informazioni di contatto:

scrivi un messaggio:

Un mese in Birmania - VI

Diario di un lungo e approfondito viaggio in Myanmar

 

segue... 

 

21° giorno 

Dopo una lenta colazione (si torna subito alle uova), attraversata la confusione totale del mercato mattutino (incomincia al buio verso le 5, alle 9 il più è già andato) trattiamo una motocarrozzetta per andare alla scoperta della Nwa-La-Bo, la Pagoda della Triplice Roccia Dorata. In realtà il conducente, bleffando, ci porta fino al punto di partenza dell’ascesa a Kyonka, solo i camion autorizzati possono salire quando c’è gente, cosa che non avviene in questa giornata. Attendiamo oltre un’ora, non compare nessuno e quindi non arrivano camion, decidiamo così di salire a piedi, non proprio consci di quanto ci attenda. Sotto il sole peggiore della giornata saliamo i 750 metri di dislivello che sono composti di un’erta iniziale, seguita da un falsopiano da dove scorgere la pagoda, una leggera discesa e un muro finale in faccia al sole che taglia le gambe anche a gente allenata. In circa 2 ore si giunge alla vetta e qui le maledizioni lanciate per aver voluto salire senza attendere un passaggio (portarsi acqua e protezioni solari, lungo il percorso non c’è assolutamente nulla) volano via all’istante. La pagoda fa da base a soli tre monaci rimasti, nel punto più esposto fa bella mostra di se il complesso delle 3 rocce dorate appoggiate le une sulle altre, qualcosa d’irreale, ben oltre quanto potrà mostrare la celebre roccia d’oro di Mt. Kyaiktiyo, in una pace assoluta con la vista che spazia oltre le montagne fino al mare. Durante la nostra permanenza non arriva nessuno, riusciamo a scambiare qualche parola con un monaco a conoscenza di piccole dosi d’inglese, contentissimo di fermarsi a illustrare il suo percorso spirituale e materiale in questo piccolo angolo di paradiso. Già, perché quassù non viene nessuno a sistemare la pagoda e il minuto monastero che fa da rifugio, non è luogo di pellegrinaggio celebre, anche se la recente apertura della zona è probabile che cambi velocemente le abitudini, e quindi oltre che leggere i libri sacri c’è da sporcarsi le mani e faticare. Nel piccolo parcheggio scambiatore dei camion c’è una specie di ristorante che offre qualche bibita fresca, l’acqua dalla brocca è offerta come il solito the verde, mentre tentiamo di interloquire con la gente di qui arriva un camion con alcuni turisti locali, abbiamo trovato modo di scendere velocemente così rientriamo in città spaparanzati sul retro della motocarrozzetta che ci ha atteso a lungo in tempo per salire alla Kyaikthanian Paya da dove scorgere il tramonto migliore della città. Non è la preferita e decantata da Rudyard Kipling, quella si trova più a nord, ma sorge nel luogo più mirabile della città, raggiungibile salendo un’imponente scalinata che taglia il Seindon Mibaia Kyaung, maggiore centro religioso della regione. Il tramonto non è paragonabile a quello di Bagan ma mette pace e ci fa decidere di raggiungere l’indomani l’isola di fronte, prima però dobbiamo capire come andarci e come girarla, ci rimettiamo in contatto con una guida incontrata alla mattina, un personaggio con sulla pelle i segni della dura storia sociale del Myanmar, da poco attivo con un’agenzia turistica, se vogliamo essere molto generosi nel definirla. In pratica sta prendendo contatti per portare in visita i pochi stranieri qui di passaggio, ci penserà lui a recuperarci degli scooter per girare l’isola (dove non ci sono mezzi pubblici per spostarci), provvederà a prendere contatto con una lancia per traghettarci e proverà a trovarci una mappa dell’isola, ma il meglio Marvellous Tours lo da raccontandoci le sue storie personali di antagonista politico della giunta militare, delle sue quattro incarcerazioni a causa di queste resistenze, dell’attesa per le elezioni del 2015 dove anche se contro il parere dei familiari e dei medici si candiderà per la NLD (il partito di Aung San Suu Kyi), ci illustra i durissimi anni di prigione, le botte, le malattie e quant'altro, felicissimo di poter raccontare le sue vicissitudini a stranieri senza più nulla temere, o almeno così pare accada in questo inizio di 2014. Per cena cucina indiana nei paraggi delle tante moschee di Mawlamyine, il Sultano è veramente unico, mussulmano dalla barba gialla, non vende alcolici ma non ha problemi se gli avventori si portano la propria birra (informa lui dove procurarsela), ci rimpinza di ogni specialità, scelta la pietanza base fa lui da guida, in un vero e proprio one-man-show che dura da parecchi anni e che gli auguriamo duri a lungo. Non si può non passare da qui, consigliatissimo su tutte le guide di viaggio, va trovato seguendo le indicazioni perché non ha insegne, si mangia nel poco spazio all’interno oppure sulla strada, facciamo fatica a finire tutto quello che ci porta perché la moltitudine di spezie si fa sentire, per fortuna i vari tipi di pane spengono il fuoco. Fatica a collocare l’Italia nel mondo, ma è felicissimo di sapere che da quel lontano paese abbiamo fatto tappa da lui e chissà, magari ci vediamo anche domani, maybe continua a ripetere come saluto mantrico.

 

Coltivazione del riso nei dintorni della Saddar Cave

 

22° giorno

Al risveglio la nebbia è padrona della baia, ma tempo di colazione in hotel e il sole si riprende la scena, raggiungiamo la minimale sede di Marvellous Tours (un garage con un tavolo e 3 sgabelli alti 15cm, nulla in più) dove inforchiamo gli scooter recuperati da amici e vicini e veniamo accompagnati a un imbarco a sud della città, quello dei locali verso Bilu Kyun, la grande isola di fronte (sull’isola ufficialmente gli stranieri non possono soggiornare), che tradotto significa isola dell’orso, più per la forma che rappresenta che per l’ipotetica presenza di quest’animale di casa in ben altre latitudini. All’imbarco si trova una grande mappa dell’isola con riferimenti solo in lingua indigena che siamo invitati a fotografare, sarà l’unica ancora di salvezza per avere indicazioni da chiedere agli abitanti del posto. Sbarcati ci troviamo in un mondo a parte, terra e acqua, niente strade asfaltate e indicazioni, lungo il sentiero troviamo più incroci, fortunatamente ad uno c’è una persona che ci da qualche indicazione per un giro completo e così prendiamo verso nord per arrivare a un villaggio dove veniamo visti come un orso nel deserto. Siamo l’attrazione del mese, nessuno si esime dal darci info su dove andare e come, iniziamo quindi il periplo dell’isola montuosa che non permette mai di raggiungere il mare anche perché la sua peculiarità è data dai numerosi villaggi tradizionali, se sulle prime paiono quasi tutti uguali pian piano ci si accorge che ognuno ha caratteristiche distinte, raggiungiamo più monasteri, alcuni in perfette condizioni altre quasi macerie, dopo innumerevoli escursioni di andata e ritorno su sentieri improbabili a metà giornata facciamo tappa in corrispondenza di un lago nel mezzo dell’isola dove si trova anche un piccolo ristorante, serve quel che il cuoco preferisce ma la qualità dei noodles è eccellente come i frullati. La temperatura è piuttosto elevata così ripartiamo per cercare un po’ di refrigerio sugli scooter scoprendo la zona a sud, estesa e più abitata, con insediamenti pure in mattoni, raggiungiamo la punta meridionale da dove in lontananza avvistiamo il mare ma senza poterlo raggiungere, un’antica pagoda fa da punto di svolta verso campi coltivati percorribili lungo strettissimi sentieri che però portano a un blocco in corrispondenza di lavori di sbancamento della montagna. Qui tra gli altri troviamo un ingegnere che parla inglese e ci spiega come muoverci, peccato che i tanti, troppi sentieri siano identici gli uni con gli altri, dobbiamo ritornare al villaggio e prendere la via principale, questa asfaltata che corre veloce verso l’attracco delle imbarcazioni più grandi per la terraferma. La strada è trafficatissima, di fatto il collegamento principale dell’isola, tutto attorno campi coltivati coi bufali a faticare, ma l’imbarco non è quello per noi, nonostante lo spettacolo di genti e bagagli sia piuttosto interessante. Riprendiamo la via cercando una deviazione per il nostro attracco, solo che i sentieri sono numerosi e tutti uguali, arriviamo al nostro quando il giorno volge al desio, spettacolo fantastico sulle lagune che lambiscono la costa con colori regalati dal sole basso che vi si specchia, va detto visto per puro caso ma consigliato assolutamente. Ripetiamo le procedure di carico e scarico scooter tutte manuali, i quali occupano le lance per intero lasciando a noi solo piccoli strapuntini che rendono più affascinante l’attraversata col sole che finisce per nascondersi nell’acqua. Il lungo fiume/mare nella parte a sud si riempie di bancarelle per una specie di mercato serale dove poter mangiare spuntini locali, ma noi dobbiamo consegnare gli scooter, immaginiamo che vista l’ora da Marvellous saranno già preoccupati, non tanto per la possibilità di furto (per il noleggio non si lascia nulla, si paga e si è liberi di andare) ma per via di qualche possibile incidente lungo i sentieri pieni di buche e solchi dell’isola che in notturna non sono certo un bel viaggiare. Raccontiamo la nostra bella esperienza sull’isola, il proprietario è molto interessato in quanto siamo i primi e vorrà utilizzare i nostri commenti per incentivare e personalizzare la sua attività, ovviamente altri scambi di opinioni sulla situazione politica del Myanmar sono dovute e i tempi si protraggono. Il lungo percorso da qui all’hotel (prevedere 25’ a piedi) ci permette di essere pronti per cena tardi per i costumi locali e con l’ennesimo black-out, così scelta obbligata il ristorante dell’hotel che non è affatto male ma cambiare per provare situazione differenti non sarebbe stato male. 

 

Mezzi di trasporto fluviale a Hpa-an

  

23° giorno

Colazione in hotel poi con motocarrozzetta raggiungiamo l’imbarco delle lance per Hpa-an che ora si trova a nord-est del grande ponte. Il servizio pubblico non esiste più e occorre affittare una lancia, presso l’hotel Breeze gestiscono il tutto e nel costo della lancia è compreso anche il pick-up dall’hotel all’attracco. Con oltre 30’ di ritardo iniziamo a risalire il fiume Thalwin, la temperatura è mite e il sole inizia presto a far la voce grossa, fortuna che un esile tetto evita il contatto diretto che si protrarrebbe per quasi 5 ore. La prima parte del tragitto si svolge nel mezzo di una forte corrente, tra isolotti e rive non così coperte di gente al lavoro perché oggi è la festa dell’indipendenza (4 gennaio 1948, dalla Gran Bretagna), facciamo tappa in un villaggio che il nostro barcaiolo conosce bene, Htone-An, dove spezziamo il cammino con un ristoro a base di prodotti locali e coffee mix gentilmente offerti proprio da lui. Nel villaggio, a fianco di una pagoda in ristrutturazione, sorge proprio sul fiume una strana costruzione a forma di locomotiva dove il camino del vapore è rappresentato dalla Golden Rock di Mt. Kyaiktiyo, nel complesso una bella visione, ma l’intero villaggio merita un passaggio. Riprendiamo la navigazione entrando nello stato Kayin e pian piano lo scenario diventa molto più interessante, le classiche montagne che fan tanto sudest asiatico iniziano la loro comparsa e lo spettacolo diventa sontuoso. Hpa-an, ancora poco battuta sorge qui nel mezzo, sbarchiamo a sud della cittadina e con un pick-up raggiungiamo il centro dove troviamo la guest house che fa da fulcro per ogni attività nei paraggi. Al primo piano di una palazzina nei paraggi del mercato, è un intricato dedalo di scatole cinesi e scale, fortunatamente troviamo posto e siamo subito coinvolti dal personale per escursioni nella zona in base a quanti giorni avremo a disposizione. Ci “mandano” immediatamente a visitare il Monte Hpar-Pu, dall’altro versante del fiume, escursione che non va organizzata ma gestibile in proprio, basta attraversare il Thalwin e avere la voglia e la forza di intraprendere l’ascensione sotto il sole cocente su questa roccia che pare un grande triangolo sormontato da un cubo che fa da terrazza su tutta la piana. Purtroppo causa frana il cubo in vetta non è scalabile, poco male perché appena sotto sorge una specie di piccolo spiazzo dove ammirare un panorama da brivido. Il largo fiume riempie di anse e paludi la grande valle, montagne calcaree che paiono pareti verticali coperte di vegetazione fanno da sfondo alla scena, vita rurale in ogni dove, pare un susseguirsi di diapositive promosse dall’ufficio turistico dello stato invece è tutto vero. Quando il sole inizia a calare, scendiamo per goderci il tramonto vero e proprio attraversando il fiume sull’esilissima lancia di un Caronte improvvisato e finiamo la visita alla pagoda antistante, la Shweynhmyaw, che di sera pare meno finta rispetto al giorno. Come per le altre cittadine del Myanmar, ma qui anche di più, quando il sole cala la vita scompare, trovare un ristorante non è così facile, nei paraggi della guest house ce n'è uno che serve anche la variante malese di alcuni piatti, più speziata e piccante, così da variare i sapori di una cucina che orami c’è familiare. Fondamentale la cartina disegnata che forniscono per trovare ogni luogo d’interesse in città, da dove far colazione a dove partono i bus per nord o sud, la guest house è frequentata anche dagli altri stranieri del luogo, qui definiamo le visite del giorno a seguire e compriamo i biglietti del bus per rientrare verso Yangon, con possibilità di comprare anche il parziale, cosa che direttamente sul bus agli stranieri non è concessa, viene venduto il biglietto intero fino a Yangon anche se si scende prima.

 

Un abitante dell'Isola di Bilu Kyun

 

24° giorno

La mappa della guest house segnala un “good place for breakfast” che, promessa mantenuta, poi con un pick-up organizzato sempre dalla guest house si parte per una giornata di visita nella zona, da poco aperta agli stranieri indipendenti e di cui si dicono meraviglie. Il pick-up ospita fino a 8 persone e il conducente/guida è disponibile ad adattarsi ai gusti dei trasportati. Alla partenza la temperatura ci porta a indossare una felpa, ma durante il giorno sarà ben diverso, attraversiamo il grande e nuovo ponte sul Thalwin (della spesa se ne occupa il conducente al volo) per raggiungere alcune grotte, iniziando dalla Yathay Pyan Cave, che si raggiunge salendo alcune scale nel mezzo di una montagna a strapiombo su di un placido laghetto. Grandi statue del Buddha e qualche pipistrello riempiono l’ampio spazio, nel fondo sul lato destro ci si può avventurare in stretti corridoi non illuminati che portano a piccole grotte dove candele illuminano con fascino decorazioni e ninnoli dorati di ogni genere. Da qui prendiamo per la più celebre e venerata Kawgun Cave, più che una grotta è un sentiero tra rocce, decorato con migliaia e migliaia di piccolissime statuette del Buddha direttamente nelle pareti rosse, per gli avventori locali il luogo è sacro ma l’impressione è di trovarsi nel mezzo di uno spettacolo finto. Riattraversiamo il fiume e facciamo tappa al monastero di Kyauk Kalap, costruito su di uno strettissimo sperone di roccia, già questa situazione ne farebbe una visione particolare, ma la realizzazione di dighe nella zona ha trasformato la piana in un grande acquitrino, così questo gigantesco dito di roccia si trova nel mezzo di un lago e la visione è stupefacente, artificiale sì ma affascinante. Per fortuna un enorme hotel proprio di fronte è solo abbozzato, ma nonostante questo i visitatori sono molti, l’accesso lungo un pontile pare l’ingresso a un match clou sportivo, la parte mistica deve segnare il passo mentre la vista tra le montagne a picco e le valli verdissime rimane intatta. La montagna simbolo del luogo è il Monte Zwegabin, ascesa e discesa richiedono l’intera giornata, così visitiamo solamente il giardino ai suoi piedi colmo di statue del Buddha di grandi dimensioni raccolte su chioschi, sono centinaia e centinaia, più impressionanti per spazio e numero che per qualità. Sosta alla waterfall, in realtà pozze d’acqua collegate dove dalle superiori piccole cascatelle danno il nome al luogo, tutto attorno ristoranti all’ombra per riposarsi mentre i più avventurosi affrontano bagni in un’acqua melmosa ma sacra, i più completamente vestiti regalando agli abiti un viaggio nel tempo del sottosuolo birmano. La pausa ci rende edotti sulla situazione attuale del Bangladesh (luogo conosciuto ai più per avere un’attrazione assoluta per disastri naturali, epidemie, insomma problematiche di ogni dove e per assurdo un grande richiamo per i viaggiatori indipendenti), sul pick-up viaggiano due neolaureate danesi reduci da 6 mesi di dottorato sulla movimentazione delle acque e ce ne disegnano una visione allarmante e quasi senza speranza, cosa che in seguito leggendo sui media (dove alcune rare notizie trapelano) viene confermata, per loro la situazione quotidiana del Myanmar pare un sogno rispetto ai 6 mesi precedenti. La prossima tappa è a Saddar Cave, il meglio della giornata ma probabilmente il meglio vissuto in questo viaggio. Dopo aver attraversato campi e villaggi ci avviciniamo a una montagna nel mezzo delle piantagioni di riso, l’accesso alla grotta avviene su di una scala presieduta da due grandi elefanti di roccia, la prima parte della grotta non è tanto differente dalle altre, le solite statue del Buddha onnipresenti, pipistrelli e poco altro, ma la guida ci conduce in un passaggio sulla sinistra della grotta principale e da lì parte un sentiero nel buio (portarsi le torce, nessuno le vende/affitta all’ingresso) che tra passaggi minimi, aperture nel cielo, stalagmiti, formazioni rocciose di ogni tipo ci permette di attraversare la montagna per uscire dal lato nascosto. Giochi di luce favolosi, immagini rocciose che con le ombre della luce prendono vita tra pipistrelli a migliaia che stridendo all’impazzata riempiono di frastuono la grotta, al termine una discesa che porta a un laghetto e qualche capanna nel mezzo del nulla. C’è chi in estasi totale urla di essere a Jurassic Park, che sia virtuale o meno una piccola comunità abita questo remoto angolo di mondo e intermezza l’attività bucolica al risicato trasporto dei pochi viaggiatori che vi giungono. Il piccolo stagno pare incastonato tra le montagne e le risaie che si spingono ovunque, una volta saliti puntiamo una delle montagne e avvicinandoci ci accorgiamo che un passaggio, strettissimo tra acqua e roccia s’intravede, proprio in quel risicato spazio s’inoltra il barcaiolo (nel mio caso un bambino che avrà meno di 10 anni ma che pare padrone assoluto della situazione) remando al buio assoluto, perché per intravvedere le prime luci accorre oltrepassare una svolta della caverna, da lì l’attesa per la meta diventa fortissima e l’apparire di un nuovo laghetto attorniato da montagne è l’ennesima meraviglia, come l’attraversamento delle risaie che sono lavorate per impiantare le piccole pianticelle di riso, un massacrante lavoro manuale su spazi infiniti. Navigando tra queste risaie tornano alla memoria i vari film sul Vietnam, quasi che un dissidente della giunta militare ancora immerso nelle sue paure o scontri personali possa da un momento all’altra riemergere alla civiltà ed allo scontro. Tutto ciò non avviene, dopo un lungo attraversamento attracchiamo alla montagna e da lì ne percorriamo il periplo tra pochi lavoratori che seminano ed impiantano il riso. Il verde è assoluto, quasi impressionante, lasciare questo luogo è dura ma abbiamo altre visioni possibili in giornata e così partiamo con gli occhi ed il cuore che rimangono in questo luogo. Prima del tramonto abbiamo tempo per ulteriori visite nei dintorni del villaggio di Lakana, la prima alla grotta di Kawtka Theung dove una fila interminabile di statue di monaci porta a un villaggio costruito su case flottanti, spazio riservato ai giovani del luogo per far festa. Nei paraggi, in condizioni di lavoro estreme, vengono spaccate manualmente enormi rocce per procurare materiale da utilizzare alla costruzione di strade, le baracche dei lavoratori in pessimo stato sorgono al bordo di un idilliaco lago attorniato dalle montagne. Il celebre ponte di Lakana, a filo d’acqua sul verde del lago pare venir inghiottito dalla natura, può essere percorso solo da piccoli mezzi a motore ma non da auto, la visione ci accoglie col sole già nascosto dalle montagne, occorre rientrare a Hpa-an e sul pick-up la felpa è d’obbligo dopo il caldo del giorno. Troviamo una sola attività dove potersi collegare a internet in modo non da bradipo, nelle vicinanze del luogo da colazione dove decidiamo di cenare, menù abbondate ma non vendono birra, non facile da recuperare alla sera in quest’angolo di città.

 

continua...

 

Un mese in Birmania - I

Un mese in Birmania - II

Un mese in Birmania - III

Un mese in Birmania - IV

Un mese in Birmania - V

 

BLOGGER

Luca COCCHI

Scopri le nostre proposte viaggio! vedi info

Viaggi correlati