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La Mia Cambogia - V

Diario di viaggio nel piccolo ma intrigante paese indocinese

 

... segue 

 

17° giorno 

Partenza ora 7 dalla guest house per tutti quelli che han deciso di intraprendere questa avventurosa attraversata, tutti siamo caricati sui soliti scooter a marce tranne un ragazzo francese che in attesa del visto per il Vietnam farà andata e ritorno con mezzo a nolo, cosa fattibile solo se si viaggia con una guida che conosca il percorso. A dire il vero di tutti i conduttori uno solo ha già fatto l’attraversata in questa annata e la cosa ha un significato ben preciso, perché ogni anno nella stagione delle piogge la foresta del Lumphat Wildlife Sanctuary finisce sotto le acque ed i sentieri vengono cancellati, così da dover ritrovare passaggi nuovi. La prima parte è su asfalto e su strada sterrata in buone condizioni fino a Lumphat dove facciamo tappa a casa di uno dei conduttori (dove al solito piovono banane sempre gratuitamente) e sosta per colazione in un bar/ristorante in paese con zuppe e classico caffè vietnamita. Da qui all’attraversamento del Tonlè Srepok il tratto è breve, per passare il fiume dobbiamo attendere che i sacchi di riso sulla chiatta vengano spostati a mano uno ad uno su di un camion che prende per intero l’accesso al fiume. Appunto il fiume, questo è quello che ispirò a Francis Ford Coppola la lunga ricerca del colonnello Kurtz di Apocalypse Now, anche se poi le riprese furono effettuate nelle Filippine perché la Cambogia nel frattempo era in mano ai Khmer Rossi e quindi chiusa a chiunque. Ma se ricordate il film, provate a pensare a cosa significhi attraversate questi luoghi, anche oggi è più un'impresa che un viaggio, il solo salire su strettissime canoe che fanno da traghetto per gli scooter è già qualcosa di anomalo, ma una volta sbarcati sul lato sud del fiume la civiltà termina, si risale una sponda sabbiosa e quella sabbia non ci abbandonerà più per almeno 4 ore, 4 ore durissime in cui spesso ci si maledice per aver scelto questo percorso. Ci si pianta, occorre spingere i mezzi stracarichi, si salta, si cade ed in alcuni momenti occorre sollevare scooter stracolmi di ogni suppellettile per estrarre da sotto il conducente, di solito commercianti vietnamiti che battono queste vie per raggiungere i rari villaggi dove vendere i loro prodotti, quelli che vanno di più sono grandissimi coltellacci, ma manufatti in ferro la fanno quasi sempre da padrone. La via di fatto non esiste, si prova a passare dove gli alberi cedono il terreno, si va, si ritorna e penso spesso si speri di averci preso. Qui passano solo 2 ruote, non c’è spazio per jeep o altro, ogni tanti si incontrano della palafitte con una/due famiglie, in una ci fermiamo a bere qualcosa, volendo con tempo potremmo approfittare del BBQ che stanno realizzando con enormi pezzi di mucca squartata buttati lì sul fuoco, tra maiali scorrazzanti che giocano coi bambini, o viceversa. È dura, durissima, anche perché non guidando è difficile copiare le buche del terreno, prendo tante botte più a tenermi rigidamente alle maniglie posteriori che forse rispetto a chi cade con familiare continuità, ma tutto sommato il contesto primitivo regala un piacere che compensa le fatiche. Finalmente raggiunto un villaggio di circa 10 case si prende a destra e da lì il percorso migliora, sempre sterrato ma senza sabbia e radici di alberi, quelle che nascoste dalla arena creano grandi danni al nostro passaggio. L’ultima ora è quasi rilassante, arriviamo così a Koh Nhek, un incrocio tra quattro strade rosse nel mezzo del nulla, il far west più assoluto. Ce l’abbiamo fatta, festeggiamo salutando la compagnia che continua per Sen Monorom a un ristorante sulla destra arrivando da nord con quel poco che hanno in freddo (luogo al quale dovremo ricorrere in seguito per ogni cosa) e troviamo alloggio in una delle 2 Ggeust house. Ci sarebbero anche splendidi bungalow, ma sono tutti in affitto ai lavoratori cinesi che stanno sistemando le strade da qui a sud. Qui non c’è nulla, sulle strade ci si può giocare senza paura, al massimo transitano lenti camion, o meglio parti di camion, qualche moto o bicicletta, ma se ne conteranno 10 in un’ora. Avamposto per la foresta o ultimo luogo della civiltà, la sera tira una brezza mai percepita in precedenza, finiamo per cenare al solito posto di prima per mancanza di alternative, i gestori non parlano una parola che non sia cambogiano, così girando per la “cucina” gli chiedo di prepararci delle zuppe abbondanti con quel che vedo nei paraggi, finendo con un caffè vietnamita che mi vien servito dentro ad una tazza con acqua bollente per mantenere la temperatura perfetta. Grazie agli avventori cinesi che cenano tutti qui e parlano inglese, impariamo che alle 7 di mattina i minivan partono dall’incrocio per Sen Monorom, basta farsi trovare con un po’ di anticipo e il gioco è fatto. Qui siamo al centro dell’attenzione, tutti sono curiosi e anche se interloquire è difficile diventiamo un po’ i beniamini del villaggio, ma quando il ristorante spegne le luci è buio totale, per rientrare serve la luce delle torce altrimenti si brancola nella notte. Sotto all’unica lampada stradale, in corrispondenza della banca nazionale (ma priva di bancomat) i ragazzi del luogo giocano a pallone per la via, non avranno di certo problemi con le auto che non passano… 

 

Le cascate di Bou Sraa

 

18° giorno

Sveglia ore 6, l’energia elettrica è ancora assente anche se la filodiffusione è irradiata per il villaggio, prevalentemente musica e quasi rimpiango la propaganda laotiana che “rallegrava” mattine e sere con le imprese del Pathet Lao, tentativo di colazione al solito ristorante all’angolo con caffè vietnamita e banane a non finire, volendo potremmo anche portarci al seguito un mazzo intero. Come promesso, un minivan staziona nei dintorni dell’incrocio, un ragazzino fa da autista e buttadentro, ma alle 7 in punto a parte noi non c’è anima viva. Così dopo circa 45’ partiamo andando in pratica casa per casa a recuperare gente, poi il giovane raggiunge casa sua dove viene redarguito e sostituito dal padre, il quale continua a cercar gente con metodi più bruschi, quando siamo stipati soprattutto di bagagli basculanti sul retro partiamo, sono le 8:30, conosciamo a menadito tutti i sentieri di Koh Nhek. La strada fino al capoluogo dovrebbe essere in buone condizioni, invece a causa dei lavori di ammodernamento (per esser buoni) è in una situazione pietosa, per percorrere i circa 90 km impieghiamo poco meno di 3 ore, ma se paragonato al trasferimento sul sellino posteriore di uno scooter il tutto si rivela più comodo e più economico. A Sen Monorom (a volte riportato anche come Sen Monorem o anche in altri strambi modi) si scende a fianco del mercato centrale (psar in cambogiano), da lì risaliamo sulla via che dalla rotonda porta al fiume e troviamo più guest house, alcune sprovviste di acqua calda e qui la cosa è grave. Causa festività di fine anno ci sono più stranieri che mai, la ricettività è limitata e molte guest house sono esaurite così doppiamo girarne varie prima di trovare ospitalità presso una gestita da una famiglia locale assieme ad un ragazzo australiano che ha sposato una delle figlie dei titolari. Partiamo subito in escursione affittando i soliti scooter con cambio manuale e partiamo verso est direzione cascata Bou Sraa, la più celebre della zona. La strada è per metà asfaltata e per metà in sterrato, ma in ogni caso l’incredibile polvere rossa di Ratanakiri solo un lontano ricordo. Alcuni saliscendi anche da queste parti sono spettacolari, quando arriviamo alla cascata c’è il parcheggio gratuito per moto e qualche bancarella per spuntini e oggetti pacchiani china style. Per accedere alla cascata si scende un percorso asfaltato dove l’attrazione maggiore sono le contadine che vendono alcuni prodotti alimentari tutte prese a fumarsi in santa pace le loro sigarette condite dall’oppio. In questa stagione la cascata è alla sua minima portata, tra la tante gente e la caduta limitata dal basso non impressiona più di tanto. Risalendo si può far tappa al mercato alimentare dove tanti piccoli ristorantini (complimento gratuito…) vengono dedicati alla preparazione di piatti tipici per stomaci “rinforzati”. Ovviamente non c’è menu da consultare, nessuno vi sa denominare quello che propone, io opto per la solita ananas più semplice e tranquilla. Volendo per godersi uno scenario più interessante della cascata si può proseguire sulla strada da dove si arriva, passare uno stretto ponte in legno e trovarsi sul lato destro del getto principale, proprio al di sopra della foresta. C’è un piccolo sentiero che scende la prima cascata, non siam stati in grado di trovare quello per arrivare alla base dei salti dove si potrebbe fare un più tranquillo bagno. Scegliendo questo lato non occorre pagare il biglietto di ingresso. Da qui ritorniamo prendendo una deviazione per Krang Te (non ci sono indicazioni, al primo villaggio vero e proprio sulla via principale si prende a destra sotto ad un arco), uno dei vari villaggi bunong. A parte i classici giri a dorso di elefante offerti ai pochi turisti, da visitare le abitazioni del tutto differenti dalla classiche di qui, specie di capanne con tetto spiovente quasi fino a terra fatto da rami. La deviazione è breve, su sterrato duro e pieno di buche ma senza eccessiva polvere. Quando giungiamo a Sen Monorom saliamo al Phnom Bai Chuw, conosciuto anche come "oceano di alberi". Da quassù si domina la foresta, il vento muove gli alberi e pare proprio di osservare un verdissimo mare con le onde, poi per guardare il tramonto optiamo per un’altra collina nei paraggi, quella che raccoglie il Wat Phnom Doh Kromon, piccolissimo tempio oggetto però di estese adorazioni da parte delle popolazioni locali. Sorge sopra al vecchio e dismesso aeroporto, ora utilizzato per gare di motorini dai ragazzi del luogo, ma verso sera le prime nuvole coprono anzitempo il sole ed il tramonto non è così esaltante, appena il sole si nasconde la temperatura precipita (per gli standard cambogiani), il vento si alza e scendere dalla collina in scooter occorre farlo coperti di felpa e giacca antivento. Riconsegniamo gli scooter e qui sarà l’unica volta che controllano la quantità di benzina, finiamo per discutere perché non essendoci stati consegnati né completamente pieni né completamente vuoti non è semplice accordarci, ma qualcuno che vende una bottiglietta di benzina si trova proprio di fronte al noleggio e così sistemiamo velocemente la questione. Percorsi circa 100 km. Per cena scegliamo il consigliatissimo ristorante che non si trova più dove indicato sulla LP ma a fianco della nostra guest house. Niente da dire sulla qualità, al solito servizio lentissimo ammazzato dalle arachidi fritte, unico inconveniente quello che degli infiniti piatti sul menu non ci sia quasi nulla. Ma ripeto, per gli standard di qui, ottima scelta. È l’ultima sera dell’anno, almeno per noi occidentali e non per i cambogiani, ma a parte una festa privata la città alle 21:30 è già tutta chiusa e spenta e fa decisamente freddo, felpa e giacca antivento anche per camminare a piedi. Così ripieghiamo in guest house e come molti qui lasciam perdere i festeggiamenti e ci mettiamo avanti col sonno per ripartire la mattina seguente il prima possibile per escursioni più lontane.       

 

Il traffico di Phonm Penh


19° giorno
Abbondante colazione e con scooter a nolo sempre dalla guest house partiamo alla ricerca delle cascate di Dak Dam, direzione Phnom Penh e dopo pochi km a sinistra sulla via per il Vietnam. La strada è tutta asfaltata, la giornata bella ma tira un forte vento e le nuvole vanno e vengono. Percorsi circa 20 km a un incrocio a 4 strade, dopo svariati saliscendi, si gira a sinistra su strada sterrata ma in buone condizioni. Qui trovare la cascata non è proprio facile, non esistono indicazioni, la cascata rimane circa 2 km dopo il villaggio, ma in che direzione? Nessuno parla altro che cambogiano, al villaggio più che di strade occorre parlare di sentieri e così dopo un lungo girovagare dove scorgiamo belle viste delle vallate e incontri con persone caratteristiche e gentili riusciamo a imbucare il sentiero giusto, dalla parte più bassa del paese prendere l’unico percorso in salita sulla parte opposta del versante (al momento la via era sottoposta a lavori, di difficile percorrenza ma immagino che a breve tutto cambierà in meglio), da lì effettivamente si arriva in 3 mnuti. La cascata non è nulla di che, l’ambientazione molto bella, come i dintorni del villaggio dove è possibile quasi ovunque rabboccare la benzina dalle bottiglie che quasi tutte le abitazioni hanno in bella mostra lungo i sentieri. Ritornati sulla via per Phnom Penh andiamo alla ricerca della cascata Romanaer, che dovrebbe distare poco dalla via principale. Vi è un cartello che la indica, sembra facile giungerci invece il sentiero pan piano diviene sempre più stretto e giunge a casa di un contadino. Costui a gesti ci dice che occorre proseguire seguendo il versante della montagna a sinistra dalla sua baracca e poi a un altro bivio (in realtà si tratta di erba più battuta che altro) si prende a sinistra e si scende in mezzo alla boscaglia, si passa su di alcuni tronchi e lì si scende ancora a sinistra. Non c’è nulla che segnali nulla, occorre andare a “sentimento” in mezzo all’erba, unico riferimento il fatto che nel mezzo della stretta valle appena passata e coperta da alberi sia logico trovarci un fiume con relativa cascata. Dove i motorini non possono più andare si prende a destra e dopo poco si scorge la parte alta della cascata, si può scendere da una scala di legno in pessime condizioni, che per noi ha retto, ma non mi fiderei troppo se i passaggi fossero numerosi, dal basso la cascata è più suggestiva anche se la bellezza sta soprattutto nel fatto di trovarsi in una fitta boscaglia. Ritornati sulla via principale continuando per il sentiero precedente andando sempre avanti anche quando avanti parrebbe non esserci strada, cerchiamo la cascata Romanaer II, questa più semplice da localizzare, a fianco della via principale, di facile accesso e dove incontriamo anche qualche altro viandante. Nonostante non abbiam percorso molti km e non ci siamo fermati a lungo alle cascate, abbiamo impiegato molto tempo in questa escursione perché la localizzazione dei luoghi è difficile, tanto che i noleggiatori di scooter dicono che senza una guida siano irraggiungibili, cosa non vera ma comunque complessa. Rientriamo in paese e facciamo sosta per un rinfrescante (anche se qui non è particolarmente caldo nemmeno di giorno) teuk kalohk, frullato di frutta fresca con ghiaccio, in alternativa lo si può avere col loro delizioso caffè. Causa vento e polvere non è consigliato starsene all’aperto a riprendersi, poi per recuperare alcune info tappa all’unico internet point funzionante in paese nella zona bassa verso il fiume. Dopo una doccia calda che si apprezza come non mai, per cena erroneamente cerchiamo di variare e finiamo in un altro ristorante che ci serve pochi piatti e pessima qualità, tento di cambiar sapore con i classici spiedini che micro bancarelle vendono lungo la strada ma anche questi sono al limite del commestibile, mi salva il caffè della guest house, caldo, abbondante e dall’aroma ammaliante. Percorsi circa 110 km.

 

Il Palazzo Reale di Phnom Penh di notte

 

20° giorno

Ennesima abbondante colazione di primissima mattina perché alle 7:15 parte il bus RMN (a volte indicata anche come Rith Mony) per Phnom Penh. Dopo 30 minuti il nostro bus (c’è anche un’altra compagnia che fa il tragitto, parte a fianco ma alle 8) fa sosta a una piccola cappella dove alcuni passeggeri lasciano donazioni di incenso, banane, acqua e altre cibarie non identificate. Il tutto dovrebbe avere uno scopo beneaugurante per il viaggio, di fatto perdiamo tempo e il bus partito più tardi ci sorpassa. Il percorso è tutto su strada asfaltata, posti numerati e quindi molto comodo, i bus di linea quando ci sono son sempre da preferire ai minivan, ultraffollati e sempre pronti a fermarsi per caricare più gente possibile. La sosta pranzo avviene al terminal da dove partono le corse destinate a Siem Reap, tra Kompong Cham e Phnom Penh, il posto è incredibile per le tipologie di cibi riscontrabili. Pare una gara tra chi esibisce ragni ed insetti fritti delle specie più disparate ed enormi, dal punto di vista visivo uno splendore, ma io finisco sempre su ananas e banana fritta a tocchetti che se mescolata con buone dosi di sale diventa gustosa. Poi si continua verso la capitale ma la strada negli ultimi 20 km è sterrata, il bus è invaso dalla polvere e impieghiamo ore per questa ultima tratta con arrivo in pieno centro, tra Kampuchea Krom Blvd e St. 137. La capitale è divisa a scacchiera con le vie che sono denominate coi numeri, sia le verticali (numeri dispari) che le orizzontali (numeri pari), quelle più grandi denominate boulevard prendono i nomi da personaggi storici o luoghi di importanza strategica. Il termine Kampuchea è il nome che i Khmer Rossi diedero alla Cambogia, mentre la Kampuchea Krom è quel pezzo di terra che ora appartiene al Vietnam e che il popolo Khmer ha sempre rivendicato (non a caso furono i vietnamiti ad invadere la Cambogia e spazzar via Pol Pot e soci, non certo le potenze occidentali che a parole erano a ferro e fuoco con i nemici comunisti ma li riconobbero in sede ONU come riferimento attendibile addirittura fino al 1988, quasi 10 anni dalla caduta). Ci fermiamo in un grande albergo dove è meglio chiedere una camera sul retro altrimenti i rumori che salgono dalla via renderanno la nottata difficile. Iniziamo a visitare la città dalla zona limitrofa al palazzo reale tirato a ghingheri perché a breve ci sarà la gigantesca pira del re-stato, Sihanouk, morto da circa un mese. Il lungofiume della capitale è sul Tonlè Sap che nella zona sud si unisce al Mekong, in quel punto pare più un mare che un fiume, la città è però tutta sviluppata sul lato occidentale, ora sull’orientale hanno iniziato a costruire qualche gigantesco hotel ma altro non c’è, non proprio una vista esaltante. La città è un formicaio di attività commerciali ed artigianali, non pare una gran cosa, la perla d’oriente, la Bangkok in divenire deve ancora riprendersi e rifarsi per poter sfoggiare questi nomi. In un Clinic Massage by blind a lato del lungofiume provo a riassestarmi le membra, ma l’operazione pare condotta da un torturatore del famigerato S21, vero però che in seguito i benefici si sentono, ma che impressione. Cena nei paraggi, poi vista del Palazzo Reale illuminato, suggestiva più che quella del giorno successivo alla luce solare, e sempre a piedi torniamo verso la guest house notando come le bancarelle che di giorno fungevano da negozietti ora sono micro-dormitori. Di fatto in quei 3/4 metri quadri ci sono famiglie che ci vivono tutto il giorno, dove vadano per i servizi igienici non mi è dato saperlo, ma lungo le strade c’è ben di peggio, tanti appendono le amache da un palo all’altro, molti tra lo scooter e un cavo, le vie sono immensi dormitori. Poco male ora che la stagione è secca, ma quando piove come si comporterà questa enorme massa di senzatetto? C’è da dire che in questa maniera la via non è mai abbandonata e si può girare in tranquillità anche se a piedi qui non si muove nessuno, un numero incredibile di motorini e motoremorque riempie le vie per cercare in continuazione di caricare passeggeri (non ci sono mezzi pubblici in funzione in città). Resta comunque un impatto fortissimo vedere come ovunque ci sia gente che dorme per strada, padrona a volte solo di un motorino o di un’amaca ed un sacchetto con quasi nulla a riempirlo.

 

continua...

 

La mia Cambogia - I

La mia Cambogia - II

La mia Cambogia - III

La mia Cambogia - IV

 

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Luca COCCHI

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