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Laos - III

Dettagliato diario di viaggio nel montuoso e variegato stato indocinese

 

segue... 

 

9° giorno

Colazione al mercato poi veniamo prelevati dal minivan che ci porterà a Phonsavan direttamente alla guest house. Il primo tratto di strada è lungo la statale 13 che scende verso la capitale, ma l’asfalto è in pessime condizioni e siamo sballottati tra una curva e l’altra. Si procede lentamente, sosta per pranzare prima della deviazione a Phu Khoun, temperatura fredda, e nel frattempo facciamo chiacchere con un italiano che passa 6-7 mesi in viaggio nel sud-est asiatico, eliminando di fatto i costi morti di mantenersi una casa in Italia (in estate lavora in spiaggia a Jesolo dove gli viene dato anche un posto letto). La statale 7 che porta a Phonsavan ha un fondo migliore e con meno curve da percorrere, la parte finale del trasferimento diventa meno impegnativo. Alla stazione dei bus della cittadina ci sono minivan gratuiti forniti dalle varie geust ouse che portano a visionare le strutture alberghiere (optiamo per una con acqua potabilizzata e doccia calda, qui fondamentale) poi iniziamo subito ad organizzare l’escursione del giorno seguente verso la Piana delle Giare. Phonsavan città non ha nulla da offrire, si stende anonima lunga la statale che porta al confine col Vietnam, siamo tra le montagne più bombardate del Laos e lo si nota bene perché le fioriere di ogni abitazione sono costituite da enormi bombe, le sedie dei bar idem, i cestini idem, le indicazioni stradali idem, insomma, di reperti di bombe è coperta la città. Lo si può apprendere appieno visitando il MAG, centro per la rimozione degli ordigni inesplosi, ma se siete deboli di stomaco, evitate. Oltre alla storia della "guerra segreta" (tutta riportata anche in inglese) e alle foto, ci sono reperti bellici (anche se ufficialmente gli U.S.A. mai dichiararono questa guerra) e filmati che ogni ora vengono riproposti. Nell’adiacente centro dei sopravvissuti fanno bella mostra arti, carozzine e oggetti del genere, qui la situazione fu drammatica e buona parte della popolazione ne paga ancora le conseguenze. Appena il sole si nasconde la temperatura precipita e il problema di dove cenare non è secondario, non ci sono ristoranti (o luoghi preposti a cibarsi che mi pare una dicitura più adeguata…) non dico riscaldati ma almeno con una porta, così prima tentiamo di prenderci qualcosa di caldo in un magazzino che oltre ad una zuppa di noodles, altro di commestibile proprio non offre, poi facciamo tappa in un ristorante carino gestito da un inglese dove la corrente fredda è padrona assoluta del luogo. Ma dopo di una attesa enorme, quasi congelati come gli altri pochi clienti (che poi sono quelli che avevano viaggiato con noi da Luang Prabang e che vedremo svariate altre volte lungo il nostro cammino) riusciamo a cenare in maniera discreta per tornare nel freddo della camera. Dato che a parte il periodo dicembre/gennaio qui non è mai freddo, non c’è traccia di riscaldamento nelle camere, ci viene data una coperta, ma senza il sacco a pelo la notte sarebbe passabile solo sotto alla doccia calda…Una nota, da qui in poi iniziamo a vedere uno strano mezzo di trasporto, di fatto il più utilizzato dalla popolazione rurale del Laos, una specie di basso trattore costituito da un motore da tosaerba sul frontale, collegato da un pezzo di legno lungo 2 metri (e altrettanto il manubrio…) a un carro che trasporta merci e gente. Subito fa impressione, poi ci si abitua e diventa visione quotidiana e molto laotiana.

 

Piana delle giare a Phonsavan

 

10° giorno

Colazione in guest house poi partiamo per l’escursione in direzione della Piana delle Giare. La piana, che piana non è, si trova nei dintorni sud-ovest di Phonsavan, dei vari siti se ne visitano tre dove fanno bella mostra di se incredibili ed enormi giare, di cui ad oggi poco o nulla si sa su chi le abbia realizzate e il perché. Certo le teorie non mancano ed ognuno qui si fa la sua idea, ma molto meglio lasciarsi andare alla visita e dimenticare le varie teorie, oppure farsene di proprie che tanto la valenza è la medesima. Il sito 1 è il più vicino ed anche il più vasto, occorre fare molta attenzione ai segnali lungo i sentieri, quando si passa tra le piastrelle bianche si può andare con tranquillità, tra quelle rosse meglio rimanere sul sentiero, dove le piastrelle mancano si va a proprio rischio e pericolo su di un terreno ancora non bonificato dagli ordigni bellici. Enormi crateri di bombe esplose durante la guerra degli anni ’60 fanno bella mostra di sé tra gruppi di giare e altri, alcuni talmente grandi che potrebbero contenerne parecchie, nonostante alcune misurino oltre due metri di altezza e uno di diametro. Le giare si trovano su tre colline, il percorso va poco oltre il chilometro, quindi si visita il tutto in poco tempo. Da qui prendiamo per Muang Khoun, la ex-Xieng Khuang che fu capoluogo di questa provincia, terra di disgraziati bombardamenti, dove però ancora svettano ancora alcuni splendidi monumenti tra cui il That Chom Phet, stupa eretto dai Cham e da cui con una breve camminata si arriva al fantastico e inquietante That Foun, che nei secoli fu usato per vari scopi. Ritornando nel centro della città tappa d’obbligo al Wat Phia Wat, tra le cui rovine emerge nel mezzo di colonne bombardate un Buddha grigio con ancora i colpi delle granate in evidenza. Rientrando iniziamo a scorgere lungo i campi la forte presenza di bufali, animali adatti al duro lavoro nei campi, mentre si evince con facilità la differenza tra i villaggi lao e quelli hmong, data dal fatto che i secondi vivono in case costruite sul terreno mentre i primi su palafitte. Prendiamo la deviazione verso i siti 2 e 3, ma prima si fa tappa presso un’abitazione dove si produce il lao lao, ossia whisky di riso che chi lo assaggia lo assimila più a una forte grappa che al figlio più famoso della Scozia. La cosa più interessante della produzione è vedere un’anziana signora tutta presa dalla sua attività che non si nega svariati assaggi della bevanda. Prima di giungere al sito 3 si possono osservare i resti di un carrarmato sovietico, ma carcassa a parte è rimasto ben poco. Il sito 3 si raggiunge tagliando a piedi per le risaie e salendo su di una piccola collinetta, è molto più piccolo del n° 1 ma ha al suo interno le giare più spettacolari, alcune aperte su di un lato altre con fori da farle sembrare scheletri viventi, l’effetto scenico è proprio bello. Attenzione rigorosa a non uscire dal lato a monte dal recinto, il terreno non è mai stato bonificato. Dopo questa visita si giunge al sito 2 che si trova su due versanti di una collina tagliata nel bel mezzo dalla strada sterrata, sul lato sinistro vi sono le giare più belle, ma su quello destro la vista spazia su villaggi limitrofi. Qui facciamo tappa per pranzo anche se l’orario di pranzo è passato da parecchio, poi continuiamo per la strada che raggiunge i villaggi della zona osservando scene di vita bucolica e agreste, oltre alle spedizioni di pesca verso il fiume attiguo. Rientriamo a Phonsavan e ci facciamo scaricare al monumento dedicato ai caduti vietnamiti (chiuso, ma non pare di perdere nulla di indimenticabile, volendo si scavalca senza problemi come fanno i ragazzi del luogo) su di una collina a sud del paese, rientrando a piedi in centro passando a fianco di alcuni wat ed attraversando uno splendido mercato, dove la parte alimentare merita una visione approfondita, soprattutto quella del pesce, dove innumerevoli specie sguazzano ancora vive in multicolori bacinelle. Dopo un’escursione in internet cerchiamo senza trovarlo un ristorante dotato di porte per non congelare. Quello che individuiamo sulla via principale non soddisfa la condizione, ma almeno si cena in maniera più che decorosa a buon prezzo, per poi riscaldarci con una doccia bollente e infilarci nel sacco a pelo visto che la camera pare ancor più fredda della sera precedente. Ma questo, avevamo appurato durante il giorno, è un problema che tocca tutte le strutture del luogo visto che la preoccupazione è più per il caldo umido dell’estate e non per il freddo invernale, nonostante Phonsavan si trovi ad oltre 1.100 metri nel mezzo delle montagne.

 

Il tempio That Foun

 

11° giorno

Caffè in guest house perché non c’è praticamente nulla da mangiare, rimediamo con qualcosa nel minimarket a fianco che funge anche da base di partenza del minivan destinazione Vang Vieng. La puntualità non è il massimo, invece delle 8:30 partiamo dopo le 9 ripercorrendo la statale 7 fino a Phu Khoun e dopo una veloce sosta si prende a sud per la statale 13 che anche in questo tratto versa in condizioni pessime. Lo scenario però è favoloso, montagne a picco che cingono la via che scende velocemente sempre tra buche e animali. Il minivan ci lascia a un piccolo terminal a nord della città, da lì con un tuk tuk si raggiunge il centro di quella che senza mezzi termini si può definire la "capitale dello sballo" del Laos. Hotel e guest house si susseguono a ristoranti e agenzie viaggi, intervallati da negozi dove trovare di tutto a prezzi imbattibili, qualsiasi cosa si voglia è qui che va comprata. Facciamo base in una guest house (dotata di acqua calda, ventilatore/aria condizionata e acqua purificata) nel pieno centro in un'antica abitazione tradizionale, poi in uno dei tanti posti di ristoro mangio un'ottima baguette al tonno e formaggio con frullato di banana e caffè, prendendo per vero il fatto che qui tutto sia effettivamente a portata di mano. Certo i posti paiono tutti identici, adatti a riprendersi dagli sballi notturni e dagli infortuni che le attività post sbornia lasciano, come ben testimoniato da un imprecisato numero di persone viste con stampelle, bendature rigide, gessi o zoppicanti. Il clou delle attività è il tubing, di cui leggerete Tubing-Vang Vieng su incalcolabile numero di t-shit-felpe-canottiere per tutto il sud-est asiatico, in pratica la discesa del Nam Song su camere d’aria, ma si può fare arrampicata, speleologia, mongolfiera, kayak, cross in bici e moto o escursioni nei dintorni in mille modi, in pratica un piccolo paradiso all’aperto in un punto scenograficamente molto bello, come dimostra la vista sul fiume al tramonto con sullo sfondo le montagne, piccoli ponti di legno barcollanti lo attraversano e quando si incrociano gli scooter non è facilissimo starci in 2… Un’escursione nella parte est del fiume permette di prendere visione della parte meno affollata del posto, dove monaci e turisti vivono in perfetta simbiosi. In serata ne approffitiamo per prendere info a riguardo del giro circolare del giorno seguente tra le montagne e le grotte della parte a ovest della città da farsi in scooter, per cenare in un ristorante tradizionale verso il ponte principale a pagamento (dove assaggio il tradizionale láap, gustoso ma piccantissimo) e per terminare con un giro dalla parte di Don Khang, l’isola dove fanno tappa tutti i personaggi più strambi del luogo. Visti all’opera comprendo perché tanti infortuni al risveglio, anche se a portar gessi son soprattutto ragazze quasi sempre inglesi/australiane. Se a Luang Prabang dopo le 22:30 la città inizia a spopolarsi qui per quell’ora tutto si anima e la parola "happy" inizia a far bella mostra di sé nei dolci e nei cocktail, dove happy vuol giusto dire un’aggiunta di marjuana alla consumazione richiesta. Non che ci sia una legge ad personam per Vang Vieng che lo permetta, solo che qui è così e nessuno pare lamentarsene, sicuramente non le attività commerciali di ogni tipo che prosperano alla grande.

 

L'incredibile acqua azzurra della Blue Lagoon

 

12° giorno

Colazione al ristorante poi, dopo aver preso a nolo gli scooter Kolao Rio di fabbricazione coreana i uno dei tanti noleggi in città (va lasciato il passaporto e si è già pronti per andare, cambio semiautomatico, in pratica col bilanciere ma senza frizione) partiamo per il giro circolare a ovest di Vang Vieng, tutto su sterrato. Tutti i noleggi forniscono una cartina dei luoghi, ma il meglio è quanto riportato da un viaggiatore sulla Lonely Planet, dove annota in corrispondenza di quale palo della luce girare per trovare le varie grotte, dove sono siti i piccoli ponteggi per oltrepassare i fiumi e a chi chiedere per visitare alcune grotte particolarmente intricate. Oltrepassiamo il Nam Song dal largo ponte a pedaggio nel centro cittadino e da lì prima tappa a Tham Khan dove dopo cinque minuti a piedi si trova la grotta più complessa da girare della zona. Una guida può accompagnarvi, soprattutto per la parte finale più che consigliabile è di fatto fondamentale, anche se per chi soffre di claustrofobia è meglio desistere. Un veloce Bignami di speleologia con visione obbligata del solito Buddha, che in ogni grotta fa sempre bella mostra di sé. Tutte le grotte si trovano nel mezzo delle caratteristiche montagne carsiche a picco sulla valle ricoperte di vegetazione, la tipica vista da sud-est asiatico che non stanca mai. Seconda tappa alla Tham Phu Kham, la più famosa, conosciuta anche come "Blue Lagoon" per via dello splendido specchio d’acqua che si trova prima dell’ingresso dov’è possibile fare il bagno lanciandosi dalle liane degli alberi adiacenti. Se si ha tanto tempo si può far giornata in questa infinita grotta, meglio farlo però con una guida, altrimenti preferibile restare nelle zone limitrofe al grande Buddha sdraiato. Si possono noleggiare torce per l’illuminazione, ma in ogni caso per un viaggio in Laos è assolutamente consigliato averne sempre una propria a disposizione. L’accesso alla grotta in questo caso è segnalato, si percorre circa un chilometro dalla via principale, ma qui un po’ di traffico tra scooter e bici fa capire dove si è diretti. Attenzione perché alcuni abitanti del posto spacciano per Blue Lagoon un‘altra laguna nei dintorni, sempre a pagamento, ma che viene descitta come una solenne fregatura. Da qui continuiamo seguendo il percorso principale passando per i villaggi di Ban Na Thong e Ban Phon Sai in mezzo a montagne incantate, ponti che si passano trattenendo il fiato, campi coltivati e risaie che stanno per essere approntate alla coltivazione del riso che qui porta un solo raccolto all’anno. Arrivati fin qui occorre guadare il fiume per spingersi a nord verso Ban Nampe dove il sentiero termina. Il villaggio è particolarmente suggestivo, probabile che più di un abitante vi venga a “visionare”, son tutti molto cordiali anche se la lingua diventa un problema perché a parte qualche parola in inglese di alcuni giovanissimi è impossibile comprendersi coi locali. Rientriamo verso Ban Phon Sai facendo tappa presso un piccolo e improvvisato bar dove si possono trovare bibite e birra fredda, e dove il titolare ci illustra un percorso alternativo per rientrare costeggiando il lato meridionale della vallata.  Si passano alcuni ponti più “seri” di quelli a nord del percorso, anche se la vista da questo versante è meno caratteristica che quella dell’andata, ma arriviamo più velocemente sulla statale 13 in modo da raggiungere e visitare anche la zona a nord di Vang Vieng in corrispondenza del gruppo di grotte di Tham Sang. L’accesso alle grotte non è segnalato se non per un riferimento a un hotel della zona, comunque fa da indicazione il km 13, si pagano i soliti balzelli per il parcheggio e per passare il ponte di bambù e raggiungere il complesso delle grotte, la prima proprio di fronte al ponte a fianco di un monastero, le altre circa un chilometro in direzione nord e nord-est. A questo complesso di grotte si può arrivare anche in auto, ed esistono varie escursioni organizzate per andarci, di solito di metà giornata abbinate a una discesa in kayak o in tubing, le grotte a ovest non sono raggiungibili su quattro ruote, le uniche escursioni organizzate sono in bicicletta, ma la maniera migliore, più veloce, comoda, economica e pratica è in scooter. Rientrati a Vang Vieng optiamo per una cena barbecue in stile coreano dove si può assaggiare anche la carne di bufalo. È una cena particolarmente caratteristica, ma serve tempo e pazienza per cuocersi lentamente tutta la carne e soprattutto per la verdura che viene riscaldata e insaporita con l’acqua che rimane nella parte bassa del contenitore dove va cotto il tutto. Il posto è comunque preso d’assalto dai tantissimi viandanti che fanno tappa nella città, avendo di fatto il fuoco sul tavolo la cena è molto calda, e dopo quelle al freddo dei giorni precedenti fa perfino piacere. Visto che la sveglia dell’indomani sarà molto anticipata, un veloce giro di Vang Vieng poi a letto in anticipo rispetto agli standard del luogo, fortuna che la guest house non è in zona particolarmente festante, cosa da considerare se si è qui per far escursione e non per sballarsi. Percorsi in scooter 91 km, più della metà su sterrato, ma la strada statale è perfino peggio perché l’asfalto spesso manca e perché passa di tutto lungo il cammino, soprattutto animali di ogni genere. Consigliatissima una mascherina per bocca e naso (in vendita in vari negozi), come vedrete indossare alla maggior parte della gente in scooter.

 

continua...

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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