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Laos - V

Dettagliato diario di viaggio nel montuoso e variegato stato indocinese

 

segue... 

 

17° giorno 

Dopo aver rifornito gli scooter presso un distributore vero e proprio sulla statale 8, partiamo in direzione ovest con sosta al posto panoramico di Sala, indicato sulla via. La vista spazia verso sud e ovest, foreste e montagne che si intersecano, poi da qui inizia la discesa verso Vieng Kham dove si ritorna sulla statale 13, la principale del paese che collega Vientiane a Pakse. Andiamo a sud tra cortili invasi da funghi in essiccazione, cercando la deviazione per Khoun Kong Leng che viene descritto come lo specchio d’acqua più bello del Laos. Indicazioni vere e proprie non esistono, all’altezza del km 29 (seguire le pietre miliari per orizzontarsi) c’è però una via sterrata all’apparenza buona che si inoltra nell’interno, i primi 5 km sono ottimi mentre la descrizione parla di percorso accidentato. Ed effettivamente così diventa appena s'inizia a salire, da qui ci sono almeno 5 km pressoché impossibile con un mezzo che non sia una moto da cross, tra buche, guadi, tronchi e ogni accidente che possa ostacolare il cammino, si avanza pochissimo. Fortunatamente questo tormento termina ma lascia via a un sentiero pieno di sabbia dove le piccole ruote degli scooter spesso finisco per perdere aderenza. Metteteci anche un bivio senza segnalazione e il bello dell’avventura è centrato, al bivio prendiamo a sinistra perché il sentiero pare più frequentato, arriviamo a un villaggio dove nessuno sa indicarci la direzione del lago, proseguiamo e ci troviamo nel mezzo della foresta con infiniti sentieri che si diramano ovunque, fortunatamente un locale anche lui in scooter arriva in quel momento e ci fa capire che il nostro specchio d’acqua si trova sulla strada a destra al precedente bivio. Così ritornati sulla via prendiamo la direzione giusta arrivando dopo circa 2 ore al Lago del Gong della Sera. Verde che pare finto, con montagne ad anello che lo cingono, senza nessuno da nessuna parte (al nostro arrivo il bigliettaio decide di rientrare a casa), ci si può tuffare per refrigerarsi e togliersi parte della polvere accumulata, l’acqua è fredda, quasi meglio buttarsi da un trampolino naturale posto su di un albero alla destra del punto di arrivo, poi tramite un piccolo ponte si può fare un percorso circolare per visionare il piccolo lago per intero. Se si volesse fare picnic in questo piccolo posto paradisiaco occorre portarsi tutto con sé, qui non c’è nulla, oppure prendersi qualcosa al villaggio che si incontra 2 km prima di arrivare, Ban Na Kheu. Il rientro sulla statale porta via 90 minuti e quando rivediamo l’asfalto festeggiamo nemmeno avessimo vinto l’Eurolega! Rientrando in direzione di Tha Khaek facciamo tappa al nuovo ponte Laos-Thailandia visitando il vicino centro da dove si faceva il passaggio in precedenza via nave, trovandolo già totalmente in abbandono dopo solo tre mesi, le mucche sono padrone del luogo, le costruzioni sembrano fantasmi e la morte pare padrona di un posto che fino a 90 giorni prima era l’unica via di comunicazione tra 2 grandi parti del sud-est asiatico. Sensazione fortissima di come il mondo possa cambiare in breve con piccole cose, anche se il ponte proprio piccolo non è, ma di fronte alla storia di millenni cambia la maniera di intenderne la sua fruibilità. Facciamo in tempo a rientrare a Tha Khaek in serata, è già buio ma verso la città ci sono luci così ritorniamo alla guest house dove avevamo lasciato in deposito gli zaini, ma problemi con la fornitura dell’acqua ci portano a cambiare alloggio finendo in un'altra guest house. Anche se abbiamo ancora a disposizione gli scooter (abbiamo percorso il giro in 3 giorni invece di 4, ma ci rimangono alcune cose che visiteremo l’indomani) la stanchezza ci porta a scegliere un ristorante nei paraggi di qualità inferiore rispetto all’omologa soluzione di Vang Vieng. Percorsi 216 km, di cui 40 tremendi tra sassi e sabbia.

 


Le acque verdi del Lago del Gong della Sera

 

18° giorno

Facciamo colazione attingendo in più negozi/bancarelle in città sempre a cifre irrisorie e poi prendiamo per Tham Pa Fa, la grotta dei Buddha che si raggiunge tagliando le risaie che in questo punto sono già una visione tipica del sud-est asiatico, come siamo abituati a pensarlo nel nostro immaginario. Così le soste sono ripetute ma, senza fretta, arriviamo al posto dove parcheggiare gli scooter in corrispondenza di un grande mercato dato che questa è la grotta più visitata, oltre che dai viaggiatori, anche dai locali. Si sale per una ripida scala, all’interno le statue del Buddha non si contano ma essendo utilizzata per le funzioni religiose non si riesce a visitare per intero (anche perché dovendo lasciare le scarpe all’entrata avventurarsi in un trekking al suo interno non sarebbe così semplice), quindi meglio godersi la grande vista dall’uscita e ripartire per la grotta di Than Xang che si trova dall’altro lato della statale, raggiungibile su due ruote passando o un guado impegnativo (non fattibile nella stagione delle pioggie) o su un ponte da affrontare con tanto cuore. Visitatissima anche questa, forse perché vicino alla città e facilmente raggiungibile, siamo più noi a essere lo spettacolo per i fedeli che la grotta a esserlo per noi, se non per una grande roccia che vista da una particolare angolazione richiama un gigantesco elefante. Da qui andando a sud, prima costeggiamo il Mekong poi rientrando sulla statale, arriviamo al venerato complesso di Pha That Sikhottabong col suo splendido stupa che s'alza orgoglioso sopra al grande fiume. Nei dintorni il mercato è pieno di bancarelle dove pranzare a qualsiasi ora e dopo un attimo di relax ritorniamo in direzione nord alla ricerca di quello che viene descritta la Grande Muraglia Laotiana. Ma prima di scorgerne parti, appena all’uscita di Tha Khaek, c’è un'enorme statua di lavoratori che riempie la campagna, in puro stile sovietico, senza nessuna indicazione di cosa sia e chi l’abbia costruita, senza un custode e senza nessuno che la visiti, quindi di più non posso dirvi, se non che s'erge davanti alle tipiche montagne della zona e che data 1946 come costruzione. I tratti della muraglia che si possono ancora scorgere nulla hanno a che fare con rimandi cinesi, questa se mai lo sia stata altro non era che un contrafforte divisorio non percorribile, l’unica caratteristica è che la giungla l’ha inglobata e ora pezzi di muro di oltre 10 metri sono sovrastati da alberi e tronchi di enormi dimensioni. A questo punto rientriamo e riconsegniamo gli scooter, ci viene restituito il passaporto senza nemmeno che ci sia un minimo controllo, tutti amici in Laos. Ci godiamo l'atmosfera da nullafacenti di questa città in lenta espansione turistica grazie alle bellezze dell’interno del centro Laos, conversando con un po’ di gente vista più volte nel nord sempre sul lungofiume che dà sulla piazza della fontana bevendo frappè ai frutti più strambi o, per chi vuole, l'immancabile Beer Lao. Dopo un’ora di internet lungo Th Chao Anou, che viene spezzata da più di un blackout elettrico (nonostante il Laos punti a divenire la batteria dell’Asia qualche inconveniente c’è ancora al suo interno), è tempo di cena presso un popolare e frequentatissimo ristorante, cucina ottima ma non chiedete info su cosa siano alcune portate, nel dubbio non potendo spiegarlo ve le portano direttamente! Percorsi 86 km.


L'antico tempio hindu del Wat Phu Champasak

 

19° giorno

Con un tuk tuk fermato lungo la strada, raggiungiamo il terminal dei bus dove partiamo per Pakse (il biglietto preso al momento visto che il giorno prima non era possibile acquistarlo ma ci avevano rassicurato sul fatto che avremmo trovato posto) dopo aver fatto colazione in stazione in una delle tante bancarelle. Il viaggio è tranquillo, prima di arrivare a Pakse ci si riavvicina al Mekong e veniamo scaricati al terminale nord, fuori città e senza di fatto nessun servizio. C’è giusto un tuk tuk che ci stipa tutti scaricandoci in pieno centro dove la scelta per pernottare è ampia. Optiamo per un hotel con doccia calda anche perché, oltre ad avere camere decenti a prezzi buoni, dispone di un terrazzo dove poter ritrovarsi per chiacchierare con altri viaggiatori e mangiare, di fatto fungendo da agenzia turistica per qualsiasi cosa e meta, nei paraggi e internazionale. Facciamo un giro della città il cui centro storico sorge incastrato tra il Mekong (qui veramente ampio) e il Se Don, notando che stanno sorgendo a più non posso locali all’aperto sul lungo fiume, segno che la città ha preso vita ed è diventata un punto importante per le destinazioni del Laos meridionale e per gli stati vicini, Cambogia, Vietnam e Thailandia. Si possono osservare alcuni wat ancora ben conservati, anche se alla lunga appaiono tutti uguali e l’entusiasmo alla vista del primo wat lentamente lascia spazio a una simil indifferenza (ma questo ovviamente non vale per quelli di Luang Prabang, sia chiaro). Ci organizziamo per i 4 giorni seguenti, optando per noleggiare all’hotel gli scooter con cui andremo a visitare Champasak e a esplorare l’altopiano di Bolaven, e per entrambe le soluzioni lo scooter è sia la via più economica che più pratica, se non in certi casi l’unica (a meno di non avere tutto il tempo del mondo a disposizione e muoversi a piedi o con bici adatte al fuoristrada). Sulla via principale (quella che scende dal ponte francese per meglio intendere) c’è un ristorante preso d’assalto dai viaggiatori della zona, molta della fauna in cui ci siamo già imbattuti nelle escursioni precedenti, così è normale ritrovarsi qui ai vari tavoli a gustare una cucina varia all’inverosimile (piatti laotiani ma anche vietnamiti o thailandesi), il tutto preparato a vista, e anche questo è uno spettacolo. Dalla terrazza dell’hotel giungono le musiche che presumibilmente fanno da sottofondo nei locali sul Mekong, mentre qui da noi ci si può confrontare sui vari itinerari compiuti e in previsione, e ci accorgiamo che siamo i soli a viaggiare un mese in Laos rientrando alla fine della visita, mentre tutto il resto del mondo qui a Pakse continuerà via Cambogia, la continuazione fisiologica del viaggio. C’è perfino una giovane coppia spagnola, o meglio basca che, disoccupati dopo aver lavorato in estate nei bar di Bilbao, ha preferito lasciare la casa in affitto nel paese natio per starsene in questi luoghi dove la vita costa infinitamente meno. Da quassù si vede anche il grande ponte che attraversa il Mekong (quasi 2 km, anche questo pagato a suo tempo dalla Thailandia), illuminato con luci verdi e blu, una chicca per il luogo.

 

Risaie nel sud del paese

 

20° giorno

Colazione al ristorante dell’hotel con scelte molto varie (c’è anche pane tipo baguette e la nutella), poi in scooter si parte per il Wat Phu Champasak, oltrepassando il grande ponte sul Mekong e prendendo la nuova strada che segue il fiume nel versante occidentale, così da evitare il traghetto come da sempre per raggiungere il complesso khmer che dista circa 40 km. Ecco, appunto, appena si accenna ai siti khmer l’immaginario corre ad Angkor, ma nonostante in Laos questo complesso sia venerato, la visione non è questa meraviglia che si possa immaginare. Dall’ingresso si procede per un altro chilometro dove si parcheggiano i mezzi a fianco del grande bacino artificiale che fa da ingresso al tempio. Le rovine nella zona bassa sono in ristrutturazione affidata a una ditta indiana, non si può entrare perché i lavori fervono e ovviamente lo spettacolo non è esaltante (grandi gru all’opera per intenderci, sfido a realizzare foto significative), salendo per l’imponente scalone centrale si accede alla parte alta questa sì più interessante anche perché il tempio mette assieme simboli hindu misti al buddhismo arrivato in un secondo tempo, anche se la cosa più ammirevole probabilmente è la splendida vista sulla valle che arriva ben oltre al sito fino al Mekong. Qui la temperatura è decisamente più gradevole che al nord, ma non c’è traccia di quell’umidità che solitamente contraddistingue il sudest asiatico, effettivamente la stagione secca è veramente ottima per visitare questi luoghi, così decidiamo di allungare l’escursione verso altre mete nei dintorni scegliendo il Wat Muang Kang (chiamato in realtà Wat Phuthawanaram). Si può raggiungerlo lungo una strada sterrata dall’interno, ma in scooter o bici è possibile percorrere anche un sentiero sull’argine del Mekong passando in mezzo ad abitazioni tipiche della zona. Il wat è visitabile anche se non pare che i monaci gradiscano eccessivamente i viandanti fuori dagli orari del tak bat, da notare una grande lavagna dove vengono apposti i nomi e le cifre fornite dai donatori. Rientriamo al villaggio di Champasak facendo una sosta giusto per bere qualcosa, godendoci il clima del posto in uno splendido ristorante con terrazza sul fiume, iniziando a immergerci nell’atmosfera del luogo e il ritmo cala precipitosamente, ma proprio questo è il Laos. Rientriamo a Pakse con largo anticipo, così ci spingiamo a nord verso Ban Saphai, conosciuta come il posto dove si tesse la seta. Non aspettatevi chissà che, donne al lavoro su antichi telai se ne vedono, ma il posto pare più un punto di passaggio per l’isola di Don Kho che un antico sito di produzione tessile. Rientrati nuovamente in città ci concediamo una visita su internet in un posto in fronte all’hotel per ritornare a cena al solito ristorante, ancora strapieno di gente e sempre qualità buona. Fine serata a ritemprarci in un centro massaggi a fianco dell’hotel, dove un massaggio articolare di un'ora costa 35.000k e sistema per bene la schiena che negli spostamenti in scooter, su strada in discrete condizioni, paga dazio. Percorsi 129 km, nessun problema nel reperire benzina anche perché l’Honda Wave non consuma proprio nulla.

 

continua...

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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