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Eritrea, un'insolita Africa - III

Il viaggio del nostro Luca nell'antica colonia italiana

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7° giorno 

In hotel i prezzi sono assurdi, giusto un tè visto che avremo tempo di rifocillarci a dovere sulle isole Dahlak. Partenza alle 10 su di una barca adatta per più di 10 persone dove, oltre a sistemare zaini, cibo e acqua, carichiamo anche due grandi casse di polistirolo colme di ghiaccio che ci faranno da frigorifero durante la permanenza nell’arcipelago. Va tutto sistemato a dovere per evitare problemi in navigazione. Usciamo dal porto dirigendoci a un faro dove dopo lunga attesa si palesa un addetto che ritira i nostri permessi e ci da l’OK a partire. La traversata dura indicativamente 90 minuti, dopo i quali avvistiamo una striscia di terra in mezzo a un acquario, una di quelle visioni sovente scambiate per il paradiso. Nessuno di noi è un vero amante del mare, preoccupa un po’ l’idea di un’isola dove c’è poco da fare poiché piatta e non molto estesa, ma la prima vista è positiva, avendo deciso di far base sulla stessa isola le tende sono già montate, sono alte da poterci stare in piedi all’interno, ci sono le brandine per dormire e, chicca unica, una coppia inglese con cui condivideremo l’isola di Dur Gaam per una sola notte ci lascia pure la doccia da campo. Già, qui non c’è nulla, occorre portarsi ogni cosa, una doccia all’interno di un piccolo capanno portatile è un lusso inatteso, acqua ne abbiamo e quindi avremo pure un confort in più rispetto al previsto. Inutile dire che i “servizi igienici” sono nella natura, arbusti bassi, quindi un minimo occorre spostarsi. Il cuoco e un suo addetto hanno pure edificato una struttura protetta dal vento e dal sole per la loro cucina e una tenda “salotto” per noi, comoda durante il giorno per proteggersi dal forte sole e di sera dal vento che sale intense in più nottate. Altra “chicca”, il cuoco ci offre subito i suoi servigi, ovvero poiché non ha nulla da fare oltre a cucinare per il barcaiolo, il pescatore e per lui, facendogli avere per tempo le cibarie preparerà anche le nostre. Il pranzo è improvvisato, ma comprendiamo fin da subito come le provviste siano abbondanti e non avremo da risparmiare cibo. Alle 16 c’è il giro alla barriera corallina per entrare nell’acquario, qui il turismo è in sostanza inesistente e di conseguenza la barriera corallina intonsa, per gli amanti dello snorkeling le Dahlak sono un sogno, anche se non facilmente raggiungibile. Oltre al tempo del volo (si può arrivare solo ad Asmara), serve un ulteriore giorno per giungere a Massawa, quindi in pratica almeno 4 giorni tra a/r sempre che i permessi arrivino nei tempi giusti, oltre al fatto che non c’è nulla sul posto e va portata tutta l’attrezzatura, le provviste e definire il passaggio/permanenza con largo anticipo. Al calar del sole, piuttosto rapido e senza regalarci un tramonto da souvenir, la cena è servita dopo poco, 18:30 a tavola, nella tenda “soggiorno” siamo pure dotati di lampada che con un complesso sistema di funi riescono a mettere nel punto più alto e sostituire quando la batteria ci abbandona (scopriremo l’indomani che le ricaricano grazie ad alcuni piccoli pannelli fotovoltaici). Terminata la cena, che avrà sempre come base risotto ai carciofi e verdure stufate, c’è tutto il tempo del mondo per andar di chiacchiera, leggere o attendere che il caldo che attanaglia le tende lasci spazio a una temperatura gradevole. Per dormire è sufficiente un sacco letto che verso mattina fa quasi comodo, se si decide di leggere, fondamentale la zanzariera da incastrare ben bene attorno alle brandine altrimenti si è invasi da minuscoli moscerini che nulla fanno se non vorticare freneticamente tra luce ed occhi. Per le abluzioni e i bisogni meglio avere una torcia frontale, appena terminata la sabbia della spiaggia la bassa vegetazione va evitata per non terminare con le caviglie ed i piedi coperti di graffi e tagli.

 

Isola di Dahlak Kebir, Arcipelago delle Dahlak

 

8° giorno

Qui il ritmo di vita è scandito dalla luce, all’alba ci si alza e i colori sono più intensi rispetto al tramonto, ci prepariamo la colazione attingendo dal monte viveri portato al seguito e appena terminato si salpa in direzione di Dahlak Kebir, l’isola più grande dell’arcipelago che raggiungiamo dopo 45 minuti di navigazione. Tagliamo le minuscole isole che fanno da corona alla punta più a nord-ovest (Intaraia dovrebbe chiamarsi una di queste, poco di più di un affioramento roccioso) per entrare in una baia naturale dai colori indescrivibili, il mare una piscina colorata. Sbarcati, parto subito per un’escursione sulle colline rocciose che regalano viste mirabolanti, tutta questa bellezza senza presenza umana, solo una cospicua colonia di avifauna, pesci di ogni tonalità nell’acqua e piccoli granchi rosa che scappano all’impazzata. Salgo e scendo arrivando anche in un piccolo promontorio contraddistinto da antichi resti di fortificazioni, ovviamente non c’è nessuno a fornire indicazioni e anche quel poco che le guide raccontano non cita questa zona, dove un tempo era riportato un resort del quale non c’è traccia. Gli unici resti indicati, antiche cisterne, si troverebbero molto più a sud, luogo che non toccheremo. Per chi vuole godersi il mare penso ci sia poco di meglio al mondo, ma pure l’entroterra meriterebbe una visita più accurata, noi ripartiamo dopo circa 3 ore per far tappa presso un piccolo isolotto che sembra comparso dal nulla, roccioso alla base pressoché privo di spiaggia e verde in cima, Cundibilo (non ho trovato il nome scritto da nessuna parte, riporto quanto indicato dal barcaiolo) dove si fa snorkeling sulla barriera corallina praticamente a ridosso dell’isoletta. Rientriamo alla base verso le 14, nemmeno il tempo di metterci al riparo dall’intenso sole che il pranzo è in tavola, abbondanza di pasta asciutta con condimento relax o all’eritrea, ovvero piccante da piangere. C’è tempo per nuotate nei dintorni della spiaggia e del campo tendato o per riposarsi da un sole accecante, alle 16 il barcaiolo porta chi lo desidera all’escursione alla barriera corallina, qui è ovunque, il problema è per lui trovare il varco che non la danneggi e faccia altrettanto con barca e motore. Io opto per un’escursione a piedi sull’isola nell’area verso sud-ovest, zona rocciosa, per rimirare da quel lato che pare più selvaggio il tramonto, oggi ancora non al massimo ma da qui più intenso. Il rientro al calare del sole non piacevole nella zona rocciosa, meglio lambire la spiaggia, dove questa c’è, nella parte nord quasi inesistente, dalla roccia diretti al Mar Rosso. Approfitto della doccia da campeggio lasciata dagli inglesi, l’acqua l’avevo caricata prima così da scaldarla, un piacere che non avevo messo in conto. A cena, prima delle 19, si alza il vento e la temperatura scende, tanto che nella tenda “soggiorno” alcune aperture devono essere richiuse. Poca scelta, l’amico riso ai carciofi, del pesce pescato nel pomeriggio e il solito purè di verdure, ma non è il caso di lamentarsi. Le tende, caldissime di giorno, lasciano di nuovo spazio a una serena nottata, un accenno di pioggia ci costringe pure a chiudere alcune protezioni senza causare nessun problema di temperatura.

 

Famiglia di sule leucogaster, Isola di Dur Ghella

 

9° giorno

Alba tra le nuvole, la tenda ha fatto il suo dovere, niente freddo all’interno nonostante vento e qualche leggero scroscio di pioggia. Colazione fai da te e partenza immediata per l’isola di Ghir Ghir che raggiungiamo in 35 minuti di navigazione attraversando una nuvola che regala pioggia. L’isola, completamente piatta, si rivela la meno interessante da esplorare, all’interno molti arbusti e limitata presenza di avifauna, qui l’opzione prioritaria se non unica è quella di godersi il mare e le viste subacquee che regala. Se può essere un paradiso per alcuni, per altri diviene non così attrattiva, è praticamente impossibile trovare riparo dal sole, niente scogliere e quindi niente viste scenografiche né ripari dal sole che una volta sbucato si propone immediatamente molto forte. Fortuna che il risicato tetto dell’imbarcazione un minimo di riparo lo regala. Rientriamo circa 45 minuti prima del solito, pronti per la solita razione abbondante di pasta asciutta coi sughi in alternativa (tanto tonno, per sicurezza abbiamo abbondato con scorte di quel prodotto utile in più maniere), a seguire breve relax. Oggi decido di percorrere a piedi l’intero periplo di Dur Gaam, passando per il lato roccioso, la parte più selvaggia e scenografica dell’isola. Ci trovo anche due piccoli resti d’insediamenti in pietra, ovviamente nessuno tra barcaiolo, cuoco e mozzo sa dirmi a quando risalgono e che funzione avessero, qui avifauna, solo gabbiani a stormi, banali si potrebbe pensare ma scenografici nel muoversi a centinaia al mio passaggio. Al termine del periplo approfitto nuovamente della doccia da campeggio prima che la sera abbia il sopravvento così da provare a gustare un tramonto in tranquillità, ma pure oggi la presenza verso terra di nuvole copre la vista, e dire che le poche nubi sarebbero un viatico scenografico importante, solo che si concentrano tutte nel medesimo orizzonte per coprire la discesa finale del sole nel mare senza lampi a sovrastarle e colorarle, peccato. Tempo di cena, anticipata anche più del solito, il menù è ormai standard, questa sera però non c’è vento e fa più caldo, nonostante questo, in tenda, calata la notte, la temperatura è ottima, niente caldo eccessivo e possibilità di dormire in assoluto relax col solo sacco letto utile di mattina. Per chi vuole allungare la serata leggendo, meglio farlo sotto la tenda “salotto”, con luce posta in alto nel giro di funi installato dal cuoco, con la torcia frontale in tenda si richiama un numero spropositato di minuscoli moscerini che riescono in più casi a introdursi anche all’interno della zanzariera.

 

continua...

 

Eritrea, un'insolita Africa - I

Eritrea, un'insolita Africa - II

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Luca COCCHI

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