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Namibia in autonomia - II

Notizie utili per attraversare questo magnifico angolo di mondo

 

Il Fish River Canyon è una specie di Grand Canyon più piccolo e anche se non è, come recitano i depliant, il secondo più grande del mondo dopo quello nordamericano, merita di essere visto. A circa 130 km di pista da Keetmanshoop, largo fino a 27 km, profondo 500 metri e lungo 160 chilometri, la sua formazione risale a 650 milioni di anni fa. Se valga la pena di fare così tanti chilometri apposta è opinabile, ma a posteriori posso dire che la strada da qui a Sesriem è stata talmente bella che ringrazio il Canyon per avermi attirato fino a sé. Lo si può ammirare da alcuni view point e ovviamente sarebbe più indicato arrivarci con la luce bassa dell'alba o del tramonto e non quella di mezzogiorno come abbiamo fatto noi.

 

Il trekking al suo interno è vietato a causa di incidenti mortali occorsi in passato sulle maltenute piste ed è consentito farlo solo "seriamente”, cioè con discesa fino al letto del fiume e risalita: significa minimo 3 giorni per il giro corto e 5 per il lungo e comunque solo fino a settembre, cosa che finisce inevitabilmente col selezionare i trekkers della domenica da quelli esperti. Si pernotta sul fondo sabbioso con le proprie tende, cosa che nelle stagioni delle piogge è vietato.

 

Il Fish River Canyon - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

Il Fish River Canyon - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Dal Fish River Canyon a Sesriem, doveva essere solamente un territorio da attraversare, 600 km circa senza particolari aspettative, e invece si è rivelato una delle cose più belle di tutto il viaggio. Innanzitutto è zona pochissimo frequentata, un po' perché non facente parte del giro più classico e poi anche perché i non tanti viaggiatori che includono il Fish River Canyon e Luderitz e Kelmanskop nel proprio itinerario a volte si spostano con voli interni per guadagnare tempo. Nel tratto dal Keetmanshoop ad Aus, percorsa una buona strada asfaltata di circa 200 km, abbiamo ammirato bellissimi paesaggi. Abbiamo pernottato ad Aus, in un albergo più caro della media riscontrata in seguito, parzialmente riscattato dalla possibilità di assaggiare la carne di coccodrillo nel ristorante.

 

Il giorno dopo, nel chiedere informazioni sul percorso per raggiungere Sesriem al locale visitor center, ci hanno ripetuto più volte di non prendere la pista più breve (la C13 che dopo Helmeringhausen diventa C27) ma la meno frequentata e molto più spettacolare "scenic road" più interna, che lambisce il deserto del Namib e che si distacca dalla C13 a 58 km da Aus. Nonostante questo ci siamo sbagliati e abbiamo saltato il bivio, facendo per una paio di decine di km la C13 che pure attraversava bei posti, ma niente in confronto a quelli che ci saremmo persi. Quando ci siamo resi conto dell'errore, siamo tornati indietro e, a posteriori, abbiamo fatto benissimo. Paesaggi che ogni 30/40 km cambiavano completamente passando da lande desertiche a gialle savane, da rocce nere a sabbie rosse, dando asilo a struzzi, orici e dromedari. Tutto questo popo' di roba non era indicato da nessuna parte, nemmeno nella solitamente dettagliata Lonely Planet.

 

La sabbia del Deserto del Namib al tramonto assume tinte infuocate - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

La sabbia del Deserto del Namib al tramonto assume tinte infuocate - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Sesriem è la base per visitare la zona di Sossusvlei e del circostante deserto nel Namib, che in questa area raggiunge il massimo della spettacolarità: qui vi sono le dune più alte del mondo (350 metri la Big Daddy di Dead Vlei) e le più fotogeniche (sabbie al quarzo con predominanza di tinte rosse e rosa che al tramonto rendono il più impedito dei fotografi in grado di fare foto degne del National Geographic). A Sesriem c'è un bel campeggio dove è consigliato pernottare perché, non essendo permesso campeggiare all'interno del parco che col buio viene chiuso per proteggere gli animali dalle auto, è il posto dal quale, all'alba o al tramonto ci si mette meno tempo per essere sul posto, con le condizioni di luce migliori.

 

Il sito di Sossusvlei è a 60 km circa dall'ingresso e la famosa Duna 45 prende questo nome dai chilometri necessari per raggiungerla partendo dall'ingresso. Non avevamo prenotato e quando siamo arrivati non c'erano piazzole libere. Per nostra fortuna uno dei prenotati non si è presentato entro le 19:00, orario in cui il parco chiude e abbiamo preso il suo posto, anche se poi la mia compagna in quel campeggio ha passato un brutto quarto d'ora quando, mentre ero nei bagni, era convinta di aver visto una iena che invece, molto più probabilmente, era un molto meno pericoloso sciacallo, visti a bizzeffe in seguito. Le piste che portano ai vari sono fruibili in autonomia, se dotati di un mezzo 4x4 e un minimo di esperienza di guida sulla sabbia. Consigliato sgonfiare le gomme per garantire una maggiore aderenza nelle morbide sabbie. Chi non se la sente o non ha un mezzo a 4 ruote motrici può prendere le jeep collettive sul posto a 10 euro a testa per coprire gli ultimi 4 km fino a Dead Vlei.

 

Per quanto sia un deserto, è molto meno monotono di quanto ci si possa aspettare: è costellato di vlei, valli dal fondo ricoperto di fango bianco secco che, nella breve stagione delle piogge, si animano di vegetazione e vita. La vlei più famosa è senza dubbio Dead Vlei, uno dei siti più fotogenici e fotografati del mondo, coi suoi alberi anneriti che si stagliano surrealmente sullo sfondo di fango bianco contornato di gigantesche dune rosse. Altre vlei non meno interessanti ma solo meno note richiedono passeggiate un po' più impegnative e comunque, nel momento di maggior caldo, è opportuno piazzarsi in una qualche area di sosta con un po' d'ombra ad attendere momenti più propizi, sia per temperatura che per qualità della luce. Il finale di giornata va doverosamente effettuato presso la Duna 45 che, alla pari delle dune circostanti, al calar del sole diventa di un rosso stupefacente che trasforma qualsiasi broccaccio in un fotografo da concorso.

 

Walvis Bay la si raggiunge dopo oltre 300 km di paesaggi desertici meno spettacolari di quelli visti in precedenza ma in buona parte asfaltati. Avvicinandoci abbiamo notato i primi quad coi quali i turisti si divertivano a solcare le dune. Nei pressi vi è una laguna con fenicotteri. Passata velocemente anche perché il vento proveniente dal mare stava sollevando una piccola tempesta di sabbia.

 

Tempesta di sabbia sulla strada per Walvis Bay - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

Tempesta di sabbia sulla strada per Walvis Bay - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Swakopmund è la “Rimini” della Namibia. Una cittadina vivace, meta di surfisti e quella con più turisti visti in giro la sera. Il mare è gelido (nei dintorni vi sono colonie di pinguini e otarie) e quindi non si balnea, ma soprattutto è gelido anche il vento che spira in città, proveniente dal mare. Proprio per questo abbiamo evitato di campeggiare, andando a cercare un albergo per la notte dopo aver fatto il pieno di freddo nella passeggiata nel piccolo centro cittadino. Nebbia ogni mattino fino alle 9:30, in seguito spazzata via dal vento che si solleva dal mare. Vi abbiamo fatto sosta soprattutto perché da qui partono gli scenic flight con dei bimotori sopra al deserto di Sossusvlei e la costa. Gli aerei hanno 6 posti, di cui uno occupato dal pilota, e di norma volano la mattina tardi o il pomeriggio, dopo che la nebbia s'è alzata.

 

Ovviamente è meglio volare con l'aero pieno, in modo da dividere il costo del volo: per questo siamo finiti su due aerei diversi e ho potuto provare l'insolita esperienza di salutare la mia compagna in volo dal finestrino. All'andata abbiamo sorvolato il deserto fino a giungere sopra alle vlei di Sossusvlei mentre al ritorno abbiamo fatto un giro più largo sorvolando per lunghi tratti la costa, cosa che ci ha permesso di vedere alcuni relitti di navi insabbiate sul tipo di quelli della Skeleton Coast e delle colonie di otarie. Bello, anche se siamo stati sull’orlo del vomito per tutta la durata del volo (2h e mezza).

 

continua...

 

Namibia in autonomia - I

 

ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi

Roberto CORNACCHIA

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