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Le abitazioni tradizionali più belle del mondo - IV

Stavolta vi portiamo in Scandinavia, Etiopia, Mongolia e Medio Oriente

 

Le case con l'erba sul tetto sono una caratteristica della Scandinavia che si risale sicuramente all'epoca dei Vichingi ma forse è pure precedente, addirittura alla preistoria. Queste abitazioni sono costruite utilizzando materiali locali disponibili a costo zero ma che richiedono una discreta quantità di lavoro. Il ruolo più importante in queste costruzioni lo svolge la corteccia di betulla. Posizionata in diversi strati sul tetto, ha un buon effetto isolante e non fa filtrare l'acqua. Inoltre è piuttosto pesante, cosa che apporta due vantaggi: aumenta la pressione sui tronchi della struttura, rendendoli più impermeabili, e conferisce maggiore solidità alla struttura che, nel periodo invernale, dovrà sopportare il peso delle copiose nevicate caratteristiche di quelle latitudini. Le zolle di terra, sulle quali poi crescerà l'erba, vengono posizionate sopra alla corteccia per tenerla ancorata al tetto. Lo strato di zolle è di circa 15 centimetri: di più sarebbero troppo pesanti, di meno non permetterebbero la crescita della vegetazione, si seccherebbero d'estate e si sfalderebbero in poco tempo.

 

Case con l'erba sul tetto, Isole Faroe - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Un popolo dalle interessanti abitazioni tradizionali sono i Dorze, nell'Etiopia meridionale. Le loro case, ricoperte dalle larghe foglie dell'enset (o falso banano), appena costruite sono alte una dozzina di metri. Assomigliano vagamente ad una testa di elefante, animale sacro per questa etnia ora non più presente in quelle terre. Le case vengono "accorciate" dalla base man mano che, causa l'opera distruttiva delle termiti, i pilastri vengono danneggiati. Conseguentemente si può dedurre l'età dell'edificio in maniera inversamente proporzionale alla sua altezza. Le capanne nella foto seguente sono di circa 45 anni la più alta e di circa 95 la più bassa, ormai adibita a cucina esterna. Il rivestimento di foglie di banano viene periodicamente sostituito, ogni 3/4 anni.

 

Le abitazioni dei Dorze, in Etiopia Meridionale - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Chiunque è stato in Mongolia o in altri paesi semidesertici dell'Asia Centrale avrà sicuramente visto una yurta, probabilmente vi avrà anche passato qualche notte. In realtà la parola yurta è di origine russa e ai mongoli non farà piacere che la chiamate così, meglio utilizzare il nome locale che è gher. Si tratta di tende costruite, di norma, disponendo dei pali di legno incrociati a x in un circolo. Poi si piantano due pali centrali ai quali poggiano i pali di sostegno che si uniscono al telaio esterno. Terminata la struttura, tutto viene ricoperto con stuoie e tappeti di feltro: più saranno e più l'interno sarà isolato, fattore non secondario in terre dove il Generale Inverno la fa da padrone. Sul pavimento tappeti e panni di feltro. Il tutto è facilmente smontabile, trasportabile e velocemente rimontabile, aspetti importanti per una popolazione nomade che abita delle terre dal clima che non permettono di poter passare una notte all'addiaccio e spesso battute da forti venti.

 

L'interno di una yurta - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

A proposito di tende, un'altra tipologia che potreste aver avuto modo di incontrare nei vostri viaggi è quella usata dai Beduini, la popolazione nomade che abita da millenni i deserti del Medio Oriente. Costruite utilizzando delle stoffe nere, spesso con striature più chiare, ricavate dalle donne dalla lana di pecore e cammelli, sono piuttosto grandi e con diversi ambienti separati dove poter accogliere ospiti, come vuole la tradizione, e allo stesso tempo garantire l'immancabile riservatezza delle donne delle popolazioni islamiche. Hanno aperture flessibili, in modo da adattarsi ai cambiamenti della direzione del vento e convogliare l'aria fresca o proteggere gli ambienti dalla sabbia, a seconda. Come tutte le tende delle popolazioni nomadi sono pensate per permettere una veloce costruzione e la facilità di trasporto.

 

Tenda beduina nel deserto del Wadi Rum, Giordania - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi

Roberto CORNACCHIA

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