da una grande botte si può spillare acqua potabile, dopo il sofferto percorso per il monastero di Udabno questa visita ritempra fiato e spirito anche se molto meno affascinante di quella superiore. I monasteri sono stati fondati a partire dal VI secolo ed è continuata la realizzazione fino all’arrivo dei Mongoli, datata nel XIII secolo, quando hanno distrutto la maggior parte delle costruzioni, buona parte è ancora visitabile ai giorni nostri nonostante condizioni atmosferiche non proprio amiche del mantenimento la caratterizzino, caldo intensissimo in estate e neve in inverno. Il percorso completo lo abbiamo percorso in circa 2:30, da qui prendiamo la via per la capitale, dove facciamo di nuova tappa all’hotel come all’arrivo. La giornata corposa, varia e piena ci porta all’arrivo molto tardi, il tempo di mangiare qualcosa poco prima delle 22 e rientrare per preparare la partenza l’indomani, giorno di saluto alla Georgia. Percorsi 354 km tutti con un 4x4 Delica, parte su pessimo sentiero, parte su strade in buono stato in zona desertica con guidatori poco propensi a condividere la via con altri, e parte verso la capitale in buono stato con traffico ma non problematico.

 

Il caravanserraglio Selim - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

          

10° giorno

Colazione in hotel, in una delle due sale attrezzate all’uso con ogni prelibatezza, oggi giornata interamente dedicata alla scoperta della capitale Tbilisi. Col pulmino andiamo nel quartiere di Avlabari dove una piccola collina domina il fiume Mtkvari con sosta alla chiesa del XII secolo di Metheki. Vista panoramica della città proprio di fronte alla fortezza e alla zona islamica di Abanotubani. La statua di re Vakhtang Gorgasali (recente) domina il piazzale da cui scruto l’unica traccia cestistica del paese, un campo disegnato proprio sul ponte di Metheki, ovviamente senza i canestri visto che al momento è aperto al traffico. Attraversato a piedi il ponte ci inoltriamo nella zona di Abanotubani, con le prestigiose terme Orbeliani le cui cupole s’innalzano dal terreno come una distesa di funghi e da qui ci s’inoltra nello stretto canyon sormontato da case tipiche. Anche la vista del fiume da questo lato è caratteristica, la collina di Avlabari cade a picco sul fiume, per arrivarci occorre però attraversare diverse arterie di circolazione stradale che non tengono in considerazione i pedoni. Dopo una veloce sosta in uno dei tanti bar dove all’esterno sono sempre posti i diffusori di aria ed acqua vista la temperatura non particolarmente gradevole dell’estate, è tempo per far tappa alla città vecchia, la Kala, come la chiamano gli abitanti del posto. In successione visitiamo i luoghi più interessanti della capitale, la chiesa armena di S. Giorgio, la Sinagoga, la Moschea, l’importante Cattedrale di Sioni del XIII sec. che contiene la croce di Santa Nino, fatta, secondo la leggenda, di rami di vite legati con i capelli della santa. Quindi ci dirigiamo verso la Basilica di Anchiskhati, la chiesa più antica di Tbilisi, fatta costruire nel VI secolo da Dachi, figlio del re Gorgasali. Alle 12 in punto ci troviamo, come tanti altri turisti, sotto la curiosa Torre dell’Orologio, per assistere all’animata scenetta dei burattini che fuoriescono dal carillon. Al di là di questo spettacolo non propriamente di primo livello, è interessante la torre nel suo insieme perché pare più un puzzle di pezzi incongrui che una vera e propria torre. Passiamo quindi per Piazza della Libertà (dove la statua di San Giorgio ha sostituito quella di Lenin), verso il Museo della Georgia. Molto interessanti la Sala del Tesoro, nel seminterrato, dove si trovano gioielli e oggetti in oro della Georgia precristiana, la sala al terzo piano con oggetti che spaziano da alcune centinaia di anni prima della nascita di Cristo fino al periodo greco ed ellenistico e tutto l’ultimo piano dove si trova l’esposizione che documenta in ordine cronologico gli avvenimenti e la storia georgiana del XX secolo sotto l’occupazione sovietica, che come riportano non si è ancora conclusa coi fatti di Abkhazia Ossezia del Sud anche se ora al posto del nome Unione Sovietica vi è quello di Russia. Uno spazio forse ancora più interessante per capire l’essenza dello spirito georgiano è l’esposizione dedicata alla Georgia durante la II guerra mondiale, dove si vedono le imprese dei georgiani a fianco dei sovietici e dei nazisti, uno stato, una guerra, due fronti ben distinti. Un veloce spuntino in un dei tanti bar lungo il glamour della Rustavelis Gamziri per poi andare al mercato d’antiquariato del Ponte Secco. Grande mercato all’aperto dove recuperare soprattutto cianfrusaglie sovietiche e del tempo precedente, sull’autenticità non garantisco, ma è comunque curioso vedere qui un po’ tutte le nazionalità presenti in giro per la Georgia a trattare con venditori locali, venditori poco propensi a trattare però e prezzi non a buon mercato anche per paccottiglia rivedibile. Per rientrare all’hotel cambio versante della città passando lungo le tipiche abitazioni del periodo ‘800, non così fascinose come quelle della città vecchia che in larga parte però son state ricostruite in seguito all’incursione persiana di fine ‘700 ma più autentiche, più sgarrupate e disseminate ancora di piccoli negozi dove trovare di tutto, da riparazioni da noi da tempo dimenticate a vendite di monoprodotti che oltre a far da bottega fungono da luogo di ritrovo della gente del rione. Alla sera ci tocca la cena offerta dall’agenzia in uno di quei ristoranti lungo il fiume nella zona nord che vorrebbe fare tanto chic con spettacolo caratteristico offerto ma che fa soprattutto mafia russa, vista la frequentazione. Al ristorante mangiamo molto bene ma cerchiamo di fermarci il minimo possibile, vogliamo scoprire altri angoli della città iniziando dalla fortezza di Narikala dove saliamo in funicolare godendoci un bello spettacolo sopra al ponte della pace (qui ribattezzato “l’assorbente” per le sue forme, costruito in larga parte in vetro dall’italiano Michele De Lucchi) e la vista della città illuminata proprio sotto alla statua gigantesca di Madre Georgia, una donna in alluminio di 20 metri, simbolo della città, con una spada in una mano (per i nemici) e una coppa di vino nell’altra (per gli ospiti), imponente ma di dubbio gusto. Ridiscesi tempo per rimirare il parco Rike coi giochi di luce ed acqua proprio tra il ponte della pace, contraddistinto pure questo da giochi di luce, ed il palazzo presidenziale. A questo punto ritorniamo in hotel al termine di una giornata dove col pulmino abbiamo percorso 25km tutti in città.

 

Le kachkar del cimitero di Noratus - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

             

11° giorno

Ennesima colazione a buffet dal guadagno assicurato e partenza per le ultime visite in terra georgiana prima di prendere la via del confine. Sosta al monastero di Jvari, visibile quasi ovunque perché situato su di una collina tra Tbilisi e la vecchia capitale di Mtskheta. Più che il monastero in se sono interessanti le viste che spaziano appunto da Mtskheta ben visibile alla confluenza dei fiumi Kura e Aragvi e Tbilisi, come il piccolo mercatino fuori dalle mura del monastero. Da qui raggiungiamo in un attimo Mtskheta, la capitale spirituale di questa nazione a forte trazione religiosa dove non si può mancare la visita alla cattedrale di Svetitskhoveli in cui un monaco simpatico ci tiene a farsi fotografare con tutti gli stranieri, percorriamo le vie della cittadina, un vero e proprio mercato della fede e dei souvenir riproposti in serie all’infinito, con un’idea di made in China che non ci vuole abbandonare. Ma è già tempo di andare verso il confine a Sadakhlo dove il pulmino e la guida ci abbandonano lungo una fila inaspettata, dovuta ci informano, ad una partita di calcio giocata il giorno precedente che ha richiamato un corposo numero di armeni. Il passaggio ci porta via quasi 2 ore, una volta entrati in Armenia a Bagratashen si trova un ufficio cambio dove è possibile liberarsi dei lari in favore dei dram senza commissioni. Il pulmino a disposizione è ancora migliore di quello già buono con cui abbiamo girato larga parte della Georgia, l’autista molto più alla mano mentre la nuova guida, un professore universitario con cattedre d’inglese e italiano meno pratico e certamente con meno conoscenze e contatti sul campo di quello veramente fantastico avuto in Georgia, ma comunque competente e disponibile. Ci aspettano subito nella regione di Lori due siti Unesco, Haghbat e Sanahin, fondati dal re Ashot III e dalla regina Khosrvanuch, dedicandoli ai loro figli. Gli edifici, in basalto scuro, sono davvero splendidi. Una stradina secondaria sale al monastero di Haghbat che si articola in molti edifici entro un recinto di mura. Il campanile sorge su un rialzo ed è isolato dalla chiesa di Surp Nishan (aspetto che divide le costruzioni tra le chiese georgiane e quelle armene) che presenta nel catino absidale uno sbiadito Cristo Pantocratore. Sulla parete esterna Gurgen e Sembad, i due giovani principi, sono scolpiti con turbanti orientali, tipici dei califfi. Scendiamo quindi sul lungofiume e risaliamo per visitare il monastero di Sanahin, che significa ‘più vecchio di quell’altro’, in riferimento al Monastero di Haghpat, costruito successivamente. Meravigliose le khachkar, croci in pietra tipiche della cultura religiosa armena, che sembrano ricamate nella roccia, anziché scolpite. Particolare la biblioteca, nel corso del XII vi fu istituita anche una scuola di medicina, ad indicare che più che monastero vero e proprio questo fosse al tempo una sorta di centro studi. Da notare che è pieno di bambini del vicino paese, tutti alle prese con qualsiasi sorta di device, come possiamo leggere in uno dei tanti cartelli apposti, nei dintorni del monastero vi è il servizio gratuito di wi-fi. Tra la visita che ci appassiona e la guida che si perde in lunghe dissertazioni il tempo vola e raggiungiamo Dilijan (capoluogo della Svizzera armena) solo quando è già buio pesto, complice anche un modo di affrontare il traffico non proprio tranquillizzante qui tra le montagne. L’hotel è fuori città, una sorta di vecchio casermone sovietico ristrutturato, siamo costretti a cenare in hotel nel ristorante che si trova in una costruzione a parte, nonostante avessimo avvertito del ritardo c’è ben poco da mangiare e ci dividiamo da buoni fratelli tutto quanto un giovane cameriere ci porta in tavola. La temperatura si abbassa notevolmente, complice una pioggia fine occorre rientrare quanto prima. Percorsi 287 km, tutti su strade in buono stato, percorse ahimè in malo modo.

 

Wings of Tatev, la funivia più lunga del mondo - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

        

12° giorno

Colazione nel ristorante della sera precedente, con tanti prodotti in più rispetto alla cena, partenza immediata e dopo circa 40 minuti arriviamo a Sevanavank, sull’omonima penisola, in bella posizione con vista sul lago Sevan. Alla Chiesa si arriva con una ripida scalinata di 350 gradini dal parcheggio. All’interno della chiesa principale un interessante khachkar col Cristo in croce con gli occhi a mandorla a testimoniare che i mongoli arrivarono fin qui. Un tempo il monastero si trovava su di un’isola, una variazione del deflusso delle acque ha trasformato l’isola in una penisola, rimane comunque una vista splendida però dalla parte est non si può giungere fino al termine del promontorio perché vi si trova, recintata, la villa di vacanza del presidente. Costeggiamo il lago scendendo a sud e la seconda sosta è Noratus, famoso per il suo incredibile cimitero, la cui parte più antica comprende quasi 800 khachkar scolpiti tra il IX e il XVII sec. Noratus (dopo la distruzione di un uguale cimitero, quello di Jugha, in seguito al noto conflitto armeno-azero) è oggi il primo e più grande museo all’aperto di khachkar al mondo. Di fronte un piccolo negozio e caffè con alcune anziane locali che realizzano a maglia guanti e calzini, prodotti che già a guardarli da lontano pizzica la pelle! Alcune di queste anziane sono talmente caratteristiche che si finisce per provare a interagire con loro per qualche scatto non in posa durante il lavoro. Puntiamo ancora più a sud, arriviamo quindi all’antico Caravanserraglio del Passo di Selim o Sulema a seconda della traduzione (2.410 mslm), sull’antica Via della Seta. Costruito nel 1332 dal principe Chesar Orbelyan, è il meglio conservato di tutti i caravanserragli medievali in Armenia, comprende un’anticamera a volta e una grande sala divisa in tre sezioni illuminate attraverso aperture nel soffitto che regalano giochi di luce coi quali giochiamo anche troppo a lungo, mentre fuori un mercatino di prodotti tipici costruito sulle caratteristiche Lada e Ziguli fa bella mostra. L’Armenia è indubbiamente più arretrata e bucolica della Georgia, molto più sovietica, lo si vede oltre che dalle costruzioni anche dalle auto, dalle vecchie fabbriche, dai costumi della gente, del resto la sopravvivenza della nazione deve tanto, nel bene e nel male, all’Unione Sovietica. Nella valle di Yeghesis facciamo sosta in un ristorante scelto dall’autista, costituito da tante casettine di legno su piccoli torrenti pieni di oche, servizio non veloce come lo avevano decantato ma qualità ottima e prima vera presa di contatto col cibo armeno, l’immancabile pane (lavash), il riso pilaf (ankius), lo stufato di agnello (khashlama), la trota (siga), insomma la scelta non manca e non mancherà. Birra e vino si trovano, ma qui va tantissimo il tan, che sarebbe un mix di yogurt, acqua e sale, dissetante oltremisura, prodotto che si trova in qualsiasi supermercato. Ma l’appuntamento principe della giornata, dopo aver attraversato quasi tutta l’Armenia si trova a sud nella regione di Syunik, il monastero di Tatev che si raggiunge con la Wings of Tatev, la funivia più lunga del mondo costruita da un ricco armeno di stanza a Mosca, che copre una lunghezza di 5,7 Km, attraversando la spettacolare gola del fiume Vorotan arrivando fino al monastero medievale in circa 11’. Nel suo punto più alto sopra la gola raggiunge un’altitudine di 320 m. Le addette mi erano state segnalate come strepitose, ma purtroppo devo essere capitato nel turno sbagliato, una poi ha dovuto a lungo pulire il vomito di alcuni ricchi turisti figli della diaspora impressionati dal vuoto. La vista dalla cabinovia sulla valle sottostante è davvero spettacolare. Il monastero fu fondato nel IX secolo ed è una tra le creazioni più importanti dell’architettura armena, vivace centro di vita spirituale, di scienza e di cultura armena. Nel XIV e XV secolo il monastero ha ospitato una delle più importanti università medievali. Wi-fi ovunque, nel monastero e nel grande bar che funge da partenza, come nella più piccola struttura da dove si ritorna. Ripartiamo per passare la notte a Goris, dati i nostri orari e le abitudini locali di cenare anzitempo siamo nuovamente costretti a cenare in hotel dividendo gli ampi spazi con una numerosissima spedizione polacca qui per esclusivi motivi religiosi, motivo principe di visita di questa nazione se togliamo i figli della diaspora. Tentiamo una sortita serale, qui già notturna, in quel di Goris, il nulla ci accoglie, così scherzando sui tanti personaggi celebri fuggiti forzatamente dall’Armenia ci fa sorridere Charles Aznavour quando canta "Com’è triste Venezia", evidentemente non deve aver mai visto la sua cara Goris… Da segnalare che qui il confine ancora problematicissimo col Nagorno-Karabakh è a pochi chilometri, l’accesso può avvenire solo passando da Goris, per chi volesse visitare questa “nazione” proclamatasi indipendente ma riconosciuta dall’Armenia (o meglio, molte carte interne dell’Armenia la dipingono come Armenia vera e propria) e da pochi altri stati amici occorre quindi inoltrarsi tra queste valli. Il Nagorno-Karabakh è/sarebbe territorio azero, se le problematiche in corso tra Armenia e Turchia sono soprattutto governative, quelle tra Armenia e Azerbaigian sono anche tra popolazioni, quindi occhio una volta entrati, la guerra è sì terminata ma i cecchini possono ancora essere all’opera. Percorsi 308 km in buone condizioni.

 

continua...

 

Tra Grande e Piccolo Caucaso - I

Tra Grande e Piccolo Caucaso - II

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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