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Un mese in Birmania - VII

Diario di un lungo e approfondito viaggio in Myanmar

 

segue... 

 

25° giorno

Colazione approntata in camera, a disposizione scaldacqua elettrico con caffè o the, biscotti rimediati la sera precedente in negozio, poi raggiungiamo la piazza da dove partono i bus per le varie destinazioni, tutti tra le 6:30 e le 7:30. Non è facile capire quale sia l’autobus giusto, nessuna indicazione o scritta, i vari assistenti alla guida leggono velocemente il biglietto poi dopo circa 30’ di attesa uno ci dice che possiamo salire con destinazione Kyaikto, ma prima di lasciare Hpa-an devono fare una deviazione per il posto di polizia dove registrare i passaporti degli stranieri. Espletata questa formalità, andiamo diretti fino alla meta, lì scesi siamo assaliti da chiunque offra un passaggio per Kinpun, punto da dove salire alla Golden Rock. Ci sono camion collettivi e siamo scaricati in un villaggio sorto dal nulla, nel mezzo di una confusione oceanica. È il luogo sacro per eccellenza del Myanmar, fortunatamente siamo arrivati qualche giorno dopo la festa dell’indipendenza altrimenti non avremmo trovato da dormire nemmeno per terra all’aperto, invece prima di scendere un ragazzo salito al volo sul camion ci propone una struttura presente anche sulla LP e verificata la soluzione l’accettiamo al volo, dove lasciamo gli zaini e immediatamente cerchiamo di salire alla Golden Rock. La stazione di partenza dei camion si trova appena lasciata la via principale e unica di Kinpun sulla sinistra arrivando da Kyaikto, impossibile non vederla data la confusione, camion in partenza se ne trovano in continuazione, appena sul cassone si stivano 42 persone (7 file di cui l’ultima praticamente nella gabbia esterna con 6 persone strettissime su ognuna) si sale e si arriva fino al punto più alto, a differenza di quanto accadeva fino a nemmeno 15 mesi prima. La salita è dura in camion, chi vuole e ha tempo può farla a piedi, per il giro completo necessitano circa 10 ore ma si può scegliere di scendere in camion una volta arrivati senza nessuna prenotazione, qui si sale e scende sui cassoni a ciclo continuo. Una volta in vetta però il tanto proclamato misticismo e la sacralità del luogo non trovano riscontro: sporcizia, commercio di qualsiasi cosa ovunque, confusione, insomma una delusione. La roccia fa sì impressione ma pare un’attrazione da parco giochi e poco più, meglio, molto meglio immergersi nel villaggio blu sottostante dove la sporcizia non scompare ma le caratteristiche del mercato lasciano basiti, viste le teste di capra immerse nel sangue in vendita o altre chicche similari. Da qui si può osservare la roccia in lontananza, ma un’unica visione la pone dorata nel mezzo della verde foresta, del blu del villaggio e dell’azzurro del cielo, insomma, non male. La discesa in camion ha le medesime caratteristiche dell’andata, solo che vista l’allegra velocità è ben più faticosa e si sbatte avanti e indietro che è un piacere. La parte restante del pomeriggio la prendiamo di relax, il villaggio mostra ben poco, negozi che vendono tutti i medesimi prodotti, con priorità assoluta alla frutta glassata, non provata quindi non ho commenti da aggiungere alla specialità principe di Kinpun. Cena presso un ristorante consigliatoci dal proprietario del nostro hotel che ci informa come a Bago, prossima meta, suo fratello possieda un hotel dove fermarci, ci penserà lui a recuperarci alla fermata del bus e organizzare le escursioni che intenderemo fare. Serata nella veranda all’aperto dell’hotel, non fosse per le zanzare, sarebbe tutto perfetto.

 

Tramonto nel Moeyungyi Wetland

 

26° giorno

Colazione in veranda poi il proprietario ci accompagna al nostro bus, nella calca totale del luogo non sarebbe stato semplice trovarlo in autonomia, e partiamo destinazione Bago, senza dover cambiare a Kyaikto. A Bago non c’è una vera e propria autostazione, ci scaricano all’ingresso della città dove il fratello del proprietario dell’hotel di Kinpun ci carica sugli scooter suoi e degli amici lì giunti a supporto per portarci al suo dove trattiamo per le escursioni della zona. La nostra priorità è per le Moeyungyi Wetland, le paludi sorte in seguito alla costruzione di una diga ma a oltre 100 km da qui che quindi non deturpa il panorama. Andarci non è facile, niente di già organizzato, o si affittano scooter o visto il nostro numero quasi meglio un’auto con autista che dopo lunga trattativa strappiamo a 70.000k. Capiamo subito come il luogo non venga quasi mai visitato, contrattiamo da subito anche il costo dell’escursione in lancia, partiamo però nel pomeriggio perché lo spettacolo migliore le paludi lo regalano al tramonto. Nel frattempo ne approfittiamo per una veloce visita a Bago presso il mercato, molto caratteristico, e al lago artificiale, molto meno interessante, scorgendo le pagode più vicine all’hotel. Facciamo così diventare il tempo giusto per l’escursione, impieghiamo un’ora per arrivare al luogo, che si trova svoltando a destra dalla statale per Kyaikto, indicato da un cartello coi caratteri traslitterati. Una lunga passerella porta alla palafitta centrale da dove salpano le lance, e da dove si potrebbe accedere a belle houseboat che paiono chiuse da tempi biblici. Gli addetti alle lance tentano di proporci un prezzo molto più alto di quello trattato in precedenza, ce ne infischiamo e non accettiamo trattative, dopo un’attesa di 30’ chiamano il personaggio dell’hotel per far da traduttore tra noi e loro, ribadiamo la nostra convinzione e l’abbiamo vinta, attendiamo ancora per avvicinarci al tramonto e quindi partiamo per l’esplorazione di questo grande specchio d’acqua che si rivela disabitato. Abbattuti da questo viaggio che ci pare inutile, rientrando dal versante ovest e inoltrandoci tra i canneti la situazione cambia, sicuramente non avvistiamo le 125 specie ornitologhe differenti che vengono denunciate, ma è tutto un battito d’ali di questi volatili in fuga che si godevano il sole nella quiete assoluta. Incontriamo anche alcuni pescatori che sgranano gli occhi al nostro passaggio, evidentemente qui non vedono mai nessuno, poi mentre il tramonto inizia a colorare il cielo e l’acqua il primo si riempie di stormi di uccelli di ogni tipo, scene che rimandano a visioni hitckockiane e finalmente lo spettacolo naturale promesso prende forma. Ovvio che ora non si voglia più lasciare il luogo, è già buio pesto quando nel mezzo del nulla ripartiamo in auto verso Bago. Affrontiamo il viaggio di ritorno nel mezzo di un traffico incredibile, camion che viaggiano lentissimi portano ad azzardati sorpassi anche perché nonostante si viaggi a destra come in Italia, le auto sono attrezzate per la guida a sinistra come in India o Thailandia, per cui chi di noi si sacrifica a fare il navigatore deve dare il via all’autista per ogni sorpasso, e guai dimenticarsi anche una sola volta di parlare! Ceniamo al ristorante consigliato da vari avventori locali ma senza nessuna peculiarità, se non la vicinanza all’hotel. Terminiamo la giornata dal terrazzo dell’hotel dove si gode una splendida vista notturna sulla città, dominata dalla Shwemawdaw Paya, la più alta di tutto il Myamar, che regala possibilità di splendide foto.

 

Il pranzo dei monaci al Kha Khat Wain Kyaung

 

27° giorno

Colazione proprio di fronte all’hotel, poi dividiamo le visite nella mattinata, si può fare un veloce giro delle pagode accompagnati in scooter o visitare i dintorni del mercato con scene di vita rurale apprezzabili, io scelgo questa seconda via che comunque porta a un ritrovo fisso alle 11 presso il Kha Khat Wain Kyaung, il grande monastero che ospita oltre 400 monaci. A quell’ora i monaci pranzano, è possibile assistervi, sia alla preparazione del gigantesco pranzo (in questo momento non sono presenti visitatori), sia alla fila per entrare in mensa (e qui la gente aumenta con presenza cinese di pessimo gusto, fregandosene dei monaci passano da una parte all’altra della fila pur di riprendere e fotografare qualsiasi cosa, compresi loro stessi che pescano il riso da giganteschi paioli), sia nel momento vero e proprio del pranzo (e qui pian piano la gente se ne va). Spettacolo confezionato, può essere, ma se lo si vive dai preparativi nemmeno troppo, certo meno autentico delle scene incrociate lungo il fiume dove s’incontra la vera anima rurale della popolazione, e nei dintorni del mercato dove si vende di tutto, con odori fortissimi, su tutti il pesce essiccato. Rientrati in hotel abbiamo giusto il tempo per ritirare gli zaini ed essere caricati su di un pick-up che ci accompagna alla partenza di un local bus per Yangon, biglietto comprato il giorno precedente in hotel, ma per il local bus non c’è problema di posto, se son terminati quelli sulle panche se ne inventano di ogni tipo. Questo tipo di bus non fa tappa alla stazione di Aung Mingalar, ci scarica lungo la strada all’entrata est della città, fortuna che i taxi non mancano così in 45’ siamo in centro. Oggi trovare posto è però impresa titanica, tentiamo la sorte in almeno 12 hotel e guest house ma siam sempre rimpallati, fortunatamente nei dintorni della Sule Paya una coppia di anziane venditrici di verdura lungo la strada ci forniscono un depliant di una nuova struttura che si trova vicino allo Yangon River nella zona adiacente ai dock. Percorso tutto il centro da est a ovest, troviamo finalmente accoglienza in un piccolo rifugio appena sorto e quindi poco noto che però nel giro di breve si riempie, al quale si accede salendo al secondo piano di un condominio che non ispira grande fiducia, ma la costanza e lo spirito avventuriero viene ampiamente premiato. Impariamo che la città è completamente piena di stranieri causa convegno mondiale di Testimoni di Geova, cosa che corrisponde al vero perché durante le visite future ne scorgeremo un numero incredibile ben identificabili dal pass sempre esibito in qualsiasi luogo. Abbiamo tempo per visitare la zona di Chinatown dove si trovano alcuni templi cinesi che dopo tante pagode dorate son quasi apprezzabili nella loro diversità, unita al fatto di poterli visitare senza doversi togliere le calzature, per poi girarci lambendo il tramonto, la parte indiana, entrambi veri e propri mercati all’aperto, dove anche le vie principali strappano corsie al traffico per impiantare tavoli e cucine, i bus lambiscono gli avventori ma tutto pare tranquillo e normale. Questa parte di Yangon conserva ancora una grande fascino, ben più che la parte monumentale, oltre a una vita incredibile. Al solito però le attività terminano prima delle 20 e tutto si spegne e chiude, così rimediamo un ristorante cinese di lusso, di buona qualità ma che esige persino il coperto, roba inaudita da queste parti. Al rientro la città pare in letargo, così attraversare le vie che nel pomeriggio avevano costituito un problema di difficile soluzione diventa elementare.

 

Cibo di strada a Yangon

 

28° giorno

Non c’è spazio in guest house per colazione e allora se lo inventano sul ballatoio delle scale, idea originale così da interagire con gli abitanti che escono per recarsi al lavoro, colazione a base di frutta e brioche confezionate, un sogno dopo la montagna di uova. Ultimo giorno di Myanmar dedicato interamente a Yangon e precisamente ai suoi mercati che al passaggio precedente non avevamo degnato di attenzione. Per recarci al celebre Bogyoke Aung San Market percorriamo la Konzaydan Street che corre tra la 27th e la 26th  in modo da poter vedere i templi hindu Sri Siva e Sri Kali, qualcosa di totalmente differente dall’idea di luogo di culto birmano, entrambi mostrano un gopuram incredibilmente decorato di stucchi di ogni genere, ma soprattutto colori a non finire, alterazione visiva evidente nel contesto in cui si collocano. Il grande mercato che prende il nome dal paladino dell’indipendenza si sveglia tardi ed è composto di più strutture comunicanti, la palazzina a due piani sul fronte strada si apre a un grande capannone centrale attorniato da altre strutture irregolari, vi si trova di tutto, manufatti artigiani di notevole pregio, vestiti, pietre preziose a non finire, souvenir a prezzi irrisori, rivedo gli ombrelli costruiti sulle palafitte del lago Inle, insomma un paradiso delle compere a prezzi nemmeno immaginabili per chi provenga da un altro continente. Ovunque si tratta sul prezzo, non ho provato però con le pietre preziose, non sono interessato all’argomento e avendo già tante altre cose da contrattare ho saltato il test. Nei pochi spazi all’aperto vengono improvvisati bar dove assaggiare succhi dei più svariati frutti, ma nella zona a ovest sorgono piccoli ristoranti e un padiglione dedicato alla ristorazione dove le intraprendenti cuoche assalgono qualsiasi avventore proponendo di tutto e di più, spesso anche quello che non hanno e che poi devono comprare dalla concorrenza quando non invitare l’ospite ad andarselo a prendere. Lasciamo questo mercato invaso da Testimoni di Geova, così tocchiamo con mano che quanto ci era stato detto il giorno prima sulla loro presenza a riempimento della città fosse vero, ci rechiamo al Theingyi Zei imbattendoci prima nel Open-air Market, vero e proprio paradiso dei medicinali. Qui non serve nessuna ricetta per procurarsi qualsiasi prodotto, chi fosse interessato ora sa dove rivolgersi. Il Theingyi Zei Market è diversissimo dal precedente, esisteva già una differenza di base, ma la presenza turistica l’ha ampliata enormemente. Quest’ultimo è ora il centro assoluto delle stoffe, tra percorsi strettissimi su bancarelle impilate fino a 5 metri di altezza  dove ogni tessuto può essere reperito, non c’è specie di longy che qui non si possa recuperare, ma essenzialmente rimane un mercato per la gente del luogo, mentre al piano superiore internamente fa segnare il passo invece sulle terrazze che lo circondano si stanno attrezzando ristoranti sempre più alla moda. Terminiamo la visita dei mercati visitandone uno attiguo dedicato a frutta e verdura, più per gustarci una visione coloratissima che per comprare qualcosa, dopo una giornata del genere per noi ben anomala rientriamo in hotel in anticipo per gustarci un caffè sul ballatoio delle scale dove incontriamo una coppia di Torino con cui ci scambiamo impressioni di viaggio, loro hanno appena comprato un biglietto aereo per il sud destinazione Dawei, porta d’accesso all’arcipelago sul mar delle Andamane aperto da pochissimo tempo agli stranieri. Ovviamente la cosa ci attrae ma il nostro visto è al termine, dobbiamo ripartire, ma l’info è buona per una possibile prossima volta, il Myanmar non è visitabile in un sol colpo, soprattutto ora che aprendosi si possono toccare le aree a nord oltre che la lunga penisola a sud e magari a breve oltre alla zona più celebre per il bel mare di Ngapali beach anche Mrauk U ed i non lontani villaggi dello Chin State, al momento assolutamente vietati perché terreno di guerra. Cena indiana ottima ed abbondante, praticamente rabbocco libero, per gli amanti della birra o alcolici in genere brutte notizie, qui non la servono come quasi tutti i ristoranti del quartiere.

 

conitnua...

 

Un mese in Birmania - I

Un mese in Birmania - II

Un mese in Birmania - III

Un mese in Birmania - IV

Un mese in Birmania - V

Un mese in Birmania - VI

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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