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Asia Centrale - II

Diario di viaggio in Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan

 

...segue 

 

8° giorno

Pessima colazione in hotel (coerentemente con la cena) ed in 3h raggiungiamo Samarcanda, fermandoci dalle parti di Jom dove incontriamo un gruppo di motard locali in sella alle loro HH, ovviamente tutti senza casco. Tra loro anche un gruppo di persone a dorso d’asino, come al solito tutti molto gentili e partecipativi. In città ci fermiamo al B&B Furkat, il primo sorto dopo l’indipendenza, dov’è possibile cambiare soldi e dove si pernotta in un luogo dai mille angoli ed anfratti, posto bello e caratteristico e dove son sempre pronti a darti un thè. Come in tutta la città, spesso manca l’alimentazione elettrica, così è consigliabile avere un posto da dormire dotato di almeno 2 finestre che creino un minimo di corrente d’aria. Prima tappa al bazar di Siob, il più grande della città e dove si può trovare da mangiare qualcosa di tipico che non sia per forza una zuppa nauseabonda. Primo giro della città, conosciuta ovunque, anche da chi non ha mai sentito parlare di Uzbekistan, per entrare in sintonia con le sue tante moschee, madrasse e col suo unico Registan. Prima di una visita dettagliata della città è bello vagare casualmente tra le sue vie ed i suoi tanti negozi e bazar, presi d’assalto dai tantissimi turisti presenti, primi tra tutti italiani e spagnoli. Trovo anche un internet point proprio di fronte al Registan (velocità buona ma tastiera solo in russo). Per cena finiamo in un ristorante di un grande hotel con bella vista sui monumenti in parte illuminati. Al piano terra c’è una grande festa di matrimonio, a cui veniamo invitati, ci liberano perfino un tavolo e facciamo festa coi locali. L’orchestra suona, tanti ballano ed una cantante-ballerina gira per la pista a prendere le offerte per la banda (che viene pagata solo con quelle), tutti son festanti, allegri ed alticci, tutti tranne la sposa, forse ben cosciente di quanto le spetterà dal giorno seguente in avanti. Immagino si trattasse di un matrimonio di gente benestante visto quanto ben di Dio c’era in ballo, ovviamente noi eravamo i messi peggio della combriccola, io raramente avevo partecipato ad un matrimonio in maglietta (non proprio fresca), bermuda e ciabatte, ma nessuno ha lamentato la situazione, anzi al momento del commiato lo sposo ha voluto salutarci ad uno ad uno ringraziandoci vivamente di aver fatto festa con loro. Spendidi usi e costumi locali…

 

Il Viale dei Mausolei a Samarkanda - Archivio Fotoografico Pianeta Gaia

 

9° giorno

Abbondante colazione al B&B all’aperto, poi inizia la visita della mitica Samarcanda. Prima tappa subito al Registan (pronuncia Reghistan, mi raccomando, come ben ci insegna la guida, una ragazza dai modi molto occidentali). Ovviamente poco da dire che non si legga su qualsiasi guida, se non iniziare ad annotare le tante cose costruite dal nipote di Tamerlano, Ulughbek, che più che un comandante in capo fu un ricercatore ed un scienziato, ovviamente ucciso da un complotto. Seconda tappa alla moschea Bibi Khanym, la seconda moglie e quella preferita di Tamerlano e poi da lì pranzo al vicino bazar Siob, con possibilità di variare un minimo il menù. Da qui costeggiando il viale delle tombe si raggiunge uno dei monumenti più belli di Samarcanda, lo Shah-i-Zinda. Insieme di svariate tombe, decorate in maniera splendida, pare un lungo e stretto corridoio in salita con tombe di ogni tipo al suo lato, luogo di pellegrinaggio da parte delle genti locali, quindi il silenzio è particolarmente indicato. Meno famoso del Registan ma forse il luogo di maggior bellezza della città, dedicateci un tempo adeguato. Da qui è possibile passare nella parte vecchia della città (zona nord-est) per arrivare all’osservatorio di Ulughbek. È ancora visibile il lungo piano inclinato su cui scorreva lo strumento per osservare le stelle. L’osservatorio si trova su di una collina preceduto da una grande statua di Ulughbek, proprio dove la città termina. Riattraversiamo tutta Samarcanda per visitare il mausoleo Guri Amir, dove si trovano le lapidi di Tamerlano, del suo maestro spirituale, dei figli e di Ulughbek. Ma il mausoleo è famoso soprattutto per la meravigliosa cupola azzurra scanalata a fianco di un altrettanto splendido minaretto. Fantastici al tramonto, tenetene conto se siete amanti della fotografia. Però le lapidi che si possono vedere non sono quelle contenenti i resti, quelle sono in una cripta non visitabile. Dopo aver fatto un tour de force di Samarcanda la cena ci aspetta presso di una abitazione privata nella zona russa, a ovest della città. Si immagina un qualcosa tipo la casa ebraica di Bukhara, invece il luogo è un gigantesco ristorante della zona sovietica che si fa passare per abitazione ma che di questa nulla conserva.


10° giorno

Solita abbondante colazione al B&B poi in bus destinazione Urgut, cittadina dove sorge un gigantesco mercato, magari non proprio folkloristico ma talmente grande da perdersi. Se vi serve mercanzia per la casa o per il vostro abbigliamento qui c’è da sbizzarrirsi, sempre che amiate i gusti dell'Asia Centrale. Diviso per tipologie di prodotto, si fanno centinaia di metri in mezzo a strettissime viuzze con espositori che ripropongono sempre le medesime cose, sovente di produzione cinese. C’è un grande reparto per i soliti tappeti, di dimensioni gigantesche, ma forse di qualità scarsa. Poi si possono ammirare anche cataste della specialità locale, il cotone, di cui si trova anche l’olio (l’Uzbeksitan ne è un grandissimo produttore, tanto da deviare il corso dei fiumi che correvano verso il Lago d’Aral per irrorarne i campi. Questo ha portato a far in parte essiccare l’Aral, coi danni ben noti a tutto l’ecosistema). Meglio andarci di mattina per trovare più mercanti, ma bisogna andare per vivere la vita di tutti i giorni della popolazione non per cercare di trovarci pezzi splendidi da portarsi a casa come ricordo, a meno che per qualcuno non lo sia un paio di scarpe di dubbia fattura. Il rientro a Samarcanda coincide col pranzo al solito bazar cui si aggiunge un lungo giro per la città con visita alla parte russa, meno caratteristica ma più viva di quella monumentale. Vie squadrate spesso nel mezzo di alti alberi, grandi parchi e tanti negozi come siamo abituati noi occidentali (qui i prezzi non si trattano), uno spaccato completamente differente dalla impressione di città museo che lasciano il Registan ed i luoghi limitrofi. Con un lungo giro (la temperatura qui è molto più mite che a Bukhara) che mi porta in mezzo ad enormi hotel ora semiabbandonati (dopo i fatti di Andijon le multinazioali americani ed anche varie ONG hanno lasciato il paese) rientro nella Samarcanda storica con un percorso che mi porta alle spalle del Registan per tornare poi a rimirare la zona della Shah-i-Zinda, vicino alla quale si trova qualche negozietto che propone belle t-shirt (prodotto che non va molto in Uzbekistan e quindi quasi mai proposto). Visita della moschea Hazrat-Hizr dove decliniamo un gentile invito ad unirsi ad un gruppo in preghiera, moschea da poco ristrutturata e quindi in perfetto ordine. Cena la ristorante Old City, un bel passo avanti dalla sera precedente.

 

Il Mausoleo di Tamerlano a Samarkanda

Il Mausoleo di Tamerlano a Samarkanda - Archivio Fotografico Pianeta Gaia


11° giorno

La partenza di prima mattina da Samarcanda coincide con la partenza dall’Uzbekistan. In bus dopo un’ora si è alla frontiera col Tagikistan, i controli ai bagagli non esistono ma le registrazioni sono lunghe anche perché ci si ritrova assieme ad un gruppo di italiani ed uno di francesi (non propriamente pronti nella compilazioni dei moduli…). Occorre riempire nuovamente il modulo con riportate le info di quello che si ha, solo che qui esiste solo in russo, unica maniera per non sbagliare è copiarsi quello di entrata in inglese segnando bene che si esce e mettendo valori minori sui soldi che si hanno. Procedura non particolarmente lunga anche nella parte tagika, il problema è sempre quello che tutto deve essere trascritto a mano e le lettere son di difficile interpretazione. In Tagikistan ci viene assegnata una guida che rimarrà sempre con noi, pare una cosa assurda o stupida, ma nel corso del viaggio ne capiamo il motivo, viste le difficoltà di ogni tipo (anche legate a forze dell’ordine che fermano di continuo) che si incontrano in uno stato dove sovente le vie non esistono più. Il Tagikistan dopo l’indipendenza del 1991 ha vissuto 6 anni di guerra civile ed i segni si riscontrano ancora ovunque, tanto che nel Pamir si è tornato da poco all’uso dei soldi dopo una stagione di baratto. Prima sosta all’antica Penjikent, antico insediamento sogdiano, del quale però non resta praticamente nulla. Personalmente eviterei questo luogo, ma per i tagiki la loro società deve molto a questo posto e quindi non si scappa. La moderna Penjikent ha ben poco da mostrare, luogo di frontiera dove scambiare qualsiasi cosa e ricavarne soldi per una dura sussistenza, ci serve come luogo dove incontrarci con gli autisti dei mezzi speciali coi quali dovremo andare sulle terribili strade di questo stato. Dopo aver pranzato in una casa locale arrivano un grande camion che fatica a muoversi ed un vecchio furgone Uaz che pare già da antiquariato e che abbisogna di acqua per il radiatore come il mio amico Sam di birra. Dobbiamo sempre viaggiare con circa 10 litri di acqua che ingegnosamente l’autista versa nel radiatore da un imbuto posto nel cruscotto altrimenti il motore cade a pezzi, ma incredibilmente il problema non è questo mezzo che si rivela robusto ma l’altro camion che fatica da morire in salita. E di salita da subito ne affrontiamo, con asfalto inesistente e polvere ovunque per salire al lago Iskanderkul, conosciuto anche come il lago di Alessandro Magno. Fino a quando c’è luce ci riempiamo la vista con gli scenari dei monti Fan, poi al calar della luce la situazione diventa più noiosa e raggiungere il passo a quasi 3000 m è un’impresa. Quando arriviamo il buio è totale e così nemmeno si ha idea del lago, ci dirigiamo nelle turbaze di una ex colonia sovietica che non riceve manutenzione da quando i sovietici se ne andarono. Però i letti ci sono (le reti non del tutto), le coperte anche e pazienza se le latrine si sentono da lontano, la natura qui è sovrana, e per giunta un po’ d’acqua nei lavandini c’è pure. Cena con zuppa liofilizzata e carne mista a patate e peperoni, il tutto di gran lunga più gustoso delle solite zuppine uzbeke.


12° giorno

Sveglia di prima mattina per andare a vedere delle vicine cascate (30’ a piedi), dove si trova anche un albero dei desideri sormontato da tanti piccoli pezzetti di stoffa, uno per ogni desiderio. Visto il posto c’è da meravigliarsi che qualcuno sia giunto fin qui per esprimere un desiderio, forse sarà quello di tornarsene a casa sano e salvo. Dopo colazione, ispezionando il lago mi imbatto in un tester motociclistico della Repubblica Ceca che su di una moto Kentoya sta facendo la Pechino-Praga in solitaria. Il modello, un 250 cc, se il test sarà positivo, sarà posto in vendita dal 2009 anche in Italia, ma ho i miei dubbi che di questa 2 ruote ne vedremo molte. Però il mestiere del personaggio è veramente affascinante, tra l’altro se ne gira con un notebook e con un satellitare ed aggiorna giornalmente il suo percorso ad uso e consumo di chi lo segue via internet. Partiamo da Iskanderkul a passo lento ammirando finalmente il lago dall’alto in piena luce per poi riprendere la strada, o meglio il sentiero, per la capitale Dushanbe. Ma come ci avevano anticipato ci sono dei lavori sulla strada, in un punto stanno costruendo un lungo tunnel dove ci lasciano passare alla faccia della normativa 626. Stanno lavorando, il fondo stradale non si vede perché coperto da un fiume d’acqua, l’illuminazione manca ma si va, però il problema vero lo incontriamo dopo; i cinesi stanno costruendo la strada alla loro maniera, bombardando i pezzi di montagna in più e dove questo avviene il traffico viene bloccato. Visto che qui esiste solo una strada si aspetta (6 ore...) che finiscano i lavori, e fortunatamente la nostra guida (dal nome italianizzato in Stella) se ne va prima a piedi poi scroccando un passaggio alla ricerca di cibo. Tornerà con pollo arrosto per tutti, tra le ovazioni generali. Qui ognuno ha il suo commento su come e quando aprirà la strada, intanto molti camionisti, abituati a questo, se la dormono su materassini al bordo della strada. Arriviamo a Dushanbe alle 21:30 fermi ai tantissimi posti di blocco che solo l’intervento di Stella riesce a velocizzare, il tempo di lasciare gli zaini all’hotel Avesto (soviet style, lunghissimi corridoi degni di Barton Fink) un tempo sede delle ambasciate sovietica e statunitense e si dice strapiena di microfoni e cimici. Perché poi i sovietici avessero un’ambasciata in un pezzo di terra che era loro rimane un mistero. Ma subito, accompagnati anche dalla splendida Zarina (la figlia del boss dell’agenzia che ci ha noleggiato il servizio di trasferimento) andiamo a cenare al Rohart, grande e bella chaykana all’aperto. Qui nella capitale ho anche il tempo per un internet point (dopo una qualche trattativa mi accettano i dollari, non avevo ancora cambiato in somoni) con collegamento veloce a 5 somoni l’ora.

 

Yurte nel Kirghizistan

Yurte nel Kirghizistan


13° giorno

Dopo colazione via per un velocissimo giro di Dushambe, che si sviluppa tutta lungo la prospettiva Rudaki, dove si può trovare da cambiare qualsiasi valuta del centro Asia, oltre ovviamente ad euro e dollari. Ristrutturata di fresco dai bombardamenti della guerra civile, calma e rilassata con le sue strade alberate non è che abbia proprio molto da offrire, quando all’improvviso si apre una gigantesca costruzione che pare piovuta dal cielo, il palazzo di rappresentanza dello Stato. Enorme e bianchissimo, con ancora operai che lavorano alla sua costruzione, pare non centrare nulla con tutto il resto, soprattutto con quello che si vedrà poi di questo stato ancora in condizioni di arretratezza assoluta. Poco oltre sorge la statua di Ismael Samani, considerato il padre della patria, forse l’unica figura che han trovato per rimpiazzare la statua di Lenin. Visti i vari palazzi governativi e qualche timida rimanenza di stella rossa si parte con destinazione Kalaikhum, che disterebbe meno di 300 km, ma che per raggiungerla sarà un’odissea. I primi 80 km sono asfaltati, lungo il cammino nelle tante soste per recuperare l’acqua per il radiatore si scorgono tanti uomini nullafacenti sempre vestiti col cappotto color verde islam, poi lo scenario migliora col peggiorare della strada. I segni della guerra civile iniziano a farsi vivi, campi minati ancora non bonificati indicati da splendidi cartelli con gambe spezzate, ruderi di carri armati lungo il cammino sono visioni standard e con la strada distrutta il grande camion che trasporta una parte del gruppo avanza troppo lentamente, così accumuliamo molto ritardo. Ci si ferma lungo il percorso ad una chaykana che ci offre quel che ha, compreso del pesce immagino e spero del fiume che fiume nelle vicinanze e che segna il confine con l’Afghanistan. Poi riprendiamo la marcia, ma salire il passo Sagirdasht (3.252 m) è come scalare l’Everest in infradito. Il camion grande va più piano di una persona a passo d’uomo consumando il mondo, prima dello scollinamento rimane senza benzina e bisogna rabboccarlo prendendo carburante dallo Uaz. Passata mezzanotte arriviamo in vetta, ma scendendo rimane senza benzina lo Uaz, e così l’unica alternativa è farsi tirare da un mezzo che avanza già di suo a passo d’uomo. Ma si arriva a Kalaikhum, alle 3 siamo presso una casa privata con materassini per giaciglio, acqua calda contingentata ed un buco per i servizi, questa volta senza possibilità di andar per natura perché ci troviamo in un centro abitato. Ma si rimane qui talmente poco che non c’è tempo per pensare a queste piccolezze, compresa quella di cenare. Per le registrazioni ci pensa la nostra guida, avendo dovuto riportare l’elenco completo dei luoghi dove dormire prima di intraprendere il cammino.


14° giorno

Poco dopo esserci messi a dormire è già ora di svegliarci per colazione e per partire con un nuovo mezzo al posto del camion ormai a pezzi. Raggiungiamo il confine afgano, che dista dalla nostra strada solo lo spazio del fiume Pyanj, ed ovviamente si cerca subito di vedere come vadano le cose dall’altra parte. Di strade non c’è traccia per gli oltre 200 km di confine che facciamo ma solo sentieri, ogni tanto si scorge qualche mulo cavalcato rigorosamente da uomini con varie donne a piedi sotto al burka che portano di tutto. In seguito si incontrano villaggi, ma in nessuno di questi c’è l’elettricità, insomma un mondo che rivaluta l’acciaccato Tagikistan. Non mancano però posti di vedetta presidiati da militari e da bandiere afgane sovente stracciate. Ma il nostro osservare si ferma presto, la strada altro non è che un taglio a metà di grandi montagne dove gli spazi per passare sono angusti. In un di questi un vecchio camion Kamaz ha distrutto balestra e sospensione, non si riesce a spostare e tutti si devono fermare, eccetto un motard estone a cavallo della sua Suzuki che passa smontando le borse laterali. Ovviamente il nostro interessamento su chi potrebbe arrivare per rimediare il guasto è considerato come una barzelletta, qui si fa tutto a mano (da qui l’utilizzo di mezzi molto basici e privi di elettronica). I pareri si sprecano, nessun occidentale avrebbe altro rimedio se non gettare il mezzo nel fiume e far passare tutti, ma dopo quasi 6 ore di attesa i camionisti locali riescono a rimediare al guasto col solo utilizzo delle mani, per me degni eredi di Silvan. La giornata è persa, però della montagna di fronte al luogo del guasto conosco ogni singolo sasso, poi continuiamo fino ad un posto di blocco dove si trova anche un arcaico luogo per cenare. Il menù è quel che rimane, per il bere fortuna che abbiamo varie cose al seguito, e non bisogna farsi troppe domande sulle vettovaglie che ci vengono portate. La destinazione finale della giornata è irraggiungibile, dobbiamo provare a trovare una casa privata lungo la strada che ci ospiti anche alla meno peggio, cercando poi l’indomani di registrarci immediatamente alla polizia. 80 km dopo il posto di blocco si trovo un posto che ci ospita, ci sono i soliti materassini e devo dire che il posto è persino accogliente, potendo sfruttare la natura circostante ed un fiumicattolo che passa per l’aia, con splendida cascatina, come lavatoio.

 

continua...

 

Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan - I

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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