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Namibia in autonomia - I

Notizie utili per attraversare questo magnifico angolo di mondo

 

Grande circa due volte e mezzo l'Italia, con circa 2.000.000 di abitanti (di cui il 30% nella capitale), la Namibia è uno dei pochi paesi al mondo che offre la possibilità di ammirare il deserto (considerato il più bello del mondo), la savana e i suoi animali (il parco di Etosha è uno dei maggiori parchi africani) e la foresta pluviale (nella stretta lingua di terra del Caprivi). Inoltre è possibile conoscere popolazioni africane come Himba, Boscimani, Herero che ancora seguono lo stile di vita tradizionale.

 

La Namibia si presta molto bene ai viaggi in autonomia: non ci sono problemi di sicurezza (a parte qualche quartiere della capitale), l’inglese è la lingua ufficiale, il paese (per gli standard africani) è piuttosto ricco (notevoli le risorse minerarie) e il tenore di vita dei locali è più accettabile che nella maggior parte degli stati del continente nero. Tra ottobre e novembre c'è la "piccola stagione delle piogge", durante la quale ho preso un acquazzone e mezzo. Altra cosa è la stagione delle piogge vera e propria, che va da gennaio ad aprile, quindi il periodo ideale per recarvisi è tra maggio e ottobre.

 

Essendo posizionata sul Tropico del Capricorno, le stagioni sono invertite rispetto alle nostre. A causa della corrente gelida del Benguela che lambisce le coste, più ci si avvicina al mare e più è freddo: si consigliano pile e pantaloni lunghi sia di giorno che di sera e nelle fredde notti. L'interno è decisamente secco e ideale di giorno (t-shirt e shorts): la sera si varia da luoghi dove dormire in tenda con la t-shirt (nel sud) ad altri dove dormire col pile dentro al sacco a pelo.

 

Le strade sono in buono stato (per l’Africa): le cosiddette highway sono in realtà delle semplici strade asfaltate, comunque ben tenute e senza buche (limite dei 90km/h e si pedala tranquilli perché – in tutto il paese – le highway sono recintate e il pericolo che il bestiame attraversi la strada è quasi assente). Le altre sono strade sterrate. Alcune non hanno nulla da invidiare alle strade in asfalto: spesso sono più larghe e comunque soggette a frequenti manutenzioni. Alcune sono più ghiaiose, altre meno; altre sono sabbiose.

 

Guidare su queste piste non è come guidare sull’asfalto (limite 60km/h) però con un po’ di prudenza ci possono riuscire tutti. Certe piste, quelle dei parchi o nelle zone più remote, non sono recintate e quindi occhio a bestiame e selvaggina che possono tagliare la strada da un momento all'altro. È ovviamente sconsigliato girare col buio: sia per motivi di sicurezza (animali che – abbagliati – si piantano in mezzo alla strada) che per motivi di opportunità (il rischio di attraversare paesaggi stupendi e non goderseli è alto). Se non diversamente specificato, le piste sono perfettamente praticabili da normali veicoli a due ruote motrici, anche all’interno del parco di Etosha e quindi, se non si ha intenzione di fare strade per le quali è obbligatorio un mezzo 4x4 (nel mio itinerario solo il tratto da Sesfontein a Purros), si può benissimo optare per un meno costoso veicolo normale.

 

Essendo le piste spesso sassose, il rischio di foratura è più alto che su strade asfaltate: alla partenza farsi spiegare come si fa (nel pick-up non ne era così immediata la comprensione…): a noi è andata abbastanza bene, avendo dovuto cambiare la gomma una sola volta. È bene tenere sempre una tanica piena di benzina nel caso non si trovi il distributore in tempo, due se si fa dell'off-road (dove il mezzo consuma di più). Fuori dalle città si incontra in media un'auto ogni mezz'ora, anche meno.

 
La surreale foresta di kokerboom, dalle parti di Keetmanshoop - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

La surreale foresta di kokerboom, dalle parti di Keetmanshoop - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Avevamo un pick-up Nissan a cabina singola (ideale per 2 persone) con cassone cabinato in cima al quale è montata una tenda con apertura a libro che ogni sera si predisponeva in 5 minuti. Il mezzo era fornito di tutto il necessario per il campeggio: tavolo, sedie, fornello, stoviglie, frigorifero, 1 tanica per l'acqua (piena), 2 taniche per la benzina (vuote), 2 ruote di scorta, compressore per gonfiare le ruote (se vai nel deserto – e a Sossusvlei non puoi non andarci – è caldamente consigliato sgonfiarle) e attrezzature varie. Eventuali aggiunte di materiale sono sempre concordabili. Noi abbiamo anche noleggiato un telefono satellitare, in caso di difficoltà (nelle città e sulle strade principali usavamo il nostro normale cellulare: al di fuori non c’è copertura) potevamo chiamare 24h/24h il noleggiatore (che magari ci avrebbe messo due giorni per raggiungerci…).

 

I pasti ce li siamo portati dall’Italia: alimenti in scatola, minestroni, riso e paste precotte in buste. Nelle città i supermercati erano abbastanza forniti e si potevano trovare cibi freschi. Ovviamente qualche volta abbiamo anche assaggiato la cucina locale, dove spiccano le carni della selvaggina locale. Ho provato il filetto di kudu e l’orice, deliziosi, mentre non posso dire la stessa cosa della zebra (forse era un taglio meno pregiato) e del coccodrillo (in realtà talmente coperto di salse che non ho capito che sapore avesse). Essendo il paese in gran parte arido, la maggior parte di frutta e verdura viene importati dal Sud Africa e quindi costicchia. Gradevole il bintol, carne essiccata da smangiucchiare come le brustoline. Una cena costa come da noi una pizzata.

 

I campeggi costavano tra i 10/20 euro a piazzola. Quasi sempre ottimamente tenuti (meglio che in Italia), con piazzole enormi e angolo barbecue in muratura, normalmente dislocati in scenari mozzafiato: cenare sotto alberi con chiome di una 50ina di metri quadrati oppure fare colazione con il sole mattutino che tinge i panorami circostanti ripaga della (relativa) scomodità del campeggio. In ottobre era consigliato prenotare solo i campeggi dentro ai parchi (Sossusvlei, Etosha, Waterberg Plateau), in agosto invece è meglio prenotare anche in altre località battute.

 

In teoria il campeggio libero è vietato (anche se mi chiedo chi venga a contestartelo visto che in certe zone non si vede anima viva per km) però molte fattorie (sotto la “red line” tutte gestite da bianchi e quindi ben organizzate) destinano qualche frazione delle loro immense terre a questo scopo e quindi non è necessario ricorrervi. Qualche volta abbiamo evitato il campeggio (perché era freddo, perché pioveva o perché non avevamo voglia di montare la tenda): 4/5 notti su 17. I prezzi degli alberghi variano a seconda della zona ma i prezzi rimangono piuttosto contenuti, se uno non cerca la sistemazione di lusso. Siamo passati dagli 80 euro per una stanza con colazione in un albergo nuovo e pulito ad Aus (zona poco turistica) a 45 euro per un albergo più bello, con piscina e palme, a Otjiwarongo. Se viaggiate da soli, vengono sicuramente utili le guide della InfoMap, considerate le più dettagliate per questo paese.

 
Le strane rocce del Giant

Le strane rocce del Giant's Playground - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Windhoek. Sorta nel 1800, i maggiori punti di interesse sono la chiesa luterana Christuskirche in uno stile misto tra il neogotico e l'art nouveau e l'Alte Feste, un fortino tedesco. Problemi di sicurezza potrebbero sorgere nei quartieri più poveri della città, come Katutura che, rivolgendosi alle persone giuste, è visitabile in tranquillità. È inevitabile passarci visto che qui ha sede l'unico aeroporto internazionale del paese ma c'è chi le dedica una giornata per visitarla, cosa che secondo me può avere senso solo se uno ha bisogno di recuperare le forze dopo il volo. Noi, provenendo dall'Europa e quindi non avendo nemmeno il problema del jet lag (stesso fuso orario dell'Italia in inverno) abbiamo ritenuto che valesse maggiormente la pena dedicarlo ad altro, abbiamo ritirato il mezzo e siamo partiti senza ulteriori indugi per il sud.

 

Keetmanshoop. 500 km a sud di Windhoek, è la base per un paio di gradevoli escursioni che però, da sole, non meritano di farsi tutti quei chilometri, a meno che uno non debba comunque passarci avendo come successiva tappa il Fish River Canyon, come nel nostro caso. Più o meno a metà strada, abbiamo fatto una deviazione di una cinquantina di chilometri per Hoachanas, dove secondo la guida avrebbe dovuto esserci un centro artigianale di tessuti, anche per il gusto di uscire per un po' dalla strada principale. Niente di particolare ma qualche bel paesaggio, qualche cumulo di sabbia rossa e i primi alberi-condominio, abitati da voluminosi nidi collettivi. Giunti nel paese abbiamo appreso che il centro si era spostato a Windhoek, visto che lì ci passavano troppi pochi turisti.

 

Foresta di kokerboom. Sorge ad una quindicina di chilometri dalla cittadina ed è formata da circa 250 di questi strani alberi, con un'età massima di 200/300 anni, dalla forma di ombrello rovesciato, disseminato su un territorio cosparso di grossi massi rossastri che rivelano la presenza di ferro. In inglese detti quiver tree, cioè alberi faretra, perché dai suoi rami i Boscimani ricavavano questo tipo di utensile, sono alberi piuttosto diffusi in tutta l'Africa ma solo in Namibia si può trovare una foresta naturale di queste dimensioni. Alti fino a 9 metri, hanno una corteccia giallastra e cerosa che protegge la pianta dal forte calore e dalla conseguente evaporazione. Non distante dalla foresta si trova il Giant's Playground (il campo da gioco del gigante), una vasta zona di rocce di dolerite rossastre dove i giganteschi massi sembrano essere stati disposti per divertimento gli uni sopra gli altri da una forza superiore. La zona è molto scenografica e punteggiata da qualche kokerboom isolato. Attenzione a gironzolare tra i massi: non essendoci un sentiero ben definito ed essendo le auto parcheggiate in un punto che poi rimane coperto allo sguardo, non è difficile perdere l'orientamento.


Un simpatico, e per niente timido, suricati - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

Un simpatico, e per niente timido, suricati - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Il pernottamento a Keetmanshoop è avvenuto presso la Quivertree Forest Rest Camp, una fattoria dagli strani bungalow dal tetto semisferico in resina, ai quali andrebbe richiesto il permesso per visitare i posti sopra descritti, se uno non è loro cliente per la notte. Ma la sorpresa l'abbiamo avuta la mattina seguente, quando siamo andati a pagare prima di andarcene: un facocero sdraiato a prendere il fresco nella cucina esterna, dei suricati che praticamente ci sono saliti sulle mani e, dulcis in fundo, un ghepardo semi-addomesticato che, entrati nel suo recinto, si è lasciato accarezzare mentre beveva il latte mattutino.


continua...

 

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Roberto CORNACCHIA

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