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Il Vietnam delle montagne - Parte III

Diario di un viaggio alla ricerca delle minoranze etniche del nord

 

...segue 

 

5 - Moccoli 

Il risveglio è assurdo: già m'è toccato andare a letto piuttosto tardi, ci si mette pure un altoparlante che alle 5 di mattina circa comincia a diffondere invereconde marcette di stampo comunista, manco ci fosse un collettivo richiamo alla reazione fisica di militaresca memoria. Per una buona mezz'ora tiro moccoli all'indirizzo di chi ha partorito questa genialata, evento che, per fortuna, si ripeterà solo un'altra volta nel corso del viaggio.

 

Partiamo in direzione Cao Son che sullo stradario appare col nome di La Pan Tan. Lungo il tragitto ci fermiamo in un piccolo mercato in località ignota frequentato soprattutto da H'mong Floreali, riconoscibili dall'abbigliamento a colori vivaci. Poi, dopo un bivio, si prende la direzione per Cao Son e si comincia ad arrampicarsi per il fianco delle montagne, visto che la destinazione finale è sui 1200 mslm. Lungo il tragitto incontriamo una lunga carovana, saranno una quindicina circa, di moto con pilota vietnamita e passeggero occidentale, composta da turisti francesi. In pratica viaggiano come il sottoscritto, solo in gruppone.

 

Poi ci si ferma tutti per via dei lavori stradali: una corda tirata alla meno peggio funge da labile sbarra mentre gli operai stanno gettando catrame sulla strada che lo schiacciasassi ha appena livellato. Solo che qualcuno, dal lato opposto, è passato lo stesso e quando arriva nei pressi della nostra fila, ovviamente abbassa la corda per passare. E' come un "liberi tutti": come la corda tocca terra partono tutti, ovviamente il mio pilota tra i primi e ci si ferma solo perché gli operai, inviperiti, fanno le barricate con le carriole un po' più avanti per impedirci di passare sulla parte catramata e non ancora ricoperta di ghiaia. Uno va a prendere la corda e la tende qui, davanti a dove ci siamo spostati tutti, che stavolta pare avere lo stesso effetto ipnotico del flauto per i cobra. Gli operai corrono per sistemare l'asfalto quel tanto che, passandogli noi sopra, non venga vanificato il lavoro dello schiacciasassi: in tre riempiono a badilate di ghiaia grossolana le carriole che altri due operai, correndo a gambe levate, rovesciano sulla parte catramata di fresco. Dopo una decina di minuti, sotto gli occhi impazienti dei piloti, finiscono e abbassano la corda, scatenando la foga repressa dei centauri.

 

Giungiamo a Cao Son che il mercato è al suo massimo: le strade sono talmente piene che sembra un problema anche solo passare con la moto (ma sono io che mi faccio dei problemi inesistenti, visto che poco dopo riuscirà a passarci un camion, anche se i bancarellari dovranno spostare le loro coperture per non farsi travolgere). Dico al pilota di prendersi una pausa mentre io mi faccio un bel giro per il mercato: turisti non se ne vedono, i locali (principalmente H'mong Floreali, ben pochi appartenenti ad altre etnie) sono coloratissimi e non fanno caso a me. Dopo un'oretta ci rechiamo al Cao Son Ecolodge, probabilmente il vero motivo per il quale Cao Son è diventata tappa notturna di questo itinerario, dove il proprietario ha costruito un bell'edificio tradizionale che funge da reception e ristorante mentre le stanze per i turisti sono in un edificio a fianco, in muratura. Qui i piloti hanno stanze dedicate quindi la stanza è tutta per me. Depositiamo i bagagli e poi torniamo al mercato, che dista pochi chilometri: c'è un fotografo, con una macchina bridge e stampantina portatile, che è circondato di gente mentre fotografa i clienti davanti ad uno sfondo di una cascata. Chiede 30.000 D, quasi un euro. Non mi dispiacerebbe fargli un po' di concorrenza (sarebbe bello, per una volta, essere pagato invece che essere io a pagare) ma mi manca la stampante...

 

Barbiere di strada, mercato di Lung Khau Ninh

Barbiere di strada, mercato di Lung Khau Ninh - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Rientriamo per il pranzo all'Ecolodge e più tardi visitiamo il villaggio vero e proprio, che pare già più abituato al turismo, visto che l'Ecolodge attira turisti anche meno spartani del sottoscritto: difatti giungono un'auto privata con una coppia di francesi e pullmini con piccoli gruppi di francesi (di gran lunga i turisti più numerosi incontrati durante il viaggio) e di asiatici. Per cercare un'atmosfera più intatta mi inerpico per un sentiero che giunge nel villaggio e dopo alcuni chilometri raggiungiamo un villaggio, sempre di H'mong Floreali, dove paiono decisamente meno abituati agli stranieri. Dapprima facciamo comunella con delle ragazze che lavano i panni alla fonte, poi entriamo nel villaggio e scorgiamo una grande casa insolitamente sovraffollata alla quale ci avviciniamo ben sapendo che non avrebbero resistito a tirarci dentro. Sono i preparativi di un matrimonio, che si terrà il giorno seguente, e in realtà la gente sta già facendo quello che farà anche l'indomani: mangia e beve vino di riso. Ovviamente, in quanto personaggio strano, sono invitato da tutti a bere, e poi tutti mi vogliono stringere la mano, dare una pacca sulla schiena, sapere da dove vengo, essere fotografati per poi vedersi nel display della macchina e sorridere compiaciuti. La casa, pur grandina, è decisamente spartana e la famiglia, anche a vedere come sono ridotti alcuni abitanti (una bimba albina, un ragazzo privo di un occhio), si percepisce vivere una povertà autentica. Li lasciamo con la promessa di tornare il giorno dopo, per la festa vera e propria. Rientrando incontro i bimbi che tornano da scuola (che dura fino al pomeriggio) e sfrutto la calda luce del tramonto, mentre il pilota è già corso sotto la doccia che in pratica segna la fine della sua giornata lavorativa, per alcuni scatti in solitaria mentro ciondolo nel villaggio vicino all'albergo.

 

Torno all'Ecolodge e, mentre mi sto preparando per fare la doccia, il pilota bussa alla porta e mi consegna i due libri che avevo chiesto. Uno è quello che avevo chiesto sulle montagne del Nord Ovest mentre quello sulle montagne del Nord Est, non avendolo trovato, è stato sostituito da un utile manuale che descrive tutte e 54 le minoranze etniche ufficialmente riconosciute in Viet Nam. Comincio a sfogliarli e mi rendo conto che sono decisamente ben fatti, infinitamente più dettagliati della Lonely Planet in mio possesso ma anche che, fino ad ora, fidandomi del pilota, avevamo mancato diverse cose lungo il tragitto, soprattutto alcune delle etnie più spettacolari che non avrei più avuto modo di incontrare in seguito. Avevo avuto un presagio giusto ma come fare visto che ormai avevamo preso tutt'altra direzione? Se non altro ora ho gli strumenti per non farmi sfuggire quello che le zone in cui passeremo nel prosieguo del viaggio offriranno. Con i cosidetti che un po' mi frullano, lavo qualche panno per cercare di approfittare del fatto che, dormendo due notti qui, magari fanno in tempo ad asciugarsi. Cena, poi mentre il pilota va al vicino villaggio a cercare di spillare qualche soldo ai villici a biliardo, io comincio a studiare i libri recapitatimi per prepararmi al meglio per i giorni a venire.

 

6 - Matrimonio H'mong

Oggi il mercato della zona si tiene a Lung Khau Ninh, un centro una 20ina di chilometri più a nord di Cao Son, in direzione di Muong Khuong. Andare ai mercati, specie nel giorno giusto, è cosa buona e giusta: si vedono un po' tutte le minoranze etniche della zona, magari anche quelle di cui non si sa esserci un villaggio nei pressi; c'è la possibilità di fotografare non dico di nascosto ma senza dover fare le particolari cerimonie che uno scatto singolo comporterebbe; soprattutto le donne e le ragazze, essendo il giorno di mercato anche la più importante occasione per socializzare e quindi per fare conoscenze, indossano gli abiti migliori, cosa tutt'altro che scontata quando sono a casa, magari affaccendate in lavori agricoli o faccende domestiche. Tra l'altro, l'essere "in tiro" rende i soggetti meno ritrosi: spesso, infatti, le donne non gradiscono essere fotografate semplicemente perché non si ritengono belle o curate. M'è capitato spesso di fotografare, mostrare il risultato sul display e sentire il soggetto dire "come sono brutta" e in fin dei conti è un atteggiamento più che comprensibile: è come se un fotografo chiedesse ad una donna europea di fotografarla mentre sta facendo i lavori di casa in tuta invece che il sabato sera in abbigliamento e trucco da discoteca.

 

Una sorridente Dao Tuyen

Una sorridente Dao Tuyen - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Il problema a sto punto diventa il far coincidere i giorni giusti con l'area che si sta visitando, visto che spesso i giorni di mercato si sovrappongono anche per località non molto distanti fra loro per chi si sposta in moto, mentre la stragrande maggioranza degli avventori si sposta a piedi e di solito bastano 20 chilometri per essere già nell'area di influenza di un diverso mercato. La maggior parte dei mercati più interessanti si tengono di sabato o di domenica, più raramente in giorni infrasettimanali, ma ci sono anche mercati che si tengono ogni 5 giorni o in determinati giorni del calendario lunare, rendendo il tutto tremendamente più complicato per chi cerca di far collimare date e luoghi. In realtà un po' di mercato c'è tutti i santi giorni, con alcune bancarelle fisse (di norma vietnamiti) e qualcuno che viene dalla campagna (più spesso minoranze etniche) a portare i prodotti dell'orto o del campo. Ma nel giorno giusto tutto cambia: gli "espositori" da poche decine diventano centinaia, i tavoli dove si mangia da deserti diventano affollati, gli spazi tra una bancarella e l'altra improvvisamente sono insufficienti e non è raro che ci si imbatta in ingorghi, magari davanti ad una donna che offre gli ultimi abiti ricamati di moda che le clienti vogliono toccare con mano, confrontare e discutere con le amiche assieme alle quali sono venute al mercato. Ovviamente i soggetti più interessanti sono le donne, visto che gli uomini, a parte gli H'mong Neri, hanno quasi tutti abbandonato i costumi tradizionali per i più comodi, e facili da trovare al mercato, abiti moderni.

 

Lung Khau Ninh ha un bel mercato e pare anche più variegato, in quanto ad etnie, di quello di Cao Son. Oltre alle onnipresenti H'mong Floreali, si vedono anche diverse Giay, Nung (a volte mi viene difficile distinguere tra le due etnie, essendo i costumi non troppo dissimili) e delle eleganti Dao Tuyen, coi loro abiti neri con pantaloni dello stesso colore (che le fanno apparire più slanciate delle H'mong Floreali le cui gonne larghe le fanno sembrare un po' delle bamboline cresciute) e lo strano copricapo di stoffa, metà rosso metà nero, che tengono stranamente poggiato in testa. Anche le H'mong Floreali offrono qualche variante interessante rispetto Cao Son, soprattutto in alcuni copricapi costituiti da lunghe strisce di stoffa avvolte più volte attorno alla fronte e poi tirate fino a farne un copricapo a forma di vaso. Rientriamo verso Cao Son anche perché c'è un matrimonio che ci aspetta. C'è più gente rispetto a ieri e le donne sono meglio vestite di ieri. Gli sposi però non ci sono, e nemmeno si vedranno: pare che entrambi vivano già altrove ma non è un motivo sufficiente per la sua famiglia per rinunciare ai festeggiamenti. Come sempre siamo ben accolti e diversi si ricordano della visita del giorno precedente e mi stringono la mano come fossimo amici di vecchia data. Approfitto per infilarmi nelle case, anche se, per quanto non sia nuovo a queste situazioni, non riesco a scattare a tutto spiano senza farmi lo scrupolo di cercare almeno un cenno di approvazione da parte dei soggetti. Spesso i soggetti più interessanti sono i più ritrosi, come capita anche oggi, e devo ricorrere al pilota per fare una "richiesta ufficiale" mentre gli uomini di norma sono meno problematici, benché decisamente meno spettacolari.

 

Rientriamo per il pranzo - abbiamo orari sempre un po' anticipati: sveglia tra le 6:00 e le 8:00 a seconda delle giornate, pranzo di norma verso le 12:00 ma anche prima, cena raramente dopo le 18:00 - e poi comincio a fare un po' di pressing al pilota che già si sta polleggiando ipotizzando nuove puntate nei bar locali. Mi informo presso il proprietario del lodge, dall'inconsueto inglese potabile, e vengo a sapere che a circa 4 chilometri c'è un villaggio dei Dao Tuyen (sui libri in mio possesso Cao Son non è nemmeno citato, a dimostrazione che qualsiasi guida, anche la più dettagliata, ha sempre dei vuoti da colmare). Il pilota cincischia un po' per allungare il riposino ma alla fine, di fronte al mio scalpitare, si vede costretto all'ennesima corvée che riesce solo a rimandare di pochi minuti chiedendo la concessione di una "paglia". La strada inizialmente è decente, benché non asfaltata, ma poi diventa più impegnativa e scende ripida con sassi in mezzo alla polvere. Chiediamo informazioni a tutti quelli che incontriamo, e tutti immancabilmente ci dicono di proseguire ma i chilometri sembrano decisamente di più, forse per via delle condizioni della strada. Quando arriviamo il villaggio è mezzo deserto, evidentemente molti sono nei campi nelle montagne nei dintorni: c'è una scuola dove, in un paio di classi, due insegnanti tengono stanche ripetizioni a pochi piccoli studenti; i bufali che cercano il fresco nelle poche risaie umide; una famiglia che visitiamo ci accoglie gentilmente ma le donne non hanno abiti tradizionali ma pantaloni e t-shirt come delle cittadine: solo il bimbo, seduto per terra, mi guarda stupito ma con l'immancabile cappello tradizionale, decorato con pon pon rossi. Più avanti troviamo una donna con l'abito tradizionale (che comunque differisce parecchio da quello delle Dao Tuyen viste in mattinata) e faccio chiedere il permesso di scattarle delle foto. Ma lei non vuole, nonostante insista, se non altro per dare un senso a quella visita fino ad allora infruttuosa dal punto di vista fotografico. Probabilmente, come descrivevo poco fa, non si sente sufficientemente curata e non vuole che di lei venga tramandata la sciatteria. Dopo altre ricerche infruttuose presso altre case, entriamo nell'ultima prima di tornare sul sentiero che ci porta indietro e la fortuna mi assiste. La signora che ci accoglie è vestita normalmente ma, su richiesta del pilota, tutta sorridente va nell'armadio a tirare fuori i vestiti buoni, ci chiede un attimo di tempo per indossarli e poi si lascia tranquillamente fotografare, addirittura mettendosi in pose a richiesta. Non so quale formula magica abbia pronunciato il pilota: la signora non ha chiesto soldi e pareva sinceramente orgogliosa di mostrare i suoi abiti più preziosi, con pantaloni neri riccamente decorati e giacca nera con fronte e maniche ricamate e decorate con lana rossa. Il copricapo è una stoffa rossa con strisce bianche e blu, arricchito da piccole nappe di perline bianche e nere e lana rossa. Mi stupisco sempre nel constatare come popoli che conducono uno stile di vita tutt'altro che facile abbiano costumi così belli e che basti cambiare villaggio per notare delle differenze stilistiche. Anche le nostre nonne contadine probabilmente conducevano uno stile di vita similare, ma non indossavano certo degli autentici gioielli tessili come questi (quasi sempre non solo i ricami ma tutto l'abito è interamente prodotto da chi lo indossa).

 

Il rientro è impegnativo, anche perché quei sassi nel terreno polveroso sono più problematici in salita che in discesa e, dopo un'accenno di impennata della moto, sono costretto a farmi un paio di tratti a piedi. Durante il rientro colgo spesso l'occasione per far riposare il pilota e il mezzo, facendo diverse pause per fotografare: ma non è una scusa, è che i paesaggi sono davvero fantastici. Poco prima di rientrare all'albergo, quando la strada è tornata fattibile, facciamo una sosta presso la scuola di un villaggio di H'mong Floreali, questa però decisamente più frequentata: ci sono dei bimbi ai quali la maestra sta insegnando una specie di recita e il mio avvento capita a fagiolo per mostrarmi una specie di prova generale, che doverosamente filmo e mostro alla giovane insegnante che pare compiaciuta. Torniamo all'albergo e mentre il pilota si va a fare la doccia che per lui significa "fine della giornata", io per lo stesso motivo la rimando: vado a gironzolare nel villaggio, alla ricerca di qualche scatto interessante nella bella luce del tardo pomeriggio e immancabilmente ci scappa qualche invito a tracannare l'immancabile doppio bicchierino, e non tutti riesco a schivarli nonostante che, più che sorridere e dire "camon" e "sinh chao" (grazie e arrivederci), non sappia fare.

 

continua...

 

Il Vietnam delle montagne - I

Il Vietnam delle montagne - II

 

ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi

Roberto CORNACCHIA

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