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I monasteri dipinti della Bucovina - I

Gioielli patrimonio dell'Umanità

 

Quando Stefano il Grande (da queste parti chiamato Stefan cel Mare) vinse una decisiva battaglia contro i Turchi oltre 5 secoli fa, decise di ricordare l’evento con la costruzione di un monastero dalle mura riccamente affrescate. Poi ne vinse un’altra e fece erigere un altro monastero, idem per la terza vittoria e così via, fino alla 46ima sconfitta impartita agli Ottomani.

 

La chiesa dipinta di Voronet - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Fu così che la Bucovina, una piccola regione boscosa situata a ridosso del confine tra l’Ucraina meridionale e la Romania settentrionale della regione della Moldavia (da non confondersi con l’omonimo e confinante stato), visse questo anomalo boom edilizio, riconosciuto nel 1993 dall’UNESCO che dichiarò patrimonio dell’umanità otto di quelle chiese - tutte costruite tra il 1487 e il 1581, le prime direttamente dal grande condottiero, le altre dal suo successore Petru Rares e altri nobili dell’epoca –, di fatto nate come trofei di guerra.

 

Dettaglio della parete orientale - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

I monasteri principali e artisticamente più interessanti sono quattro: quelli di Voronet, Humor, Moldovita e Sucevita. Il primo monastero che ho visitato, di cui oggi rimane solo la chiesa, è stato quello di Voronet, il più antico dei quattro e probabilmente l’edificio religioso più famoso del paese, fatto costruire direttamente da Stefano il Grande per ricordare una vittoria del 1475. Realizzata in appena 4 mesi, la chiesa, lunga poco più di 25 metri, è caratterizzati da affreschi, sia esterni che interni, contraddistinti da un vivido colore azzurro ottenuto dal trituramento di lapislazzuli. Mentre gli affreschi interni sono stati interessati da rifacimenti, così come l’arredo religioso, è l’esterno, che mescola elementi tipici dell’architettura bizantina a quella gotica, a rimanere impressa, soprattutto la grandiosa scena del Giudizio Universale della parete occidentale, che le ha fatto meritare il soprannome di “Cappella Sistina d’Oriente”.

 

La parete meridionale col Giudizio Universale - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Stupisce non solo per la bellezza ma anche per il magnifico stato di conservazione – favorito anche da tetti allargati - nonostante l’esposizione agli agenti atmosferici, che hanno invece pesantemente danneggiato soprattutto la parete settentrionale, più esposta ai forti venti e piogge provenienti da quella direzione, dove i dipinti sono ormai poco visibili. Gli affreschi sono estremamente “esplicativi”, quasi come dei giganteschi fumetti: palese è l’intenzione didascalica e di trasmettere l’insegnamento anche a chi non aveva gli strumenti per leggere i sacri testi. Quest'opera d'arte non ha dovuto sopravvivere solo agli agenti atmosferici, ma anche anche all’abbandono decretato, verso la fine del XVIII secolo, dagli Asburgo (che volevano sostituire il cristianesimo ortodosso con quello cattolico) che cacciarono i monaci che vi risiedevano. Poi seguì il periodo sotto l'influenza sovietica e pertanto l’edificio rimase abbandonato fino al 1991, quando una comunità di suore tornò a soggiornarvi e a prendersene cura.

 

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