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Dopo avervi raccontato dei carnevali di tipo più classico con sfilate di carri allegorisi, stavolta mi concentro sui carnevali “atipici”, spesso popolati da maschere sconosciute altrove e caratteristici di zone che causa l’isolamento hanno mantenuto intatte le proprie tradizioni più a lungo. In alcuni casi si tratta di tradizioni riprese dopo anni di abbandono, e per i quali non nascondo una predilizione.
Il più noto fra i carnevali atipici è quello di Ivrea, in Piemonte. Originario del XVI secolo, subì nel 1808 la trasformazione che l’ha reso come lo conosciamo oggi. Era epoca napoleonica, come testimonia il berretto frigio che tutt’ora è l’unico salvacondotto per non diventare dei bersagli. Tutto inizia con la parata del corteo storico, durante la quale la Mugnaia sfila su un carro dorato. Ma l’evento che ha reso celebre questo Carnevale e che raduna migliaia di visitatori da tutto il mondo è la Battaglia delle Arance. Tutto sembra essere nato da scherzose schermaglie tra carrozze e gente sui balconi. Nel primo dopoguerra vennero codificate le modalità della battaglia. Nelle piazze principali passano i carri da getto, trainati da cavalli e che trasportano una decina di aranceri, i personaggi più esposti e per questo protetti come cavalieri medievali da maschere con grate di ferro e costumi imbottiti. Per aumentare la potenza di fuoco sono soliti lanciare arance con entrambe le braccia. A piedi invece vi sono squadre di centinaia di altri aranceri, vestiti solo di abiti colorati e con casacche colme degli arancioni proiettili, che cercano di scagliare nella grata degli aranceri sul carro, per far sì che il succo gli schizzi negli occhi. Quando il campo di battaglia è completamente ricoperto di agrumi, una commissione assegna un premio ai carri e alle bande che hanno mostrato maggior coraggio e bravura.
Strade ricoperte dopo la Battaglia delle Arance
Il misterioso carnevale di Mamoiada, in provincia di Nuoro, costituisce un caso a sé. I protagonisti della festa sono due personaggi che non hanno eguali in nessun altro carnevale: i Mamuthones, dal volto celato da un’inquietante maschera nera di legno, hanno il corpo coperto di pelo nero e dei campanacci appesi alla schiena che fanno suonare in modo caratteristico con una scrollata di spalle mentre procedono lentamente in file parallele; i saltellanti Issohadores, dalla maschera bianca sul volto e vestiti con un corpetto rosso, impartiscono saltellando la cadenza ai Mamuthones e con un laccio catturano tra la folla le giovani donne (auspicio di fertilità) o amici (in segno di amicizia). La prima apparizione annua la fanno il 17 gennaio, festa di S. Antonio, protettore degli animali domestici.
Un mamuthone, Mamoiada
Davvero peculiare è il Carnevale di Satriano, in provincia di Potenza, che trae origine da antichi culti arborei. Più che la parata di carri allegorici, quello che lo diversifica è la presenza di maschere particolari, uniche nel panorama carnevalesco. L’Orso, vestito di pelli di pecora o capra rappresenta la ricchezza e il successo e, in maniera neanche tanto velata, il tipico emigrante tornato al paese dopo “aver fatto i soldi”. Ha un sacchetto in testa con appena i buchi per gli occhi e la bocca e non parla, ma lo si sente fin da lontano per via dei campanacci che ha appesi al corpo. Il Romita (eremita), completamente ricoperto di frasche, rappresenta la povertà, una condizione storicamente caratteristica di queste lande e, al contrario del’Orso, rappresenta il satrianese che non ha abbandonato la sua terra, preferendo gli stenti di una vita nel bosco all’emigrazione. Durante il Carnevale punzecchia la gente col bastone in cima al quale ha psoto un pungitopo. La terza figura è la Quaresima e si discosta parecchio dalle altre due: intrepretata da donne a volte scoperto e vestite di nero, è un personaggio statico, che si muove lentamente, portando in testa una culla che rappresenta il Carnevale ormai cessato.
La sfilata dei Romiti, a Satriano
Particolare è anche il Carnevale di Tricarico, in provincia di Matera. All’alba del 17 gennaio dedicato a Sant’Antonio, i fedeli portano i propri animali, agghindati con nastri e perline, per la benedizione del santo che ottengono dopo aver fatto giri intorno alla chiesa. Lo stesso rito viene effettuato dalla “mandria”, costituita dalle maschere delle Mucche e dei Tori, che rappresentano la transumanza bovina ancor’oggi praticata. Le maschere, con costume prevalentemente bianco per le Mucche e nero per i Tori ma entrambe dotate di campanacci, sono interpretate esclusivamente da uomini e mimano le movenze degli animali, perfino con le “prove di monta”. Al termine della sfilata le maschere si disperdono per il villaggio e iniziano la “questa”: si fermano davanti ad una porta e suonano i campanacci fion a quando non viene loro aperto e, una volta entrati, offerto da bere e da mangiare.
Una Mucca e un Toro si affrontano a Tricarico
Il Carnevale di Gavoi, in provincia di Nuoro, è soprattutto “sonoro”. I protagonisti della festa sono centinaia di suonatori di tamburi artigianali ma anche di zufolo a canna, di triangoli, organetti e altri strumenti della tradizione sarda. Vestiti con neri o pelli di capre e pecore e con maschere lignee o più semplicemente del tipico abito di velluto e il volto annerito dal carbone, i musicisti si scatenano soprattutto il giovedì grasso con un gran fracasso che coinvolge tutta la popolazione. Il martedì grasso il fantoccio del re del Carnevale, Zizzarone, viene bruciato in un rogo ma la fine vera è propria è all’alba quando gli intinghidores, con del sughero bruciato disegnano un croce sulla fronte dei partecipanti.
Intinghidores a Gavoi
La Sardegna è un’autentica terra d’elezione per il Carnevale, specie nella Barbagia dove ogni paese, generalmente piuttosto isolato dagli altri, sembra aver sviluppato un proprio rituale di festeggiamento, anche se alcuni personaggi e riti sono ricorrenti. Oltre a quelli già citati vanno ricordati: il Carnevale di Bosa dei canti satirici e le maschere delle Attittadoras; quello di Oristano caratterizzato dalla giostra equestre della Sartiglia e quello di Santu Lussurgiu con una corse a pariglie nel centro sotirco del paese; quello di Fonni con gli aggressivi s’Urhtu che si avventano scherzosamente sulle ragazze; quello di Tempio Pausania col Re Giorgio processato e bruciato sulla pubblica piazza; quello di Ottana dalle tante maschere che rappresentano la vita dei campi; quello di Lodine dove un personaggio politico locale o internazionale viene raffigurato con un fantoccio e deriso e poi infine arso.
I Boes del carnevale di Ottana
Anche i riti carnevalizi delle zone alpine hanno significati allegorici e si coniugano in maniera sempre differente: a Mompantero (TO), si festeggia il “Ballo dell’Orso” dove l’animale selvaggio, reso mansueto da abbondanti bevute di vino rosso, balla in piazza con la ragazza più bella del paese; a Prato allo Stelvio, in Val Venosta, gli uomini del paese danno vita alla corsa dei Zussl, vestiti di bianco e decorati con fiori, fiocchi di carta e pesanti campanacci, imitano i cavalli da traino, trascinando un vecchio aratro; a Rocca Grimalda (AL) si tiene la Lachera, un coloratissimo corteo costituito da personaggi del folklore locale ma anche damerini settecenteschi e spadaccini seicenteschi, che termina in diverse danze; A Sauris, in provincia di Udine, i protagonisti sono il Rölar, figura demoniaca con sonagli alla vita, e il Kheirar, re della mascherata e con in mano una grande scopa che utilizza per spazzare il pavimento quando entra nelle case col suo seguito di suonatori; a Chianale, in alta Val Varaita, si è ripresa l’antica usanza di portare per le strade il Lupo legato ad una robusta corda, che tenta di scappare e spaventare le ragazze prima di essere sacrificato e il suo sangue raccolto in una coppa; ancora in Val Varaita, stavolta a Bellino, ogni tre anni si tiene la Beò de Blins, un corteo di personaggi alpini con stupendi costumi; a Comelico Superiore, provincia di Belluno, ballano maschere tradizionali molto diverse tra loro come il laché, il matazìn e la matazèra; a Condove, in Val di Susa, si tiene il Carnevale del Lajetto, durante il quale le Barbuire, personaggi mascherati in modo grottesco, urlano versi incomprensibili, prendono tutti a calci oppure coinvolgono gli astanti in danze al ritmo di musica occitana; a Valfloriana, in Trentino, i Matòci, personaggi con maschere lignee e costumi sgargianti, devono superare una serie di ostacoli e impegnarsi in “botta e risposta” satirici, un richiamo all’antico sistema di pedaggi da un paese all’altro; nella valle del Gran San Bernardo sono di casa le Landzette, maschere cono costumi e cappelli che ricordano le uniformi napoleoniche, adorne di perline e paillettes per allontanare le forze maligne.
Un momento della Lachera, a Rocca Grimalda
L’elenco potrebbe essere infinito. Segnalateci i carnevali tradizionali che conoscete.
ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi
Roberto