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Ekaterina è una cantante di etnia Nenet, che ho conosciuto a Salehard, la cui vita sembra un romanzo.
È nata anni fa (non si dice l'età delle signore) in una chum, una tenda ricoperta di pelli di renna, nella tundra nei pressi di Bovanenkovo. Cercatelo questo posto, se ne avete voglia, su Google Maps. Si trova nel cuore dello Yamal, la grande penisola oltre il Circolo Polare Artico russo. Una landa fredda, inospitale, senza strade, dove d'inverno il termometro scende regolarmente sotto i -30° e solo gente dura come gli allevatori di renne riescono a sopravvivere. Non sempre. Purtroppo sua sorella maggiore, sballottata tra una migrazione e l'altra alle rigide temperature siberiane e con una madre che aveva troppo cose di cui occuparsi per prestare molte cure ai piccoli, era sopravvissuta per un anno, prima di morire per una probabile polmonite. Non passò molto tempo che pure Ekaterina si trovò nella stessa situazione, ormai così grave e debole che i familiari le avevano già preparato la tomba.
Un accampamento Nenet la tramonto - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Poi, quando ormai era solo questione di giorni, l'evento inaspettato: in cielo apparve un elicottero. Non si sa perché ma queste terre pressoché disabitate sono ricchissime di materie prime. Qui la Gazprom, già nei primi anni '70, aveva scoperto un gigantesco giacimento di gas naturale. Forse era per quel motivo che il velivolo si trovava là. Nell'udire il rumoroso velivolo in cielo, la famiglia di Ekaterina cominciò a sbracciarsi in tutti i modi fino a quando non attirò l'attenzione del pilota, che capì che si trattava di una cosa urgente e scese a terra. La famiglia Nenet spiegò le gravi condizioni di salute in cui versava la piccola e convinse l'equipaggio a prenderla con loro per portarla al più vicino ospedale. L'ospedale più vicino era quello di Salehard, diverse centinaia di chilometri più a sud, dove la curarono e la guarirono. Una volta fuori pericolo, Ekaterina venne mandata in un orfanatrofio a Tjumen, circa duemila chilometri più a sud. Il tutto all'insaputa della sua famiglia, che probabilmente – non avendo avuto più sue notizie in un'epoca in cui i cellulari non li aveva ancora immaginati nemmeno il regista di “1997: Fuga da New York” - la credeva morta. Ekaterina restò lì fino a 6 anni di età poi venne rispedita alla sua famiglia d'origine che, quando la vide tornare, rimase a bocca aperta nel saperla ancora al mondo.
Tutti collaborano al menage familiare nei Nenets, anche i più piccoli - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
La gioia della riunificazione con la sua famiglia fu grande al punto che la prima volta che pronunciò la parola “mamma” Ekaterina tremava come una foglia ma non passò molto tempo che la felicità lasciò spazio allo scoramento. I Nenets, come se fossero stati scolpiti nel ghiaccio che caratterizza la Siberia Occidentale, non lasciano trapelare i propri sentimenti. Nessun abbraccio, nessuna parola di conforto per la piccola appena arrivata dall'altra parte del mondo e che, letteralmente, nemmeno sapeva come si faceva ad andare in bagno in un accampamento in mezzo alla tundra. A complicare tutto c'era anche il fatto che Ekaterina era cresciuta in una scuola sovietica dove le avevano insegnato solo il russo e non capiva nulla di quello che le dicevano o si dicevano tra di loro gli altri componenti della famiglia, abituati a parlare in lingua Nenet. Ma soprattutto era una ragazza di città, aveva sempre dormito in un letto e vissuto in un edificio di mattoni, abituarsi a vivere in una tenda, dovendo dare una mano a sua madre nei tanti e impegnativi compiti femminili da svolgere in un accampamento, fu per lei difficilissimo.
Ekaterina in una foto recente - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Per sua fortuna le venne incontro il “patto” stabilito tra le comunità Nenet e il governo sovietico: i bambini Nenets dovevano frequentare la scuola dell'obbligo in collegio dai 7 ai 12 anni, in strutture spesso molto lontane, tornando presso la loro famiglia nei tre mesi estivi. Quando venne il momento di andare a scuola, mentre tutti i suoi coetanei erano tristi perché per loro significava abbandonare il tempo dei giochi infiniti all'aperto, lei era felice di poter andare a vivere a Yar Sale, uno sperduto villaggio di poche migliaia di anime ma per lei bella come una metropoli, lontana dal fango e dalle onnipresenti zanzare della tundra. Inoltre, conoscendo perfettamente il russo – il Nenet non viene insegnato a scuola – era avvantaggiata rispetto ai suoi coetanei e prendeva sempre dei bei voti.
continua...
ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi
Roberto