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Chiunque ritorna dalla Namibia e ha avuto modo di incontrarli, conserva un vivo ricordo degli Himba, detti anche OvaHimba, in particolare le donne. Sarà perché sono considerate tra le più belle del continente africano; sarà per via delle loro elaborate acconciature e per la pelle dal colorito rossastro dato dalla crema che spargono sul corpo. Sicuramente incide anche il fatto che sono una delle poche popolazioni – a meno di non recarsi in aree poco frequentate dal turismo di massa – a conservare un abbigliamento tradizionale che sembra essersi fermato nei secoli, di letterale seminudità. Diffusi tra il nord della Namibia e il sud dell'Angola. Sono prevalentemente pastori seminomadi e appartengono allo stesso ceppo degli Herero, la popolazione namibiana che invece indossa voluminosi abiti di crinolina che paiono catapultati ai giorni nostri direttamente dall'epoca vittoriana (ne ho parlato qui). Non lo si crederebbe nel vedere quanto diversi sono i loro costumi, una differenza dovuta al colonialismo.
Due bimbi di fronte a una capanna - Copyright Pianeta Gaia
Inizialmente erano una popolazione unica. Giunti tra il 1600 e il 1700 dall'Africa Orientale, nel '800 cominciarono a separarsi, anche a causa delle continue aggressioni dei Nama: gli Herero si diressero verso sud in cerca di nuovi territori mentre quelli che poi sarebbero diventati Himba si spostarono in Angola, oltre il fiume Kunene le cui acque fanno da confine tra i due paesi. Quando giunsero i Tedeschi, alla fine del XIX secolo, si piazzarono nelle terre degli Herero, più portate per l'agricoltura. Tutt'ora il paese è diviso dalla Red Line, una barriera costruita nel 1896 per combattere la diffusione della peste bovina che attraversa tutto il paese da est a ovest a nord del quale il bestiame, allevato esclusivamente da neri, circola liberamente e non è vendibile all'estero, cosa che invece è possibile per le fattorie del sud del paese, immancabilmente possedute da coloni bianchi.
Una donna mentre prepara l'otjize - Copyright Pianeta Gaia
Gli Herero, come oggi gli Himba, erano seminudi, e se gli uomini non costituivano un problema, le donne a seno scoperto non potevano essere tollerate dai coloni teutonici, anche se probabilmente il vero motivo che spinse le autorità ad imporre alle donne abiti in stile europeo a dir poco inadatti al clima locale fu il tentativo di mettere un freno alle continue violenze sessuali (per tacere di altre vessazioni che arrivarono a veri e propri campi di concentramento, triste presagio di quello che lo stesso popolo avrebbe fatto qualche decennio più tardi in Europa) di cui si macchiavano i puritani, solo a parole, immigrati tedeschi. Nel 1920 gli Himba riattraversarono il Kunene e si stanziarono nelle poco appetibili aride regioni settentrionali della Namibia, cosa che risparmiò loro le poco gradite attenzioni dei coloni germanici. I ridotti contatti con i bianchi furono il motivo per il quale gli Himba mantennero il loro stile di vita ancestrale, giunto quasi intatto fino a giorni nostri.
L'otjize viene applicato anche ai bambini - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
L'inospitale clima delle regioni che abitano, se da un lato li ha indirettamente tenuti al riparo dalle influenze dei coloni europei, dall'altro ha fortemente contribuito a forgiare lo stile di vita degli Himba. Come spesso capita presso le popolazioni pastoraliste, è una società patrilineare: a capo della famiglia vi è il maschio più anziano, i figli vivono nella famiglia del padre mentre le figlie quando si sposano confluiscono nella famiglia dello marito. Il figlio non eredita il bestiame dal padre ma dallo zio materno, quindi anche il ramo materno della famiglia riveste una notevole importanza, una consuetudine poco comune presso altri popoli ma che garantisce agli Himba dei legami familiari (e quindi degli appoggi) utili per sopravvivere in un territorio così difficile. Negli anni '80 una grave siccità ha sterminato quasi il 90% del bestiame degli Himba, costringendo molti di loro ad abbandonare la pastorizia e rifugiarsi in città come Opuwo dove vivono in baracche, spesso dipendenti dagli aiuti umanitari.
Una scena in un villaggio - Copyright Pianeta Gaia
Come tutte le popolazioni pastoraliste dell'Africa sub-sahariana, gli Himba determinano la propria ricchezza e status sociale in base al numero di bovini posseduti, anche se prevalentemente allevano pecore e capre, più adatte al territorio poco erboso che abitano. Molti si dedicano anche all'agricoltura, sfruttando la breve stagione delle piogge per coltivare mais e miglio, col quale integrano la propria dieta altrimenti basata su latte e carne, benché i bovini siano macellati solo occasionalmente e più che altro venduti per denaro. In queste società l'uomo si occupa degli animali, cosa che lo porta a stare lunghi periodi lontano dal villaggio alla ricerca di pascoli mentre alle donne, e ai ragazzi non in età per vivere da pastore, spettano tutti gli altri compiti: preparare i pasti, andare a prendere l'acqua (che può distare chilometri dal villaggio!), raccogliere la legna per il fuoco e per costruire le capanne, prendersi cura dei bambini e spesso anche mungere gli animali. Un villaggio di norma è costituito da una famiglia allargata, che abita basse capanne semisferiche costruite con rami, fango e sterco di vacca disposte in forma circolare a protezione di un fuoco sacro (akuruwo) e di un recinto per il bestiame.
continua...
ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi
Roberto