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Birmania: la terra dei monaci

Il monachesimo in una delle terre più devote del pianeta

 

La Birmania è uno dei paesi più devoti del mondo: quasi il 90% dei suoi 53 milioni di abitanti si professa buddhista e si calcola che abbia circa mezzo milione di monaci, un incredibile 1% della popolazione, di cui circa 75.000 sono donne. Il Buddhismo che si pratica da queste parti è il Buddhismo Theravada, più rigoroso e ascetico e diffuso nei confinanti Cambogia, Laos, Thailandia e Sri Lanka (da dove proviene) mentre il Buddhismo Mahayana ha avuto più presa in India, Cina, Giappone, Vietnam, Corea e Tibet (dove ha preso una direzione tutta sua potendo definirsi un Buddhismo a sé stante, il Vajrayana).

 

Un monaco in meditazione alla Shewdagon Pagoda di Rangoon

 

Entrare in un monastero è la cosa più normale per un giovane birmano perché la tradizione vuole che il compito più importante di un genitore sia quello di avvicinare i propri figli alla pratica del Buddhismo, e diventare monaco significa farlo nella maniera più approfondita possibile. Anche gli orfani seguono questo percorso, sia perché adottati dai monasteri che, in caso di adozione da parte di una famiglia, incoraggiati dai propri nuovi genitori. Il primo ingresso presso un monastero avviene per la quasi totalità dei ragazzi in qualità di samonera, cioè di monaco novizio, cosa che avviene tra i 10 e i 20 anni di età a seguito della cerimonia della shinbyu. Solo successivamente, verso i 20 anni e su precisa scelta personale, il novizio può eventualmente diventare hpongyi, cioè monaco ordinato che farà questo per il resto della sua esistenza. Lo stesso percorso può essere effettuato dalle ragazze, anche se di norma questo avviene in  una percentuale molto più bassa di casi.

 

Novizi studiano i sacri testi alla Shwe Yaunghwe Kyaung di Nyaungshwe

 

Entrare da novizio è un po’ come fare un assaggio della possibile vita futura da monaco: di solito i ragazzi entrano in monastero per un mese all’anno, poco dopo la fine dell’anno scolastico presso le scuole statali, prima di tornare presso le proprie famiglie e rifare lo stesso percorso l’anno successivo. Un novizio è ancora un bambino e, sebbene debbano fin da subito imparare il pali – l’antica lingua nella quale è scritto il Canone Buddhista – può corre dietro a un pallone, guardare la tv o giocare ai videogame senza infrangere nessuna regola. Crescendo possono scegliere se rimanere nel proprio monastero, magari di un piccolo villaggio di campagna, o se essere trasferiti in uno più prestigioso di una grande città, dove apprendere anche altre materie come Inglese, Fisica e Matematica, scelta che fa chi tendenzialmente ha già fatto la scelta di diventare monaco ordinato. Gli allievi più meritevoli sono destinati a frequentare l’Università Buddhista di Yangon, dove potranno affinare ulteriormente per anni il loro apprendimento degli insegnamenti Buddhisti. Una volta diventati monaci a tutti gli effetti, il regime a cui attenersi diventa assai più rigido: sono ben 227 i precetti ai quali attenersi, possono dormire solo in dormitori, si svegliano molto presto la mattina, studia in continuazione e devono sottostare a una rigida disciplina.

 

Monaci in fila per l'elemosina del cibo a Mandalay

 

I monaci sono molto riveriti nella società birmana, dando lustro alla loro famiglia di origine. La stragrande maggioranza dei monaci indossa i caratteristici abiti rosso scuro (lo stesso dei pistilli dello zafferano) mentre le donne utilizzano per i loro abiti una stoffa di colore rosa. I monaci mangiano due volte al giorno, a colazione e a pranzo, e non possono più ingerire alcunché dopo mezzogiorno. Di norma escono già all’alba con la loro ciotola – uno dei pochi oggetti personali che possono tenere con sé – per ricevere offerte di riso e altro cibo. Di norma un monaco ha una famiglia di riferimento presso cui si reca ogni giorno. Non è elemosina, poiché è la famiglia che invita il monaco a casa propria: è un sistema che crea profondi legami tra il clero e i fedeli e dà ai laicI la possibilità di “guadagnare meriti” che migliorino il proprio karma.

 

Monaci in fila per l'elemosina del cibo a Mandalay

 

Molto popolare presso i turisti è la lunga e fotogenica fila indiana che i monaci fanno ogni giorno prima di pranzo a Mandalay. Spesso i turisti, specie i cinesi, sono piuttosto sfacciati e non si fanno problemi a “pretendere” che i monaci si mettano in posa per loro, cosa che tendenzialmente fanno di buon grado vista la innata gentilezza unita alla convinzione che il loro credo si possa propagare anche in questo modo. Le foto che vedete in questo articolo sono state scattate dal sottoscritto senza chiedere a nessuno di atteggiarsi. La stessa affabilità i monaci la sfoggiano quando si rendono disponibili – se non addirittura ad attaccare loro bottone – a intavolare una discussione, come mi è successo un paio di volte, desiderosi di discutere del proprio credo con i turisti stranieri, anche al fine di migliorare la propria padronanza della lingua Inglese. Quando vogliono però anche i monaci sanno essere intransigenti, come quando nel 1990 si rifiutarono di accettare le offerte dei militari – che per i motivi spiegati in precedenza equivale quasi a una scomunica - oppure quando, nel 2007, diedero vita alla cosiddetta “rivoluzione zafferano” che portò alla progressiva (ma non definitiva) erosione del controllo militare, portando nel giro di pochi anni alle prime elezioni libere.

 

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