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Laos - IV

Dettagliato diario di viaggio nel montuoso e variegato stato indocinese

 

...segue 

 

13° giorno 

Alle 5:30 puntuali ci facciamo trovare davanti all’agenzia che ci ha venduto il biglietto del local bus per Vientiane e il passaggio in tuk tuk per la fermata, l’impiegato vive all’interno dell’ufficio così è sempre presente, anche a questa ora antecedente l’alba. Dal centro città si raggiunge la statale incontrando “residui” della nottata, gente talmente fuori e felice che fa proprio dire come Vang Vieng sia ancora un luogo utopico. Il local bus parte dalla statale dietro alla vecchia stazione aeroportuale, ferma di fatto ovunque quindi i tempi non vengono proprio rispettati, ma i servizi VIP o similari partono solo di pomeriggio facendo perdere di fatto la giornata, anche perché la capitale non mostra troppo di interessante e si può comodamente visitare in mezza giornata. Lungo il percorso si fa tappa una sola volta in una specie di Autogrill dotato di tutto, il bus di costruzione sovietica è lento e stracolmo di gente ma il viaggio è piacevole, ci lascia al terminal del centro città, animatissimo e pieno di conduttori di tuk tuk da prendere per farsi accompagnare a destinazione. Un passaggio viene offerto a 25.000k a testa ma visto che sono di fatto abusivi (non potrebbero venire a pescare i clienti dentro al terminal) si può facilmente trattare e con 10.000k a testa ci facciamo scaricare in una zona piena di guest house dove ne peschiamo una che fa anche da agenzia viaggi, anche se i prezzi sono migliori guardandosi in giro. Dopo aver pranzato, noleggiamo le biciclette per visitare la città e iniziamo la visita partendo dal Wat Si Muang, di fatto il monastero più frequentato. Da lì prendiamo verso sud fino al Wat Sok Pa Luang all’interno di un grande parco per risalire verso il grande arco del Patuxay (stile arco di trionfo francese, non un caso) e proseguire al Pha That Luang monumento simbolo della nazione che racchiude in sé la sovranità del Laos e la religione buddhista (premetto che di religione non ne so nulla, ma il buddhismo laotiano nulla ha a che fare con quello tibetano ora famoso nel mondo). Ai laotiani piace poco perché le forme non corrispondo a quelle della tradizione, ma di certo visto dove si trova e come risplende al sole colpisce i visitatori. Con poco si può entrare, ma solamente nel cortile attorno allo stupa centrale, nel monumento vero e proprio non vi si accede. Attorno svettano due enormi templi Khmer, ma nei dintorni anche il palazzo del parlamento che nello stile sovietico si erge cubico nel mezzo di una piazza enorme, anonima e già fuori città, in una città dove il traffico ancora non conosce ingorghi come in altre grandi capitali del subcontinente o altrove nel mondo. Continuiamo il giro ritornando pian pian verso il Mekong che qui funge da confine, sono ancora in corso lavori per rendere il lungofiume il più turistico e commerciale possibile, con la statua di Chao Anou a svettare orgogliosa, ma poi è tempo per visitare il monastero più autentico, il Wat Si Saket, l’unico ancora conservato in condizioni originali (e si vede…), di fatto il monumento più bello ed interessante della città. Dopo una sosta a un internet bar troviamo un bancomat che distribuisce fino a 2.000.000k ma con commissione di 40.000k e ci rifocilliamo in ristorante popolare ma dalla qualità non eccelsa. Il mercato notturno sul fiume purtroppo sta lasciando posto a una serie infinita di bancarelle che vendono soprattutto prodotti thailandesi (del resto la Thailandia è giusto li di là dal fiume e ora i cittadini dei due stati possono muoversi senza grossi problemi) come si potrebbero trovare in qualsiasi bancarella in giro per il mondo, la globalizzazione si sta mangiando anche Vientiane. Di notte la città si anima, piena di turisti e dei nuovi ricchi del posto, magari ancora non così sfacciati come da altre parti ma indubbiamente la differenza tra la capitale e tutto il resto del paese è forte.

 

Camion con la cabina tagliata per trasportare tronchi

 

14° giorno

In città colazione alla francese poi dalla guest house veniamo prelevati per andare alla stazione dei bus meridionale, fuori città. Il trasferimento è compreso nel costo del biglietto che preso in agenzia in centro è più costoso che al terminal ma evita due giri in tuk tuk e alla fine il prezzo è similare. La grande stazione dei bus non ha nessuna indicazione, occorre chiedere e non è facile capirsi, abbiamo un biglietto per il bus delle 10, ma ci viene cambiato con quello delle 9:30 che sta partendo, anche se l’autista non gradisce, ma il responsabile del terminal è inderogabile e ci fa trovare anche i posti a sedere sul bus stipato. Appena usciti sosta (avete letto bene, dopo 200 metri sosta!) per cibarsi in un mercato di fronte al terminal, si riparte appena il conducente termina di rifocillarsi, stiviamo di tutto sotto, nel corridoio e nel fondo, fino a quando carichiamo anche due scooter, uno dei quali di fianco a me nel corridoio con sopra tre ragazzi che si inventano un posto dove sedersi. Numerose le fermate, di fatto ovunque ci sia gente che sale e che scende, soste veloci per mangiare e fare i bisogni sono frequenti (e nel frattempo il bus è preso d’assalto da venditori di ogni tipo che passano sopra a persone e cose lungo il corridoio), siamo i soli stranieri sul local bus e far conversazione non è semplice al di là di mostrare sulla mappa dove andiamo e dove vadano i passeggeri a fianco, ma nonostante una confusione incredibile il viaggio è comodo. Arriviamo a Tha Khaek (scritta sovente anche Tha Khek) alla nuova stazione dei bus che dista quasi 4 km dal centro, che raggiungiamo in tuk tuk dopo lunga trattativa per far tappa in una guest house (la responsabile parla inglese, ma è quasi sempre assente), bel posto dotato anche di ristorante all’aperto frequentatissimo dai giovani del luogo. Approfittiamo del tempo a disposizione per raggiungere il lungofiume dove organizzarci per l’escursione dei giorni seguenti, trovando due scooter con caschi un minimo decenti e per far serata sul Mekong chiacchierando con alcuni viandanti di lungo periodo e con alcune addette del mercato in strada che dà sulla piazza della fontana, dove esercitano il loro fascino alcune costruzioni coloniali francesi in splendida decadenza. Prendo un frullato, e una volta terminato il primo abbondante bicchiere mi viene rabboccato gratuitamente. Il sole scende sul versante thailandese del grande fiume regalando uno splendido tramonto in una cittadina dal ritmo rallentato, dove non c’è più il passaggio di frontiera via barca perché ora è già attivo il collegamento via ponte 6 km più a nord, il terzo ponte sul Mekong tra Laos e Thailandia. Anche questo ponte, come i precedenti due, finanziato da Thailandia e Vietnam, in modo da creare un corridoio privilegiato per il passaggio delle merci, prima bloccate dalla chiusura del Laos. Ceniamo al locale mercato: carni pessime, dolci buoni, non una grande cena, ma giunta al termine di una giornata dagli sforzi minimi.


Il barcaiolo che ci ha portato nella grotta di Tham Kong Lo

 

15° giorno

Colazione in guest house dove lasciamo in deposito lo zaino grande e utilizziamo quello più piccolo per farci stare l’occorrente per quattro giorni, poi ritirati gli scooter partiamo per il percorso circolare, una delle nuove attrattive del Laos non ancora colma di turisti per via del fatto che si può fare solo in scooter, con a disposizione la mappa che rilasciano tutti i noleggi ma soprattutto con la fondamentale descrizione dell’itinerario che si trova sulla Lonely Planet. Facciamo il pieno agli scooter in città e poi via verso le prime grotte che incontriamo lungo il percorso, The Falang, Tham Xieng Liap e Tham Nang Aen. Il percorso si snoda tra le tipiche montagne carsiche, dopo aver lasciato spazio a una piccola visione di risaie inondate con sullo sfondo le montagne, lo scenario che più rappresenta il sud-est asiatico. Da qui lungo la statale 12 prendiamo verso nord-ovest sulla 88 che risale verso la grande centrale idroelettrica di Nam Theun 2. Questa ha cambiato completamente lo scenario della zona, di fatto ora c’è una grande montagna da risalire dove gli scooter (dei Lifan cinesi) faticano parecchio e quando scolliniamo non troviamo concordanza col discorso dei kilometri, evidentemente la variazione della strada ha cambiato lo scenario. Quello che non cambia è lo spettacolo della zona che attraversiamo ma da Ban Oudomsouk l’asfalto termina; qui si trova l’ultima stazione di rifornimento della giornata, ma poco male se non rabboccate. Per continuare si entra nella grande zona tramutata in lago per via della diga (che poi una vera e propria diga non la si vede, è la montagna spostata a far da sbarramento…), uno spettacolo incredibile di acqua e alberi, animali e genti, un mondo nel mondo che nulla ha che fare con quanto visto in precedenza. Trovare il villaggio di Nakai non è semplice, quello che viene definito come l’ultimo avamposto lungo il percorso si trova ora a fianco della strada principale (sterrata su fondo terroso che colora tutti i motociclisti di polvere, fortuna che i mezzi a quattro ruote sono pochissimi), non è indicato e probabilmente gli abitanti della zona non lo conoscono con questo nome e rimandano tutti al primo paese che si incontra, cosa che porta a tante piccole deviazioni dal percorso principale verso nuovi villaggi costruiti in seguito alla formazione del lago artificiale. Arrivati a Nakai pranziamo in una capanna che funge da ristorante, si mangia quello che la cuoca decide, solita zuppa di noodles, poi cerchiamo un distributore ma capiamo velocemente che quanto indicato dalla Lonely Planet (possibilità di rifornimento) in realtà sono solo abitanti della zona che vendono benzina in bottiglie di plastica. Un litro costa 15.000k, ovviamente c’è del ricarico, a dire il vero non sarebbe nemmeno necessario farlo qui visto che in seguito questa opportunità sarà ovunque e si troverà anche qualche rifornimento con vecchi cilindri a pompa. Da Nakai lo spettacolo diventa superbo, sulla sinistra la giungla incontaminata, sulla desta il grande lago, si prosegue incrociando di tanto in tanto grossi camion che viaggiano con la cabina di pilotaggio tagliata per appoggiare meglio giganteschi tronchi (spettacolo da foto), moto ricoperte di ogni mercanzia e qualche viandante che già si era incontrato lungo il cammino in precedenza. Arriviamo a Ban Tha Lang che il sole è ancora alto e splendente nel cielo così decidiamo di continuare, nonostante la via venga descritta pessima. Ci frega il fatto che la prima parte pare come quanto fatto nei precedenti 15 km, purtroppo dopo poco così non è più, la strada diventa un sentiero che ci mette a durissima prova ed effettivamente fino a Lak Sao non si incontra nulla per far tappa. Qualche villaggio che definire a impronta rurale è poco, qualche rifornimento di benzina, ma poco altro, anche la vista non è più quella di prima, il sentiero stretto non regala suggestioni nei dintorni, poi meglio concentrarsi su come evitare le buche che è meglio. Fortuna che le luci del Lifan funzionano, perché per fare gli ultimi 30 km impieghiamo quasi 90’ su una strada impossibile (era scritto, devo ammetterlo), quando cala il freddo e occorre fermarsi per ripararsi al meglio. Alle prime luci di Lak Sao (in realtà qualche chilometro prima) scorgo una guest house e mi ci fiondo senza nemmeno pensare ad alternative o a dove mi trovo. Per fortuna trovo un guardiano che dorme all’aperto, ci sono solo camere libere (doccia bollente ma senza riscaldamento che avrebbe fatto piacere) dove togliersi di dosso chili di polvere. Purtroppo il locale di fronte alla guest house fa solo da karaoke bar e non serve cena, così occorre riprendere gli scooter per arrivare in città e cercare un posto per cenare. La scelta è scarsissima, fortuna che una coppia vietnamita serve qualche piatto e così possiamo mangiare qualcosa di caldo assieme a una coppia francese, alla fine ci offrono anche dei dolci vietnamiti, peccato solo che non servano il loro ottimo caffè ma un surrogato in busta stile Nescafè già completo di tutto, caffè/latte/zucchero, cosa che accadrà in tutto il centro Laos. Lak Sao (che significa km 20) sorge a 32 km dalla frontiera vietnamita nel mezzo delle montagne Annamite, il freddo in questo periodo è intenso e la temperatura serale prossima allo zero. Rientriamo velocemente in guest house, dopo aver percorso 177 km, di cui più della metà su sterrato.


L'ingresso alla grotta di Tham Kong Lo

 

16° giorno

Alle 6 dagli altoparlanti applicati lungo la strada principale la radio nazionale inizia a farsi sentire, non si capisce nulla se non ripetutamente Pathet Lao, ovvero il partito nazione al governo dal 2 dicembre 1975. Tanto vale alzarci e partire facendo colazione alla prima baracca che si incontra sulla strada e dopo aver fatto rifornimento a un vero distributore prendiamo la statale 8 verso ovest, asfaltata e costeggiata da belle montagne con la temperatura che pian piano inizia ad alzarsi. Tra una fermata e l’altra merita assolutamente quella al ponte di Tha Bak sul largo e placido Nam Nyuang solcato dalle barche bomba. Queste piccole imbarcazioni sono costituite dai residui dei serbatoi supplementari dei caccia statunitensi che una volta svuotati venivano sganciati, ora hanno trovato un impiego più a misura d’uomo, e rimangano bene impressi alla vista, vista che viene riempita dallo splendore delle solite montagne a picco questa volta sul fiume, il verde nel blu. Si prosegue fino a Ban Khoun Kham, chiamata anche Ban Na Hin, da dove una nuova strada asfaltata porta alla meraviglia assoluta del Laos, la grotta di Tham Kong Lo, dove un grande fiume sotterraneo di 7 km attraversa la montagna per sbucare nel mezzo del nulla o se preferite nel mezzo della foresta. Lungo il percorso che si snoda tra campagne e montagne sorgono alcuni villaggi dove si possono trovare guest house oppure homestay, per accedere al parco si pagano 5.000k con diritto di parcheggio, poi una volta giunti alla reception, in puro stile da repubblica democratica popolare, un consorzio di barcaioli vi porterà a visitare la grotta. Un’imbarcazione costa 100.000k, ci si può stare fino a 4 persone, ma vista la risibile cifra meglio essere in due sull’imbarcazione per gustarsi al meglio la grotta. Il luogo è incantevole anche solo per fare il bagno, una piscina naturale verdissima sotto di una montagna a picco sormontata da guglie, sul lato destro c’è il piccolo accesso alle imbarcazioni (scarpe e bagagli si possono lasciare in biglietteria) e una volta saliti sulla barca si salpa verso il buio e l’ignoto. In questo periodo l’acqua è scarsa, quindi occorre esser muniti di ciabatte o meglio scarpette da acqua altrimenti quando si scende a spingere le pietre del fondo possono provocare tagli alla pianta dei piedi. Pare di entrare nel ventre della terra, il buio è totale, il timoniere ha una grossa torcia legata in testa che all’inizio serve per aver una minima idea di dove ci si trovi, poi pian piano gli occhi si abituano ma soprattutto l’udito fa capire in che punto della grotta si sia, quando il rumore del motore è forte probabilmente l’arco è non oltre i 20 metri, quando il motore sembra scomparire il tetto può essere a 100 metri di altezza! Considerando che il fiume arriva in alcuni punti fino a 100 metri di larghezza e che i canali interni sono infiniti, immaginate la destrezza del timoniere nel capire come procedere, visto che il percorso visitato prima di sbucare nel versante a valle è di 7 km. Si fa sosta in un punto che viene illuminato quando visitato pieno di stalagmiti e stalattiti, spettacolo nello spettacolo, gli incroci con altre imbarcazioni si notano giusto per le luci da speleologi che è sempre meglio portare (volendo si può noleggiare alla partenza). Alcuni passaggi non sono fattibili e occorre trascinare la barca a braccia, il tutto dà ancora più gusto, quando dopo un’ora si inizia a scorgere la luce alla fine del tunnel sembra veramente di ritornare al mondo, e che mondo! Siamo nel bel mezzo della giungla, un punto tra le montagne nel mezzo di un fiume, si fa tappa in un mini “barcagrill” dove mangiare e bere (se ci si accontenta, chiaro) e contemplare il luogo che non pare di questo mondo. Non ci sono strade per arrivare qui, la grotta sotterranea è stata scoperta a inizio secolo, probabilmente le genti di qui prima avevano avuto rarissimi contatti con altre popolazioni perché raggiungibili solo a piedi arrampicandosi sulle montagne. Ma non ci si sente di certo pionieri, si contempla un luogo che pare inventato e non ancora inglobato nel nostro modo di pensare. Poi rientriamo riattraversando la grotta che percorsa al contrario pian piano regala altri aspetti prima non incontrati. Arrivati al punto di partenza si resta senza parole a godersi il sole nella piscina naturale che fa da accesso alla grotta mentre i ragazzi locali praticano la petang, il gioco delle bocce importato dai francesi che qui impazza. Rientriamo prima che cali il sole a Ban Khoum Kham trovando alloggio in una splendida guest house gestita da un laotiano rientrato da poco dal Canada dopo 33 anni di esilio. Parla inglese e francese, ci racconta un sacco di aneddoti sul posto, sulla storia, vuol sapere dell’Italia e dell’Europa, ci regala anche un’ora di internet, insomma in un attimo è già sera quando per noi sarebbe anche l’ultimo giorno del 2011, ma qui così non è, non si festeggia e trovare un ristorante aperto non è semplice. Fortuna che uno ancora accetta viandanti e non rimaniamo senza cibo. Percorsi 160 km, tutti su strada asfaltata in decorose condizioni.

 

continua...

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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