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13° giorno
Colazione cercando di trovare uno striminzito posto tra le “beghine” polacche, poi prendiamo la via di Yerevan con più soste nella giornata, iniziando dalla vicina Zorats Karer, sito preistorico datato 3.000 a.c. paragonato vagamente a Stonehenge, ma ben lungi dall’esserlo. Il sito è un circolo di megaliti infissi nel terreno, molti hanno un foro rotondo sulla cima, il cui significato pare vada connesso al movimento degli astri a formare un calendario primordiale. Il paesaggio intorno è aspro e privo di alberi, un deserto nella valle circondato da brulle montagne. Ripartiamo e dopo due ore siamo al complesso monastico di Noravank, situato in una deviazione della strada principale lungo il canyon omonimo. Opera dell’architetto Momik, vissuto nel XIII secolo, un capolavoro sia dal punto di vista architettonico, sia per la sua posizione suggestiva. Come tutti, anche noi ci inerpichiamo lungo la pericolosa scala sulla facciata della chiesa di Surp Astvatsatsin, scalini stretti e viscidi e nessuna protezione. La chiesa di San Karapet è più piccola, ma ha la facciata con splendide decorazioni in pietra. Noravank è noto per essere stato anche un importantissimo scriptorium, dove i monaci copiavano, decoravano e restauravano libri. La posizione naturale al termine di una stretta gola, il colore rosa della pietra e la magnifica architettura, lo rendono uno dei più belli e visitati dell’Armenia. Da qui la strada vira verso sud-ovest, si scende in una brulla valle dove inizia a far bella mostra di se il simbolo dell’Armenia, che però è al di là del confine turco, il monte Ararat (5.165 m, considerata la montagna più grande del mondo perché da quota 200 metri si erge come monte unico sino al suo culmine). La vista come immaginabile è filtrata dalla foschia, prima compare il piccolo Ararat e a seguire l’originale (in esso si dice sia arenata l’Arca di Noè, così gli Armeni ritengono che la vita dopo il diluvio sia ricominciata proprio da qui e per questo loro sarebbero una specie di popolo eletto da Dio). Facciamo sosta a Yeaskhavan dove pranziamo in un supermercato dotato pure di tavoli per gli avventori e piccolo servizio ristorazione a fianco, qui il caldo è già particolarmente intenso e con questo dovremo conviverci fino al termine della permanenza in Armenia. La strada corre prossima al confine, confine chiuso causa gli strascichi del genocidio datato esattamente 100 anni fa, una deviazione sulla sinistra porta al monastero di Khor Virap, la vista più caratteristica del monastero con sullo sfondo l’Ararat si coglie tra i campi antistanti. Si sale al monastero con un’importanza straordinaria per la storia armena. Importanza legata al fondatore del Cristianesimo in Armenia, Gregorio l’Illuminatore. Il re pagano Tiridate III lo tenne per 13 anni imprigionato in un pozzo (khor virap=pozzo profondo), dove alcune donne cristiane gli portavano cibo di nascosto. Poi la sorella del re, in seguito a una visione, lo fece liberare perché guarisse il sovrano dalla licantropia. Così avvenne e il sovrano si convertì al cristianesimo. San Gregorio divenne il primo katholikos della chiesa armena e nel 301, grazie all’opera di Gregorio, l’Armenia fu il primo paese al mondo ad adottare il cristianesimo come religione di stato, da questo il motivo principale della forte presenza turistica religiosa del luogo. Motivo di curiosità è calarsi nel pozzo in cui S. Gregorio fu tenuto prigioniero. Vi si accede da una stretta botola sul pavimento e ripidissime scale metalliche che scendono nella cella per una decina di metri. La vista migliore del complesso si coglie dalla collinetta sovrastante il monastero, tra le tante cicogne, l’Ararat e le torri di guardia al confine. Quassù, senza un alito di vento, col sole che cuoce le pietre, resistere è duro, il pozzo di S. Gregorio è quasi un toccasana. Yerevan non dista più tanto, facciamo la prima tappa alla collina, dove sorge un’imponente statua di Madre Armenia, visibile da ogni angolo della città. La statua, alta 25 metri che poggia su di un basamento alto almeno 50 metri, ha sostituito quella di Stalin, è tutta attorniata da carri armati, aerei e ulteriori mezzi militari che fanno da corollario al museo militare situato nel basamento ma al momento chiuso. Lo skyline di Yerevan ha ben poco in comune con quello di Tbilisi, qui l’impronta sovietica è ancora forte, il grigio la fa da padrone, quello che si coglie come maggiore presenza è il rimando all’anniversario del genocidio, al quale però ci dedicheremo in seguito. Col pulmino veniamo scarrozzati all’hotel appena fuori dal centro nei dintorni della nuova e gigantesca (e bruttarella…) cattedrale di Surp Grigor Lusavorich. Per cena ci consigliano un ristorante prestigioso, ovvio che la gente del posto voglia far fare bella figura alla nazione, molto bello ma anche molto turistico o da ricconi del posto, locale che raggiungiamo facendo un largo giro a piedi vedendo dove si trova un bel mercato per il giorno a seguire, terminato di cenare andiamo all’attrazione serale della piazza della repubblica col gioco di luci delle fontane attorno alle quali pare issarsi tutta la popolazione armena. Rientriamo a piedi percorrendo vie dove sembra non si dorma mai, negozi aperti fino a tardi e tanti piccoli bar ovunque, zona di night club lungo la Khandjian Poghots, il posto degli iraniani che vengono in vacanza a Yerevan dove poter fare senza nascondersi quello che a casa è proibito. Già, un’invasione d’iraniani presenti, i rapporti tra i due paesi sono ottimi, e con le possibili aperture in corso ora l’Armenia è in prima fila nel cercare di attrarre investimenti dal ricco Iran. Percorsi 300 km tutti su strade in buono stato.
Il monastero di Khor Virap si staglia di fronte alla mole del Monte Ararat - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
14° giorno
Terminata colazione partiamo per visite fuori città passando dall’arco di Charents dal quale si avrebbe una bella vista dell’Ararat ma anche oggi (a sentire guida, autista e gente del posto, quasi sempre) la foschia la fa da padrona. Charents fu un poeta armeno (da notare che la poesia è particolarmente seguita in Armenia, forse più della prosa) da prima sostenitore dei bolscevichi e pian piano disilluso dal terrore stalinista tanto da finirne giustiziato ed ora figura rivalutata da queste parti. Non troppo lontano è situato il monastero di Geghard, famoso perché conservava la lancia che ha trafitto il costato di Cristo sulla croce, che ora è esposta a Echmiadzin. Il luogo è chiamato anche Ayrivank, monastero nella roccia, perché parte del monastero è interamente scavata nella roccia. La leggenda vuole che sia stato fondato nel VI secolo, ma la più antica delle chiese rupestri risale al VII secolo. Le due chiese situate all’interno delle mura principali furono edificate nel XIII secolo. Il vestibolo, più grande della stessa chiesa, ha un elaborato soffitto a nove archi, su quello nel lato destro si trovano gli ingressi di due cappelle scolpite nella roccia, quella di sinistra contiene una sorgente di acqua ritenuta santa. All’esterno, alcuni gradini conducono alla chiesa superiore, anch’essa scavata nella roccia, l’acustica è sorprendente. In un angolo c’è un’apertura che comunica con la chiesa sottostante, permette scatti fotografici molto suggestivi. Acustica, giochi di luce, architettura, a giusta ragione è il monastero “principe” dell’Armenia. Poi ancora in pulmino raggiungiamo il vicino tempio ellenistico di Garni, unico sito archeologico romano del Caucaso, ampiamente ricostruito. Era dedicato a Elio, il dio del sole dei romani, fu edificato dal re armeno Tiridate I nel I sec. e dopo la conversione del paese al cristianesimo, divenne la residenza estiva dei reali armeni. Per loro fu costruito un edificio termale romano, ora coperto. Visibile un bel mosaico, ma nel complesso appare come un pugno in un occhio nella valle. Nei dintorni del piccolo paese è nascoto un ristorante tra gli alberi, ci addentriamo timorosi e finiamo invece per apprezzare la variegata cucina con assaggio di trota proprio deliziosa. Tornati in città, con temperatura di 43° all’ombra, visitiamo il celebre Museo dei Manoscritti – Matenadaram - che custodisce antichi manoscritti dell’Armenia, nonché altri notevoli codici e libri manoscritti di altre culture, ritenuto il più completo e pregevole al mondo. La temperatura è regolata a 22°, lo sbalzo è tremendo con conseguenze immediate allo stomaco. Poi sempre col pulmino perché si trova fuori dal centro sulla collina di Tsitsernakaberd (fortezza delle rondini), la toccante visita al Museo del Genocidio, che celebra il centenario proprio quest’anno. Il Monumento esterno ha una guglia alta e sottile formata da due parti: una più grande (Armeni lontani) e una più piccola (gli Armeni che vivono qui), per ricordare la diaspora e il legame con gli armeni all’estero. Una fiamma perenne arde tra 12 grandi blocchi di basalto, le 12 province perdute dell’Armenia occidentale, ora in Turchia (Anatolia). Le vie per arrivare al museo sono ben distinguibili tra i variegati manifesti che identificano il genocidio in numeri e fautori, un’idea ben congeniata e facilmente collegabile che rimane impressa nella memoria. Il pulmino infine ci lascia alla Cascata, un’opera architettonica notevole, consta di una lunga rampa di gradini di pietra (sono 6 piani) intervallati da aiuole che sale a un monumento, fu costruita per il 50° anniversario del Soviet dell’Armenia. Lungo la Cascata ci sono cinque fontane coperte, alcune delle quali presentano pannelli scolpiti e khatchkar postmoderni. Numerose le opere d’arte moderna (tra cui tre grandi sculture di Botero) disseminate ovunque. Rientriamo passando per il grande mercato all’aperto del Vernissage dove tra robe vecchie brutte e souvenir di dubbio gusto, si trovano cimeli dell’epoca zarista e sovietica, preziosi francobolli e monete, ma anche abbigliamento da gansta-rapper di dubbio gusto. I prezzi dei pezzi più preziosi non sono a buon mercato ed il mercanteggiare è quasi sconosciuto. Per cena i consigli ci portano in un altro posto molto bello con musica dal vivo. Si trova non lontano dalla piazza della Repubblica che anche questa sera registra il tutto esaurito, finisco per chiacchierare con una coppia conosciuta in precedenza di rientro da una breve permanenza nel Nagorno-Karabakh, di cui mi parlano entusiasti, ma lo sono quasi inevitabilmente tutti gli armeni della diaspora al rientro a casa per le vacanze. Percorsi 90 km.
La chiesa di Surp Astvatsatsin dalla caratteristica scala esterna - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
15° giorno
Anche oggi terminata colazione si parte per un’escursione fuori città, prima sosta a Surp Hripsimè, la chiesa costruita nel luogo dove Gregorio l’Illuminato ebbe una visione sul martirio della santa. Hripsimè era una bellissima fanciulla venuta da Roma, che fu lapidata per non aver voluto sposare il re Tiridate III, qui c’è la sua tomba. Dopo pochi minuti siamo a Echmiadzin, considerato il Vaticano dell’Armenia, perché è la sede del supremo Patriarca della chiesa armena. Oggi è una domenica particolare, c’è la cerimonia della benedizione dell’uva, per questo c’è un grande afflusso di fedeli e tanta polizia, è previsto l’arrivo del presidente della repubblica e la sala del Tesoro, che custodisce molte rarità, compresa la lancia sacra che trafisse Cristo sul Golgota, oggi purtroppo è chiusa. Così ci togliamo dalla confusione totale per raggiungere a piedi la chiesa di Surp Gayanè, dedicata al martirio della santa. È un’insolita costruzione color arancio, costruita nel 1630 intorno alla cappella del VI secolo, che originariamente sorgeva sulla sua tomba. Qui assistiamo alla cerimonia della benedizione dell’uva tra cori, musica, incenso e folla adorante. Prima di rientrare è poi d’obbligo la sosta a Zvartnots per un’occhiata alle rovine, Patrimonio Unesco, della Basilica di Zvartnots, molto affascinanti. Era un insolito edificio circolare, costruito fra il 641 e il 661, con bei capitelli dai motivi geometrici. Visitiamo l’annesso Museo, anche per sfuggire momentaneamente al caldo asfissiante. A Yerevan tappa al Jazzve Caffè dove si può assaggiare uno dei migliori caffè di tutta l’Armenia, servito nel suo caratteristico bricco. Siamo a fianco della Galleria d’Arte Nazionale che si sviluppa su più piani, ci consigliano di partire dall’alto e poi scendere, dalla pittura europea, a quella russa per finire a quella armena. Qui l’aria condizionata è fuori servizio, il caldo talmente intenso che alcuni quadri sono attorniati da ventilatori per evitare che si sciolgano, ma per gli amanti della pittura visita imperdibile, è considerato il terzo museo più importante dell’ex Unione Sovietica e in effetti non delude. Prima di rientrare in hotel per una doverosa doccia faccio un salto al mercato Shuka2 proprio di fronte all’hotel, a pian terreno molte bancarelle ben addobbate che vendono cibo di tutti i tipi, vanno tantissimo le torte ricoperte di canditi, meno interessante il piano superiore oramai adibito a vendita di scarpe, tutti mocassini quasi identici in numero infinito. Per cena scegliamo una dei tanti ristoranti all’aperto nella zona dei giardini adiacenti alla nuova cattedrale, non ha un servizio celere, non azzecca sempre le ordinazioni anche perché gli addetti non hanno dimestichezza con lingue occidentali ma poco male, il posto è fresco per gli standard del periodo e di conseguenza la sosta è gradevole. Un ultimo giro per il centro è d’obbligo, finisco per farmi tentare da un maxigelato di discreta qualità all’angolo sud di piazza della repubblica. Percorsi 56 km.
Il tempio ellenistico di Garni - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
16° giorno
Sveglia alle 2:30, sveglia per modo di dire, giusto un appoggiarsi al letto, col solito pulmino andiamo all’aeroporto di Zvartnots che dista dall’hotel 15 km. Pratiche veloci, al controllo passaporti vengono prese le impronte digitali che saranno nuovamente confrontate al gate d’imbarco, in modo da evitare scambi di persone in modo veloce. Voliamo nuovamente con Aegean destinazione Atene, volo puntuale di circa 3 ore dove si passa il tempo tra snack e colazione abbondante. All’aeroporto di Atene, per lavori o disfunzioni, le pratiche sono da rifare perché ci costringono a uscire e rientrare, fortuna che il tempo è sufficiente ma non abbondante quindi approfittare del servizio wi-fi gratuito in seguito a registrazione o consultare uno de vari pc a disposizione non è fattibile, il volo per Roma ci attende puntuale anche quello. Dopo 1:45 siamo già atterrati, in volo nuovo snack&pranzo (identico a quello dell’andata), attesa di 45’ per i bagagli e da lì vado al terminal ferroviario dove sta partendo proprio in quel momento una Frecciargento (wi-fi gratuito dopo registrazione, funzionamento stile canguro, ovvero tende a saltare più volte) che mi porta direttamente a Bologna senza cambiare. C’è posto solo in prima classe, ma il bigliettaio mi concede uno sconto di 10€ tipo last minute, così con “soli” 82€ arrivo a Bologna. Il servizio di prima classe mi rifornisce di bibite e snack dopo ogni stazione, l’addetto ormai mi conosce perfettamente quando in perfetto orario giungo a destinazione. A Bologna sento in molti lamentarsi del caldo intenso che da giorni attanaglia la città, provenendo da Yerevan mi par quasi faccia fresco…
Scena romantica alla Cascata di Yerevan - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
2 note di commento
Il viaggio si è svolto in agosto, periodo ideale per affrontare i passi caucasici ma caldo ed afoso in pianura e nelle città soprattutto a Yerevan, dove la temperatura oltrepassava con regolarità i 40°. Per entrare è sufficiente il passaporto in corso di validità per 6 mesi senza visto, vengono apposti solo i timbri in entrata e uscita. Per l’organizzazione del viaggio ci siamo appoggiati a un tour operator georgiano che opera anche in Armenia, definendo un programma con al centro il Caucaso. Questo comporta spostamenti a volte pesanti e un passaggio in Armenia più veloce, ma si è trattata di una nostra scelta ben precisa per dare più risalto all’aspetto naturalistico piuttosto che a quello storico-religioso. La moneta in uso è in Georgia il Lari (identificato con L), un € equivaleva a 2,47L, in Armenia il Dram (identificato con D, tetri per i centesimi), un euro equivaleva a 525D. Bancomat diffusissimi, ma altrettanto i cambiavalute ufficiali che hanno il vantaggio di non richiedere nessuna commissione. L’euro può essere accettato ma il resto viene poi concesso in moneta locale e il cambio è sovente perdente, ma rimane una buona via d’uscita se s’intende portarsi al seguito poca moneta locale, anche perché usciti da uno dei due stati serve ben a poco, possibile convertire quella dell’uno in quella dell’altro alla frontiera con un buon cambio. La lingua è un problema, l’inglese è ben poco diffuso, figuriamoci altri idiomi tipo italiano, francese o castellano, avendo al seguito in entrambe le nazioni una guida che parlava un ottimo italiano oltre all’inglese veniva utilizzata ovunque da interprete, anche con gli autisti, nessuno dei quali parlava inglese. L’ultimo dei problemi è di rimanere a parte degli accadimenti del mondo, il wi-fi è ovunque, spesso libero anche nei parchi cittadini o nei monasteri, hotel e ristoranti forniscono sempre la password prima ancora di essere serviti, a parte nello Svaneti (dove però alcuni servizi hanno il wi-fi) e nel Tusheti dove potete dimenticare ogni sorta di connessione dati ma la copertura di rete per telefonare in alcuni posti si può trovare (fortunatamente non nell’hotel dove abbiamo fatto tappa). L’alfabeto georgiano è relativo a una lingua caucasica, di fatto non leggibile se non lo si conosce, stessa cosa per l’armeno, lingua indoeuropea, va detto che quasi ovunque le indicazioni sono traslitterate, per cui muoversi rimane semplice. In estate il fuso orario è +2 rispetto al nostro. In Georgia per entrare nelle chiese e nei monasteri le donne devono indossare i pantaloni lunghi e tenere il capo coperto (se non sono provviste di tali indumenti di solito vi sono in prestito agli ingressi), mentre in Armenia non è necessario. Sia in Georgia ma soprattutto in Armenia la religione è una questione di primaria importanza, essendo entrambe tra le prime nazioni cristiane al mondo, per l’esattezza prima l’Armenia nel 301 e a seguire la Georgia nel 327, aspetti da non dimenticare nel visitarle.
Tra Grande e Piccolo Caucaso - I
Tra Grande e Piccolo Caucaso - II
Tra Grande e Piccolo Caucaso - III
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