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Un mese in Birmania - II

Diario di un lungo e approfondito viaggio in Myanmar

 

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5° giorno

Solita colazione in guest house poi, col taxista che stazione fuori, classico giro dei dintorni di Mandalay con prima destinazione Sagaing, antica capitale del 1300 immersa in dolci colline interamente coperte da dorate pagode. Ci si arriva attraversando l’Ayeyarwady da cui si gode un’ottima vista sulla vecchia città, non fosse per la foschia e un sole che la illumina non proprio dal lato giusto, ma si parte solitamente da qui perché il pomeriggio/sera viene dedicato all’U Bein’s Brigde, quello immancabile verso tale parte della giornata. La Sagaing Hill (vale il biglietto di Mingun ma non sempre lo chiedono) è un insieme di più colline, ognuna svettante con una pagoda ben specifica, prendiamo una salita consigliata dal nostro autista e da lì ci perdiamo in passaggi da una cima all’altra, il fiume fa da scenario naturale con tutto l’oro che si rispecchia. Buddha a non finire, interessante l’Umin Thounzeh dove sono in mostra una cinquantina di state del Buddha offerte da varie popolazioni mondiali, e ovviamente ognuna lo rappresenta a propria immagine e somiglianza, vabbè. I percorsi tra le colline son inframmezzati da incontri con monaci in assoluto relax e abitanti del luogo che si son costruiti una casa in tek su queste eleganti colline. Monaci in ogni dove, ma anche monache, che a differenza delle tonache arancio o rosse dei colleghi ne sfoggiano una rosa e il capo rasato. Da qui riattraversando l’Ayeyarwady ci dirigiamo all’antica città di Inwa, posta su di un’isola nel fiume, collegata con una lancia e visitabile a piedi (ma il tempo a disposizione non è sufficiente) o su carro trainato da cavallo. Il posto è spettacolare, alcune costruzioni ricordano lo stile Khmer risalenti però al 1800, l’attrazione è il monastero Bagaya Kyaung (compreso nel biglietto cumulativo di Mandalay, portatevelo appresso!) costruito in legno sopraelevato, ma colpiscono anche altre piccole pagode nel mezzo delle risaie, indubbiamente una vista fuori dal comune. Sempre sull’isola si trovano altre vestigia del passato, dalla torre di guardia (inclinata causa terremoto) di Nanmyin ed il monastero di Maha Aungmye Bonzan, e facendo attenzione una pagoda minore sarà sempre alla vista. Rientrati sulla terraferma l’autista non può esimersi dalla sosta pranzo, anche se son già le 2 oltrepassate (qui si fermano sempre a mezzogiorno spaccato per pranzare) ci aspettano al ristorante che avvisato in prima mattinata ci presenta il tipico pranzo birmano, con riso a volontà da accostare a una lunga lista di curry, piattini di carne (di solito una portata principale a scelta), alcuni tipi di pesce e tantissime verdure, sulle prime invitante, alla lunga stancante, ma oggi è la prima volta e siamo carichi nell’affrontare questo pranzo allargato. Il pomeriggio è destinato all’avvicinamento ad Amarapura, dove si trova l’U Bein’s Bridge, il ponte più celebre della nazione, 1,2 km di legno di tek che taglia il lago Taunghaman, spettacolarmente percorso dagli abitanti del luogo con ogni tipo di suppellettile, spettacolo nello spettacolo al tramonto, soprattutto standosene sul lato est. Prima facciamo una visita a una fabbrica di tappeti, dove al lavoro ci sono prevalentemente bambine praticissime, ci dicono che per un tappeto serve circa un mese di lavoro, ma non ci informano sui prezzi di questi prodotti manuali, quindi non so fare una valutazione di quanto possa rendere a queste ragazze tale impiego. Raggiunta Amarapura e parcheggiata l’auto, prima visitiamo velocemente un monastero poi invece di attraversare il ponte percorriamo la costa del lago per trovarci il ponte in fronte (dato anche il periodo di secca) con una vista maggiormente caratteristica, ma giunti al ponte occorre rientrare sul lato ovest per salire e attraversarlo, si può scendere in 2 posti una volta saliti ma entrambi dall’altra parte. Così, assieme ad un numero incredibile di persone lo attraversiamo interamente per scegliere il luogo preferito per immortalare questo simbolo del Myanmar alla luce migliore, per noi appena passato il lago, dove una scala permette di scendere in corrispondenza di un locale dove bere e mangiare. Il tramonto si può ammirare anche su piccole imbarcazioni che devono essere noleggiate dal versante di Amarapura, ma direi che dove ci troviamo la vista sia più che spettacolare, così la pensano anche numerosi fotografi che stazionano con cavalletti professionali e obiettivi più pesanti di una ruota di scorta. Il tramonto ce lo gustiamo interamente, quando è già buio e la temperatura abbassata notevolmente rientriamo in città con la luna piena che rischiara il cielo. Per cena facciamo tappa nella zona indiana di Mandalay in un ristorante senza nome che non serve alcolici ma che permette di berli se si portano con sé.

 

Il ponte U Bein al tramonto

 

6° giorno

Colazione in guest house, poi in taxi raggiungiamo la stazione dei bus in partenza per Monywa, in pratica nel mezzo della strada veniamo messi sul primo bus in partenza, zaini buttati sul fondo e biglietto da farsi con comodo mentre si va. Non pensate di prenotare o altro, parte quando c’è abbastanza gente, se non è tutto pieno si gira a lungo per la città e poi si esce passando da Sagaing, sfruttando il nuovo e grande ponte sull’Ayeyarwady. La strada non è male, larga dove possono starci almeno 2 mezzi, anche se a fianco ci sono sempre gli spazi per i carri trainati da animali, il Myanmar più tradizionale, arriviamo alla stazione dei bus di Monywa e siamo assaliti dai conducenti di mototaxi, trishaw e qualsiasi oggetto che si muova, parlare di assalto alla diligenza è poco, anche se come stranieri facciamo una certa impressione. Scegliamo un pick-up realizzato su base di motorino col quale ci facciamo portare in un hotel e trattando col procacciatore d’affari dell’autista (che non parla una parola d’inglese) definiamo l’escursione del pomeriggio e quella della mattina successiva, così lo spostamento verso l’hotel è compreso nel pacchetto. La spedizione pomeridiana parte appena preso possesso delle camere, destinazione Hpo Win Daung Caves, un complesso di quasi 500 templi nelle grotte, anche se più che parlare di grotte bisognerebbe parlare di nicchie scavate nella roccia. Per arrivare senza dover traghettare, l’autista compie un lunghissimo percorso, il risparmio sul traghetto è mortificato dalla benzina, ma ci permette di vedere una parte rurale del distretto di Sagaing poco battuto. Per girare il complesso delle grotte, meglio farsi accompagnare da una delle tante bambine che attendono i pochi visitatori, a fronte della prima banconota ringraziava già come se avesse ricevuto una pensione a vita. Alcune grotte sono affrescate e decisamente interessanti, lo scenario più bello si trova proprio al termine della visita sul versante di fronte alla prima collina, oltrepassato alcuni venditori che si concedono lunghi momenti di relax fumando cannoni enormi. Rientrati in hotel ci consigliano di goderci il tramonto sul fiume Chindwin che lambisce la città nel lato ovest, spettacolo che ripaga e che richiama numerosi monaci, anche loro facenti parte di uno scenario classico del luogo. Di fronte all’hotel sorge un ristorante pieno di gente del luogo, serve solo cucina birmana e vegetariana, ritentiamo il piatto base confrontandoci con sapori forti e intensi oppure totalmente neutri, i vari curry lasciano il segno, fortuna che al mercato serale ci si può riprendere con dolci locali decisamente buoni.

 

L'enorme Buddha disteso di Bodhi Tataunh

 

7° giorno

Colazione nel ristorante attiguo all’hotel con le immancabili uova, il nostro autista ci sta già attendendo, carichiamo gli zaini e partiamo verso la Thaboddhay Paya, indubbiamente una delle più belle pagode del Myanmar. Sormontata da infinite guglie di ogni colore e piena all’inverosimile di statuine del Buddha quasi da sembrare il magazzino di una fabbrica di prodotti invenduti, conserva però un grande fascino, nonostante la realizzazione sia recente, dal lato opposto l’entrata si trova una piccola piscina da dove godersi una splendida immagine riflessa. Da qui si va al Bodhi Tataunh, un’altissima riproduzione del Buddha (127m) con alla base un’altrettanto enorme Buddha disteso. Si può entrare in entrambe le statue, quella distesa dice ben poco, quella eretta non è ancora completata, si salgono circa 14 piani ma non c’è vista, però all’interno si possono trovare le solite innumerevoli riproduzioni del Buddha ma anche pitture demoniache molto inquietanti, come spiedini di uomini sul fuoco! Passando da una statua all’altra non mancano bancarelle con tanti prodotti made in China ben evidenziato, come fosse un vanto. Sempre qui si trova anche la Aung Setkya Paya, attorniata da centinaia di piccoli stupa, da questa paya si gode la vista migliore del luogo. Luogo prescelto per le gite fuori porta di più gruppi etnici, dove per la prima volta scorgiamo i caratteristici pa-o, riconoscibili per gli abiti neri e i coloratissimi copricapi, una specie di asciugamano attorcigliato. Poco lontano sorge anche una distesa di piccoli Buddha con ombrello, saranno circa 500, ai quali però nessuno presta attenzione. Ma è già tempo di ritornare alla stazione dei bus di Monywa dove alle 13 parte un bus locale per Shwebo che raggiungiamo per strade di campagna, l’asfalto copre lo spazio di un solo mezzo e quando ci s’incrocia uno deve fare spazio oppure entrambi cedono un pezzo di carreggiata, sperando di non trovare sulla terra un carro con buoi, cosa normale qui. Ci si ferma spessissimo per caricare persone e cose, ma anche per bere e mangiare, l’autonomia della popolazione senza foglie di betel fresche è ridottissima, sul bus si viene dotati di sacchetto di plastica non per rischi di vomito ma per espellere le foglie, una volta pieno i sacchetti vengono da tutti gettati dal finestrino colorando l’asfalto o la terra di rosso ovunque. Il bus fa tappa all’autostazione che rimane fuori dal centro, ma l’autista ci dice di non scendere perché continuando ci può lasciare in prossimità della guest house - che assieme a un'altra, terribile - è l’unica a poter ospitare stranieri. Stranieri che qui sono come un elefante in giro per le strade della Lapponia, chiunque ci guarda estasiato provando a buttar lì le pochissime parole d’inglese conosciute, a cena in un locale ad angolo sulla via principale proviamo a interloquire con un indiano trapianto qui da parecchi anni. Mangiamo in modo nettamente diverso, una specie di crescentine che non sono le somoza indiane ma che non troveremo più in Myanmar, se non qualcosa di similare in un indiano gestito da mussulmani a sud, specialità ottime associate a salse di cui non c’è maniera di carpirne il nome e insalate a base di pomodoro d arachidi deliziose, queste sì rintracciabili con facilità ovunque. Non servono alcolici, ma sanno indicare dove poter comprare birra che è possibile bere al tavolo. Dire che siamo il divertimento serale di tutti i presenti ed i passanti è scontato, l’indiano che fa da cicerone per i locali si sente il protagonista, anche se al termine della cena ci chiede un contributo economico per la compagnia, ha decisamente investito male il suo tempo. Rientrando tentiamo di utilizzare internet presso Friends, ma la lentezza è snervante e dopo 30 minuti di nulla abbandoniamo il tentativo comprendendo che non è un problema dei wi-fi che sono offerti dagli hotel ma le linee in generale che sono lentissime.

 

Sempre interessanti i mercati birmani

             

8° giorno

Niente uova a colazione, non essendoci la colazione in guest house tentiamo in giro per la città recuperando un caffè con biscotti presi in una rivendita in zona poiché al caffè propongono solo cibo da pranzo. Visitiamo la Shwe Daza Paya e la Shwe Kyet Taung Paya, mentre evitiamo di entrare e pagare il biglietto statale dell’Alaungpaya Palace, che di originale non ha più nulla. La caratteristica più interessante di Shwebo è la vita tradizione che la circonda, percepibile lungo ogni viuzza del centro ma che trova l’apoteosi nel mercato centrale, lo Zeigyo. Se reggete le visioni forti questo mercato è qualcosa di unico, come unici sono gli stranieri che lo attraversano. Tutti rimangono stupiti nel vederci quanto noi nell’imbatterci in una donna che vende topi fritti, interiora di ogni tipo, pesci squartati di dimensioni rimarchevoli, ovviamente tutto quanto vien scartato finisce a terra ed è impossibile non calpestarlo. Ma passato il primo momento d’impasse, non si smetterebbe più di fotografare quanto di più anomalo e impensabile sia in vendita, e a differenza degli spettacolari allestimenti d’insetti fritti incontrati in più punti di Bangkok o in angoli sperduti della Cambogia, qui fa molto meno messa in scena e più sopravvivenza. Attraversiamo tutta la cittadina compresa la Shwekyettho Paya che funge anche da monastero principe della città per raggiungere a nord la Maw Daw Myin Tha Paya, nulla di particolare ma ci permette di passare per angoli dimenticati del posto molto più interessanti della pagoda stessa, c’è anche il treno qui in città che corre lentissimo ma che è un piccolo richiamo per grandi e bambini, mentre l’antico fossato voluto dal re Alaungpaya è ora terreno di pesca degli abitanti, le tracce delle antiche mura quasi irrilevanti, ma un’escursione qui immerge oltremodo nella vita del Myanmar. Sosta da Eden Culinary Garden, che funge anche da forno con ottime paste, quasi insperato visto il luogo. Il tempo a Shwebo, dove la temperatura diurna si alza rispetto a Mandalay, è terminato, raggiungiamo la stazione dei bus dove dopo qualche dubbio ci è indicato un local bus in partenza, la stazione è sprovvista di qualsiasi indicazione in lingua che non sia il birmano, e a parte i nomi delle città qualsiasi conversazione è impossibile. Il viaggio dura indicativamente 2:30, la strada è buona, ma il tempo dipende da chi sale e scende e dove, visto che i local bus fermano appena vedono una persona lungo la strada e dove ogni passeggero chiede di scendere. Arrivati alla stazione da dove siam partiti due giorni prima, rientriamo a piedi verso la zona della guest house dell'andata ma questa volta la troviamo esaurita e rimediamo altrove, dove si può regolare lo spostamento via nave per Bagan, compreso il taxi della mattina prima dell’alba. Ceniamo in un ristorante cinese in zona che serve anche un caffè nero fortissimo, l’abitudine al coffee mix ci aveva disabituato a tale intensità. Ennesima conferma del fatto che Mandalay al calar del sole diventa meno popolata del Gobi, ed ultimo veloce giro della seconda città dello stato a forte impronta cinese.

 

continua...

 

Un mese in Birmania - I

 

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Luca COCCHI

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