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Un mese in Birmania - III

Diario di un lungo e approfondito viaggio in Myanmar

 

segue... 

 

9° giorno

Alle 5:30 un taxi ci preleva in hotel per portarci alla Shwe Kennery, l’imbarcazione che fa servizio lungo l’Ayeyarway verso Nyaung U, porto d’approdo per Bagan, il posto più celebre del Myanmar. Il freddo è intenso, le brume avvolgono il fiume, nel prezzo del biglietto sono compresi una poltrona e la colazione, sfruttiamo subito la poltrona all’interno nella speranza che il clima migliori, cosa che avviene nel giro di brevissimo e il passaggio a fianco di Sagaing regala immediatamente una vista superba, con le dorate pagode che si rispecchiano nell’acqua. Col sole che si prende per interno la giornata, il lento navigare è un sentore di tempi andati, ci si sente un po’ come nei ricordi di quei viaggiatori dei secoli scorsi che tra una lettura e una visione bucolica ricaricavano la mente e si rimettevano dai dolori che la cupa Europa spargeva in giro. Ci si ferma in porti fluviali ma anche nel nulla solo per salutare persone o scaricare masserizie nei campi, tutto scorre lento e ripetitivo, è un piacere rimirare il tutto dalle vecchie sedie di vimini che conoscono questi luoghi a memoria, si scambiano impressioni di viaggio con gente che si rivedrà in altri angoli del paese e che inevitabilmente si scambierà come amici di lungo corso per aver condiviso un qualcosa che non è crociera e viaggio ma immersione in un mondo antico. Al secondo piano si trova il bar per la colazione che si tramuta nel posto ristoro del mezzogiorno, servono pochi piatti e i tempi di attesa sono direttamente proporzionati al viaggio, i prezzi invece molto più europei che sulla terra ferma. Il viaggio previsto di 8/9 ore ne dura 11, ci godiamo un tramonto maestoso sul fiume e attracchiamo a Nyaung U quando la sera è già calata assieme alla temperatura. Non avendo una precisa idea di quanto disti il villaggio, schiviamo i taxi ma procediamo con un oscar, un carro trainato da un cavallo. Sosta obbligata all’ufficio del turismo per l’acquisto del biglietto d'ingresso, il cavallante ci consiglia la guest house in fronte alla quale staziona anche lui, posto non propriamente di prim’ordine ma visto l’orario e il fatto che molti siano già completi seguiamo il suo suggerimento. Come quasi tutti qui, organizza escursioni, noleggia bici e motobici elettriche e funge da biglietteria. Cena tipica birmana ma qui c’è l’imbarazzo della scelta, in Restaurant Row s’incontra di tutto, anche se la confusione può risultare più problematica che altrove. Sul discorso motobici elettrica mi soffermo un momento. A Bagan gli stranieri non possono noleggiare motorini, che sarebbero il mezzo ideale vista l’ampiezza dell’area e le temperature calde del giorno, così a fianco delle normali biciclette si sono inventati un mezzo che viene noleggiato come bici elettrica ma in realtà si tratta di un motorino elettrico (ci sono i pedali per l’omologazione come bici, ma si pedala praticamente a vuoto giusto per dare un poco di carica alla batteria) con un’autonomia di circa una giornata di spostamenti, molto più adatto a muoversi in terreni sabbiosi della bicicletta perché col gas ci si toglie agevolmente d’impiccio e ci si può spingere in autonomia a scoprire anche le pagode più lontane, soprattutto rientrare una volta tramontato il sole anche da lontano coi fanali ad illuminare i sentieri meno battuti, stessa cosa per gli spostamenti prima dell’alba, che sono i 2 momenti imperdibili del luogo.

 

L'alba a Bagan vista dalla Shwensadaw Paya

 

10° giorno

Colazione in un locale attiguo alla guest house dove s’incontrano vari viaggiatori e ci si confronta con chi è già qui da qualche giorno, poi noleggiate le bici partiamo in direzione Old Bagan lungo la Bagan-Nyaung U Rd, la strada asfaltata più a nord del complesso. Le prime pagode, che a differenza di quelle viste già numerose ovunque sono in mattoni e non ricoperte di lamine d’oro piuttosto pacchiane, sorgono già a fianco della strada fuori dalle mappe principali, e già per arrivare alla Upali che dovrebbe essere la prima di un certo interesse impieghiamo tempo. Nella mattinata il posto d’onore va dedicato alla celebre Ananda, visitabile all’interno ma senza poter salire in cima, da qui si scorge già la cittadella di Old Bagan dove la popolazione è stata “facilitata” a lasciare il villaggio nel quale si entra attraversando le antiche mura e dove si trovano più pagode interessanti, la Shwegugyi non è certo la più bella ma si può salire sulla terrazza e godere un bel panorama anche se la luce del mezzogiorno non illumina a dovere l'Ananda e in parte lo splendido tempio Thatbyinnyu Pahto. Da qui tagliando verso nord passiamo a fianco dell’indianeggiante Mahabodhi per avvicinarci al fiume dove sul lato dello stupa Bupaya si trova una scalinata che porta alle barche dove volendo si può attraversare l’Ayeyarwady per cercare alcune pagode sull’altro versante o intraprendere una corta e lenta navigazione del fiume. Dopo una sosta in uno dei tanti ristori, ma potete approfittare del cibo di strada venduto in lungo e largo nello spiazzo attorno (provato con successo a prezzi irrisori), iniziamo a scendere per la parte restante di Old Bagan e Mynkaba. Tra una paya e uno stupa, sorge una costruzione sulle prime anonima ma scorgiamo alcuni avventurieri sul tetto, trovato uno stretto e nascosto passaggio anche noi raggiungiamo la terrazza del Ogkyn (il nome mi è stato indicato da alcune donne del posto, la traslitterazione può essere diversa) da cui la vista sulla piana di Bagan è favolosa. Le guide non riportano questa terrazza, ho dei dubbi che sia agibile visto che manca qualsiasi tipo d’indicazione, ma perderla è una colpa grave. La vista spazia all’infinito, fino alle celebri pagode della piana centrale, è anche una buona posizione per verificare dove siano esattamente alcune paya imperdibili ma raggiungibili lungo sentieri non sempre segnati (consiglio di utilizzare la mappa della precedente edizione della Lonely Planet 6a edizione italiana o 10a inglese, molto più dettagliata della nuova) ma per chi ha un po’ di dimestichezza con l’orientamento nessun problema. Dopo aver vagato per sentieri che ci han portato a luoghi poco battuti dai gruppi arrivati in massa con torpedoni multipli, incontrato personaggi incredibili e gentilissimi nel farsi riprendere, approcciamo il tramonto alla più celebrata paya da dove godersi la calata del sole. Peccato che alla Shwesandaw Paya già 60’ prima ci sia una ressa assurda, per salire occorre mostrare il biglietto d’ingresso (unico posto dove mi è stato richiesto) e così pedalando come un gregario in tentativo di fuga al Giro d’Italia cerco di arrivare in tempo alla Buledi, missione compiuta ma visione non particolarmente esaltante. Appena cala il sole la temperatura precipita e tutto diventa buio, meglio trovarsi su strada asfaltata per rientrare in guest house d approfittare di una doccia calda prima che tutti siano arrivati, altrimenti l’acqua c’è ma solo fredda. Ci concediamo una cena in un locale lussuoso per il luogo che presenta piatti diversi e appetitosi, oltre a un caffè simil espresso. Poiché la parte al chiuso è esaurita, e quella all’aperto tende al fresco, c’è anche un corridoio attrezzato che permette di mitigare le 2 opportunità. Raggiungiamo la Restaurant Row per farci un’idea della vita notturna del luogo e per recuperare info sia di questo luogo sia per future escursioni, quello che emerge da chi sta facendo il viaggio opposto al nostro è il freddo che ci aspetterà al lago Inle, ma già qui l’escursione termica è notevole. La visione di Old Bagan e delle più celebri pagode attigue si svolge tra sciami di visitatori, difficile qui poter godersi una vista solitaria, ma fortunatamente avremo tempo di rifarci, cambiando mezzo di trasporto e prendendo più confidenza coi sentieri, più si gira e più si concede fiducia a percorsi che al primo impatto mai si sceglierebbe di imboccare. 

 

Gli stupa in mattoni tipici di Old Bagan

                      

11° giorno

Medesima colazione del giorno precedente, poi con una e-bike andiamo alla scoperta della piana centrale e meridionale prendendo la Nyaung-Kyaukpadaung Rd. fino all’incrocio dell’aeroporto dove s’imbocca la via a destra sul lato opposto, da lì dopo un kilometro e lasciata sulla destra la Bagan Tower (pessima costruzione nemmeno in tema che propone un ristorante esclusivo con vista a 360° gradi) s’incontrano le prime pagode del Minnanthu Kan. Una cosa emerge subito chiara, qui non c’è l’invasione di Old Bagan, le pagode sono altrettanto belle ma più lontane e per andare da un complesso all’altro occorre percorrere sentieri non indicati, il tutto trasforma la visita in una splendida escursione, sarà anche per via di questa libertà d’operazione o anche perché la vista verso nord-ovest gode di un’illuminazione migliore ma il tutto si rivela più affascinante del giorno precedente. Nei pressi del Nandamannya Pahto (celebre per gli affreschi e per i decori esterni) sorge anche l’interessante Kyat Kan Kyaung, un antico monastero costruito interrato, si cammina sottoterra tra le piccole celle dei monaci e corridoi utilizzati per le preghiere. Da qui, lungo sentieri imboccati più a sentore che con logica, arriviamo alle celebri Sulamani (visitabile all’interno ma senza poter salire) e all’enorme Dhammayangyi Pahto, visitabile tra molteplici corridoi, chiamato anche Tempio della Sfortuna. Sempre procedendo col sole come riferimento raggiungiamo la più famosa Shwesandaw, entrando dal lato est non c’è nessuno e non c’è controllo biglietto. Continuiamo per Mynkaba dove sorge la Gubyaukgyi, nota per gli affreschi e per le lavorazioni a stucco su pareti e finestre. Da qui ritorniamo a vagare lungo i sentieri incontrando gente intenta a lavorare i campi che provano a darci fugaci indicazioni verso la lontana Dhammayazika Paya attualmente in restauro, da qui più un’avventura che un trasferimento verso la Pyathada Paya, luogo prescelto per goderci il celebre tramonto di Bagan. Nonostante di gente ne arrivi parecchia, e per fortuna il grosso dei torpedoni arriva quando il tramonto ha già salutato, lo spettacolo è molto bello, anche se alcuni colori incantevoli che avevo rimirato a lungo su foto non li scorgo, ma un passaggio qui per il tramonto non si può negare, nonostante la discesa richieda tempi lunghi poiché le scale sono piccole, strette, buie (sono all’interno, chi soffre di vertigini almeno non avrà problemi come invece ci possono essere alla Shwesandaw), intasate da chi se ne scende dopo lo spettacolo ammirato e anche dai ritardatari che salgono nonostante non ci sia più possibilità di vedere nulla. Il buio è appunto il problema maggiore, i motorini elettrici non è che possano illuminare più di tanto un percorso sabbioso, non indicato e lungo svariati kilometri, non perdersi d’animo è basilare. Andando seguendo i sentieri e avendo presente i punti cardinali giungiamo all'Anawrahta Rd che conduce a Nyaung U, temperatura precipitata (in moto serve felpa e giacca a vento, guanti raccomandati) e necessità di una doccia calda, sempre un terno al lotto alla nostra guest house. Cena al ristorante, poi a dormire più presto del solito e qui il solito è sempre presto… perché in genere si sfrutta la luce solare al massimo, domattina avremo da ammirare l’alba sulla pagoda, occorre partire alle 5, e per essere pronti contrattiamo i motorini fin da subito.

 

Il monastero in cima al Monte Popa - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

            

12° giorno

Freddo intenso nel buio totale delle 5 di mattina di Nyaung U, giusto una piccola lampadina a fianco della guest house dove prendiamo i mezzi per dirigerci alla Shwensadaw Paya. Non c’è nessuna luce nemmeno lì e visto che mancano le indicazioni siamo in molti a girovagare a caso nei paraggi, trovato l’ingresso del largo sentiero sterrato arriviamo alla pagoda e scalzi saliamo i freddi scalini coperti dalla rugiada. Trovato un posto sulla terrazza più alta, lo manteniamo a tutti i costi, coperti da pile, giacca a vento, guanti, cuffia, ma purtroppo coi piedi che imbarcano freddo, l’attesa è lunga perché alle prime luci dell’alba lo spettacolo non è così impressionante come si sperava, ma pian piano il sole colora la piana, le pagode s’immergono in una luce favolosa e vengono sorvolate da innumerevoli mongolfiere (il volo costa 450$ e va prenotato settimane in anticipo), si rimane ammaliati e senza parole di fronte a questo spettacolo creato dalla natura e dall’uomo per una simbiosi perfetta. Scendere? Scattare qualche foto e basta? Impossibile, tutti rimangono qui ammaliati fin quando il giorno s’impossessa della scena e la magia se ne va, ma rimarrà a vita negli occhi e nelle schede delle macchine fotografiche, qui messe alle corde con le batterie che piangono per scatti continui. Rientriamo e non sentiamo più il freddo, è già molto più caldo ma siamo talmente pieni di energie mentali che nulla ci può far male. Riconsegnate le moto, è tempo di colazione in guest house e dopo - in taxi collettivo - andiamo a visitare il Monte Popa, uno sperone di roccia nel nulla sormontato dall’ennesima pagoda. La visione è straniante, questo vulcano nel mezzo di una piana colpisce parecchio, avvicinandoci però le solite bancarelle di prodotti tutti uguali e statue del Buddha che paiono finite da pochi minuti ne svuotano il senso. Come consigliato da alcune guide, invece di salire in vetta continuo sulla strada che per qualche centinaio di metri fa da parcheggio a mezzi di ogni tipo per trasformarsi in un sentiero che pare aggirare il Monte Popa, una deviazione sulla sinistra (che mi è consigliata da un personaggio che si aggira nei dintorni dotato di fucile in spalla che cerca di non mostrare) scende ripida per risalire a un villaggio contraddistinto da numerosi nat, stupa ed abitazioni tutte al momento vuote, gli abitanti sono nei dintorni del monte a vendere a pellegrini e turisti qualsiasi cosa. Ma il bello di questo villaggio è la vista sul Monte Popa, la più caratteristica in assoluto, senza nessun confusione e immersi in una natura rigogliosa. Rientriamo col taxi collettivo a Nyaung U per una sosta presso il Fuji Restaurant che non presenta specialità giapponesi ma almeno varia il menù con ottime crepes e fresche bevande dei più svariati frutti del luogo. Ci concediamo un attimo di relax provando a ricollegarci con la realtà usufruendo di un internet caffè proprio di fronte alla guest house, collegamento di una lentezza indescrivibile ed energia elettrica che si blocca, il proprietario non fa una piega, qui è la normalità, ci dice di ritentare dopo 45’, ma quanto accaduto prima si ripete, ne prendiamo atto senza prendercela più di tanto, siamo a Bagan e abbiamo visto uno spettacolo da emozione assoluta. Cena tipica birmana, forse sarà l’ultima poiché i sapori stancano e come altre volte più curry son serviti freddi assieme a un riso che necessita di un coltello affilato per essere separato, ci spiegano sia la maniera corretta per usufruire di queste portate ma ci convinciamo che non fa per noi, bellissima da vedere ma non da assaporare, ma assolutamente da provare.

 

continua...

 

Un mese in Birmania - I

Un mese in Birmania - II

 

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Luca COCCHI

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