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La Mia Cambogia - IV

Diario di viaggio nel piccolo ma intrigante paese indocinese

 

...segue

 

13° giorno

Lunga giornata di trasferimento, colazione sulla strada a fianco della G.H. con paste e caffè poi alle 8 con l’autista del giorno precedente partiamo per Thala Boravit, sponda occidentale del Mekong. Il percorso viene descritto come un sentiero e poco più, percorribile solo nella stagione secca, totalmente impercorribile in estate. A dire il vero l’autista pare tranquillo, l’auto una “solita” Toyota Camry, pensare di dover attraversare la foresta in questo modo sembra strano, ma non ci mettiamo preoccupazioni inutili. Ci avevano parlato di 6 ore per arrivare, in realtà ora di sentiero non c’è più traccia, una larga strada sterrata taglia questa parte di Cambogia un tempo probabilmente sommersa dalla giungla, ora non più perché l’estrazione del legname ha portato disboscamento e realizzazione di percorsi adatti ai grandi camion che fungono da trasporto (vista la condizione del tragitto probabilmente si può strappare un prezzo migliore perché i conduttori restano impegnati per la metà del tempo previsto fino ad un anno fa). Fino a Chhep par di essere su di un bel percorso autostradale, dopo lo sterrato prende il posto dell’asfalto ma la strada è ottima (almeno nella stagione secca, ma stanno costruendo vari ponti per renderla percorribile anche durante la stagione delle piogge), arriviamo al villaggio di Thala Boravit in 2:30, all’imbarco sul traghetto veniamo caricati su di una piccola imbarcazione, ma con l’arrivo di qualche jeep spostati su di uno più grande dove possono salire anche mezzi a quattro ruote. Si parte quando è pieno, ma attendiamo poco, in 15’ siamo all’imbarco di Stung Treng, lato orientale del Mekong. Qui tutti sembrano grandissimi amici e si preoccupano a trovarci un posto per qualsiasi meta, in realtà di bus pubblici non c’è traccia, è pieno di minivan con destinazione il confine laotiano. Così dopo aver rinunciato a svariate offerte di amici degli amici ci prendiamo un passaggio su motorino per O Pong Moan, da dove passano i bus pubblici con destinazione Ban Lung, capoluogo della regione di Ratanakiri. Qui attendiamo quasi 2 ore il bus, ma il posto è pieno di ristoranti dove rendere l’attesa sopportabile, poi col bus raggiungiamo Ban Lung, estremo nordorientale della Cambogia, luogo rurale e bucolico, qualcosa di ben differente dall’idea comune di Cambogia. I bus fermano nella nuova stazione, o meglio in costruzione, a ovest della cittadina, si è assaliti da chi propone hotel/G.H. e conducenti di moto, sovente i primi offrono il passaggio in centro o chiedono una cifra forfettaria. Optiamo per un guest house sulla via principale, dove dopo aver schivato chi ci proponeva escursioni varie per i giorni seguenti, troviamo modo di affittare moto con cambio manuale (molto meglio sullo sterrato e più parche nei consumi), moto che in prima battuta non volevano noleggiarci per farci comprare i pacchetti visite a tutti i costi. Ceniamo decisamente male in un ristorante senza nome sulla parallela a sud della via principale, fortuna che in qualche market si può integrare con qualche prodotto “commestibile”. Qui paiono tutti pazzi per i pulcini allo spiedo, piatto che fa impressione a vedersi, tirano tantissimo anche dolci in forma di gelatina, lo strano è non riuscire a finire la cena con un caffè, proprio qui dove è di qualità eccezionale, dovrò accontentarmene solo di mattina. Lunga giornata di trasferimento, le guide riportano tempi ben più lunghi e la giornata era stata impostata senza l’obiettivo di arrivare fin qui con un trasferimento giornaliero, la cosa è fattibile senza problemi e ci fa guadagnare un giorno di escursioni. La sera al solito si vede pochissima gente in giro per la città, ma del resto alle 5 di mattina son già tutti operativi e rumorosi, la temperatura serale permette di starsene in maglietta ma è ben diversa da quella delle pianure.

 

Gente del Ratanakiri, all'occorrenza stazione di rifornimento

 

14° giorno 

Colazione nell'unico posto dove deliziarsi con yoghurt (made in Vietnam) e torte (di produzione propria) oltre ad un ottimo caffè (anche quello alla vietnamita, qualità garantita), poi con gli scooter a nolo presi alla nostra G.H. prendiamo in direzione di Voen Sai verso nord-ovest, un raggruppamento di villaggi di etnie distinte che si trova su entrambi i lati del Tonlè San. Per arrivarci iniziamo a fare “amicizia” con le rosse strade di Ratanakiri, il percorso è splendido ma la polvere rossa ovunque, non importa lottare per cercare di evitarla, impossibile. Fondamentale però la mascherina per bocca e naso, altrimenti quando si incontrano furgoni, moto e macchine, oltre a non vedere nulla, è impossibile respirare. Arriviamo sul versante sud di Voen Sai, avevamo fatto il pieno a Ban Lung e non abbiamo problemi di autonomia, attraversiamo il fiume su di un traghetto costituito da qualche stretta barca coperta da un tavolaccio, prassi comune in questo remoto lembo di Cambogia, in un caso c’è perfino un pick-up sopra, anche se lo spazio restante è nulla. Qui la Cambogia vista in precedenza non esiste più, si vive sul fiume e grazie alla terra, turismo inesistente e di conseguenza i servizi offerti nulli, ma la gente molto più mite e - nel limite imposto dalla lingua - più interessata alla presenza di “musi” sconosciuti. Facile distinguere le differenti etnie abitanti dal tipo di costruzione eretta, i cinesi optano per case in muratura, cosa che laotiani, vietnamiti e cambogiani non fanno, anche se all’interno di ogni gruppo esistono tante altre sottotribù, fra cui i chunchiet, i più diffusi in questo fazzoletto di terra. Riattraversato il fiume lo costeggiamo in direzione est passando per Pong e arriviamo a Kachon, celebre per un cimitero toumpuon visitabile però solo accompagnati. Al momento nessuno dei rari presenti si interessa a questa eventuale escursione così tagliando per la foresta ritorniamo sulla strada per Ban Lung prendendo la deviazione per Ta Veng, non molto lontano da Ban Lung, quindi rifacendo quasi 35 km dei 50 totali. La strada è spettacolare, tutta salite e discese, viste mozzafiato del percorso rossissimo che taglia la foresta verdissima, aggiungo un litro di benzina facendo tappa presso un’abitazione lungo il cammino, qui a chiunque si può chiedere aiuto anche se non ci sono sul fronte le solite bottiglie già piene di carburante. Le persone che lì vivono, tutte donne al momento, non parlano una parola che non sia cambogiano, gli lascio la mia mail perché sono felicissime di vedersi ritratte in b/n sulla loro casa, chissà se riusciranno mai a contattarmi per uno scambio di foto, è una gran festa alla partenza (e quando ripasserò al ritorno tutte pronte a salutare), da lì Ta Veng dista pochissimo, così anche se pomeriggio inoltrato abbiamo modo di prenderci un break in paese, non ci sono veri e propri bar/ristoranti ma più di una abitazione è adibita all’uopo, a prezzi ovviamente irreali, provo a lavarmi mani e viso con l’acqua di un catino e quello che ne esce è di un rosso accecante. Col caldo e il sudore si forma ovunque una crosta rossa che sarà difficile da togliere anche dopo una prolungata doccia, ma qui in mezzo a questi splendidi luoghi il problema non sussiste. Ta Veng è noto al mondo, o ad una piccola parte di esso ma le vicende sono terribili, per qualcosa di poco buono, fu la base operativa e di formazione dei Khmer rossi, Pol Pot, Ieag Sary, Ta Mok e compagnia bella si nascosero qui per dar vita alla loro rivoluzione. Indubbiamente la scelta fu felice, ancora adesso il posto non è di facile accesso, figuriamoci a metà anni ’60. Nel villaggio l’elettricità c’è solo grazie a qualche gruppo elettrogeno, acqua corrente inesistente, si va di pozzi o fiume, ma la benzina si trova, rientriamo a Ban Lung in circa 90’, tutti su strada sterrata a parte gli ultimi 10’ facendo tappa al lago cittadino, dove tanti piccoli gestori di bancarelle o ristorantini stanno attrezzando il bordo del lago con stuoie per la movida serale. Il tramonto regala uno spettacolo molto più bello di quanto in realtà il lago possa offrire e poi dopo circa 200 km è tempo di una sontuosa doccia. Ma oltre 30’ non levano tutta la terra rossa, qui non la si può evitare, occorre conviverci. Per cena tentiamo un ristorante che pare battutissimo, di fronte a quello della sera precedente, ma la qualità rimane scadente, oltre al fatto che avevano terminato varie bevande, compresa l’acqua, così da dovermela procurare a un market nei paraggi. Al solito verso le 21 tutte le bancarelle iniziano a sbaraccare e la città diventa in un attimo vuota e muta, se non fosse per i soliti cani che si danno voce l’uno con l’altro (ma non attaccano mai gli uomini, sembrano tutti molto paurosi nei nostri confronti).      

 

Le rosse ed impolverate strade del Ratanakiri


15° giorno

Colazione nel posto del giorno precedente con medesimi prodotti ma più economica, poi riprendiamo gli scooter in guest house. accorgendoci che qualcosa non va con la benzina, evidentemente nella notte gli inservienti devono averceli vuotati (ci avevano gentilmente offerto di riporli al coperto da loro…), ma poco male, rifacciamo rifornimento a un distributore vero e proprio solo per cambiare una banconota da 100 $, e solo dopo lunga discussione mi forniscono il resto (hanno un cassetto colmo di dollari, dove sarà il problema di un resto?) così si parte per Andong Meas, prendendo la via asfalta in direzione Vietnam e la deviazione nord appena prima di entrare a Bokheo (non c’è indicazione, ma di fatto unico svincolo di grandi dimensioni prima del paese). La strada è se possibile ancora più polverosa di quella del giorno precedente forse perché più trafficata, meno spettacolare, Andong Meas un villaggio senza attrattive (pochi anni fa un tifone ha distrutto tutto, compresi quasi tutti i cimiteri jarai a parte, si dice, quelli sull’altro lato del fiume) se non un ponte sospeso con fondo in legno scricchiolante attraversabile in moto per ritrovarsi su di una isoletta nel Tonlè San. La parte ad est di Andong Meas è differente, costruzioni diverse, scritte “leggibili” anche se non interpretabili, qui la comunità principale è vietnamita e ne facciamo conoscenza presso un ristorante non ancora operativo ma dove qualcuno che sparlicchia inglese si trova. Ci dicono che proseguendo verso est incontreremo un ponte per attraversare il fiume, così prendiamo quella via e andiamo nella zona nord del fiume, ma i percorsi non sono indicati, il fondo disastrato e i pochi che si incontrano nulla sanno dei cimiteri jarai. Alla fine capiamo che il ponte, la gente che vi circola nei dintorni, i percorsi accidentati son sorti in funzione del disboscamento della foresta, quindi di antiche tradizioni non interessa nulla a nessuno, lasciano aggirarsi nei paraggi solo perché rischi sul discorso legname non ne corrono a differenza delle miniere per estrazione di pietre preziose che si incontrano più a sud. Ritorniamo sulla statale coperti di polvere e terra, prendiamo verso est fino alla deviazioni verso sud per il lago Lumkut (non ci sono segnalazioni, circa 4 km fuori Bokheo sulla dx, al primo gruppo di case che si incontrano) e qui facciamo una sosta bevendo qualcosa e rifocillandoci con un sandwich cambogiano acquistato da un paninaro motorizzato. La strada per il lago è sterrata ma in buone condizioni, lungo il percorso si notano le piantagioni per l’estrazione del lattice e dolci colline che nei prossimi giorni dovremo attraversare di cui si dice di un percorso ancora duro. Passato un villaggio di cui non abbiamo trovato nome dopo circa 25 km, uno stretto ponte scavalca un misero fiume (almeno ora nella stagione secca), all’uscita di questo a 200 metri vi è un bivio, per il lago occorre prendere a destra dove al momento alcuni locali stanno attrezzando un piccolo BBQ naturalistico (animale imprecisato squartato posto su esigui supporti di legno sopra al fuoco, minimale ma funzionale) e avanti altri 500 metri sulla sinistra si sale per il lago. Ora è tutto abbandonato, un tempo era previsto perfino un biglietto, non c’è nessuno, il pontile per accedere all’acqua un tempo a mezzo giro di questo lago vulcanico perfettamente tondo è crollato da tempo, vista la situazione evitiamo di scendere in acqua, che sarebbe facilissimo, molto più complesso pensare a come risalire. Bella la vista d’insieme, anche se non c’è nessun promontorio dove scorgere la perfetta forma del lago, peccato. Rientriamo a Ban Lung dove visitiamo l’animatissimo mercato centrale, alimentari ed abiti, ma pare più un mercato africano che uno asiatico, le condizioni igieniche son veramente difficili, strano per questi posti dove anche l’esposizione è sempre curata. Cerchiamo di organizzarci lo spostamento verso la provincia di Mondulkiri con traversata diretta via foresta, percorso descritto ancora più come un’avventura solo da stagione secca che come viaggio, confrontiamo le proposte delle agenzie che lo propongono e ci riserviamo di prenotare l’indomani tenendoci ancora un giorno a disposizione nel Ratanakiri, splendido angolo di Cambogia. Consegniamo gli scooter praticamente spinti a mano per la pochissima benzina nei serbatoi, che si divertano con poco nella notte, poi dopo una lunghissima doccia tonificante e solo in parte ripulente è tempo di cena, altra soluzione differente, che con facilità è meglio dei precedenti ma lascia sempre insoddisfatti. Percorsi oltre 200 km. Sui km riporto sempre un circa perché trovare un contachilometri funzionante è più difficile che trovare parcheggio nel centro storico di una medioevale città europea…

 

    

Koh Nhek, unico incontro con la civiltà nell'attraversamento del Tonle Srepok

 

16° giorno

Energica colazione in un anonimo ristorante a fianco della guest house e coi soliti scooter andiamo al lago Boeng Yeak Lom, la perla di Ratanakiri. Si tratta di un lago vulcanico perfettamente circolare nel bel mezzo della foresta, facilissimo da raggiungere. Fuori Ban Lung 4 km, in concomitanza di una aiuola con statua di famiglia munita di zaino, prendiamo a sinistra per circa un kilometro, lì si trova l’ingresso leggermente rialzato rispetto al lago per un visione tra gli alberi decisamente bella. Anche qui non vi è un punto panoramico per poter rimirare il tutto dall’alto ma in compenso si trovano vari pontili dove far tappa per stendere il telo all’ombra e per accedere con facilità all’acqua, temperatura ottima. Le acque variano i colori dall’azzurro intenso ad un verde fortissimo dove la foresta si specchia, luogo incantato soprattutto di mattina, quindi conviene approfittarne perché nel pomeriggio arrivano i locali e il tutto ovviamente si anima. Tra grandi pranzi con abbondanti bevute e giochi di carte la perfetta armonia naturale viene soppiantata ma poco male, il posto rimane idilliaco, per quanto riguarda cibo e bevande occorre far tappa alle bancarelle del parcheggio, lungo l’anello perfetto e percorribile che lo delimita si trova solamente una piccola rivendita che offre pochissime cose in corrispondenza del centro culturale che espone aspetti rurali del luogo e permette anche ai viandanti di vestirsi come gli abitanti di un tempo nei dì di festa. Dopo svariate ore di relax, quando i pontili si riempiono di vocianti personaggi vari prendiamo la via del ritorno con tappa alla cascata di Kateng prima di rientrare a Ban Lung e definire il passaggio del giorno seguente per Mondulkiri. Trattiamo il passaggio con sosta a Koh Nhek, caricati su di un motorino, zainetto in spalla, zaino sul tunnel coi piedi del guidatore che dovranno fare i miracoli per cambiare, lo zaino del conduttore posto sul cestino anteriore, non si prevede una giornata semplice. Le agenzie della zona offrono tutte lo spostamento fino a Mondulkiri o con stop a Koh Nhek dove si può prendere un minivan, ma fino a lì non c’è nulla in alternativa. In ogni caso il servizio offerto è sempre il medesimo, le agenzie si affidano a conducenti locali, il mattino si partirà tutti assieme, qualsiasi sia l’agenzia con cui si è trattato il passaggio, agenzie che si trovano quasi tutte sulla parallela a sud della via principale. Concordato il passaggio del giorno successivo ci godiamo uno splendido tramonto sul lago cittadino e come ultima cena sul posto optiamo per un ristorante un attimo più lontano dalla nostra guest house ma considerato il migliore e devo ammettere che nonostante la lunga attesa dove consumare un numero esagerato di arachidi fritte offerte la qualità questa volta è di tutto altro livello, oltre al fatto che si possa consultare un menù in inglese con foto e il personale (tutto familiare) parli inglese e si possa così interloquire. Percorsi circa 50 km, un litro di bensina comprato dal solito benzinaio volante di quelli con pompe manuali non a bottiglie lungo la strada.

 

continua...

 

La mia Cambogia I

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