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Laos - VII

Dettagliato diario di viaggio nel montuoso e variegato stato indocinese

 

...segue 

 

25° giorno

Colazione di fronte alla GH, poi cambiamo base rimanendo sempre nello stesso villaggio ma scegliendo un bungalow che non da direttamente sul fiume ma sul lato interno della via principale, dotato di comode amache sulla terrazza d’ingresso. Il titolare chiamato Papa da tutti fa di tutto, da albergatore ad agenzia di viaggio, internet point e ristoratore, forse per il fatto di accompagnare qui da lui anche una coppia tedesca già incontrata svariate volte lungo il cammino non ci fa pagare il noleggio bici con le quali partiamo per l’esplorazione dell’isola e nel pomeriggio di Don Det. Pagata la tassa di soggiorno, entriamo nella parte ovest di Don Khon e rimiriamo la locomotiva francese che trainava i treni che attraversavano le isole (la storia della costruzione delle ferrovia è narrata in vari pannelli con traduzione in inglese) poi ci dirigiamo a Tat Somphamit anche conosciute come le cascate di Li Phi. Distano poco più di 1 chilometro dal villaggio, si entra pagando un biglietto di 20.000k e 1.000k per il parcheggio delle bici, il luogo pare subito turistico perché bar e ristoranti si susseguono a bancarelle dove vendono souvenir, soprattutto t-shirt, ma la passeggiata per le cascate è cortissima. Lo spettacolo è inaspettato, il grande, maestoso e placido Mekong dà sfogo al suo cammino riversandosi in varie cascate e rapide che poi si riprendono in uno stretto canyon, decisamente non navigabile ma percorribile in torrenting, attività alla quale molti giovani escursionisti stanno preparandosi (si può prenotare seduta stante, poi verificheranno la disponibilità per la giornata). Il luogo ha una valenza importante per gli abitanti del posto perché le rapide secondo la leggenda intrappolano gli spiriti cattivi lasciando in seguito tranquillo il fiume. Spiriti o meno, il posto è affascinante e se solo si vede il fiume qualche chilometro a monte o valle pare impossibile che questo tratto sia ovunque coperto di passaggi del genere. Dopo aver gustato un’enorme noce di cocco, da qui sempre in bici prendiamo il sentiero interno destinazione Ban Han Khon, il villaggio all’estremo sud dell’isola e del Laos, luogo di una pace e tranquillità fuori dal tempo, base di partenza per l’escursione ai delfini dell’Irrawaddy, enormi delfini di acqua dolce caratterizzati dal muso tondo. Al molo costruito a suo tempo dai francesi è possibile affittare imbarcazioni per l’escursione qui dove il fiume torna a unire i suoi tanti canali, l’escursione dura indicativamente 60 minuti, sul posto costituiamo una piccola armata brancaleone con gente proveniente da tutto il mondo, così una giovane coppia slovena ci appare qui come i nostri vicini di casa. Non contrattate l’escursione all’arrivo sull’isola a Ban Khon perché vi chiedono cifre approssimativamente del triplo rispetto a quanto vogliono i pescatori del posto, oltre a essere sicuri che questi soldi vadano direttamente a loro. I delfini non sono facili da avvistare, non tanto perché in forte dimunizione quasi al limite di estinguersi, ma perché emergono qua e là senza una logica e il fiume è percorribile solo in una parte, il lato laotiano, non è possibile spingersi in quello cambogiano, di cui si vedono alcuni villaggi sulla sponda. I barcaioli sono bravi a udire le voci dei delfini che stanno per emergere a respirare, così piano piano anche noi entriamo in sintonia con queste sensazioni, però avere la tempistica per fotografarli è quasi impossibile, questi delfini non vengono a giocare a fianco delle imbarcazioni, anzi tendono a spostarsi da queste. Nel mezzo del fiume, il caldo si fa intenso visto che la barca su cui mi muovo non ha ripari (alcune hanno una piccola tettoia, altre no), ma la vista dei musi di questi strambi delfini riappacifica col grande fiume e quando ritorniamo sull’isola non si può non rimanere da queste parti a riprendersi in uno dei piccoli ristoranti con vista sul fiume. L’Alounvanmai è l’ideale se non si ha fretta, ritorniamo alle visite con una vecchia e minuscola locomotiva giapponese che giace sul luogo dove poter apprenderne la storia, da qui ci inoltriamo nel sentiero che tornando a nord prende ad ovest destinazione Kong Ngay, l’unica vera e proprio spiaggia dell’isola con tanto di sabbia stile riviera adriatica. Si trova proprio alla fine del canyon dove corre intrappolato il Mekong in uscita da Li Phi, ma noi ritorniamo in paese e tagliando dal vecchio ponte adibito a percorso ferroviario (ora i binari non ci sono più) entriamo nell’isola di Don Det, il luogo della movida laotiana. All’uscita del ponte seguiamo la via principale (ovviamente sulle isole non c’è traccia di asfalto) arrivando al molo dove le navi venivano rimesse in acqua scese dal treno e dove iniziano a trovarsi i tanti locali per i turisti, guest house e bar/ristoranti. Più si va a nord più il posto pare il vero e proprio divertimentificio della zona, a qualsiasi ora del giorno e presumibilmente delle notte tutto è aperto e a disposizione così ci fermiamo in uno dei locali all’estremo nord, difficile da distinguere uno dagli altri, e dalla frequetazione “mondiale”. Si può far tappa alla spiaggia (ma in pochi si avventurano in acqua), bere, mangiare, ballare, insomma far casino indisturbati e il fatto che le guest house stiano diventando sempre più numerose è segno che il luogo è particolarmente apprezzato. Per rientrare scegliamo il versante ovest, chiamato banalmente "sunset boulevard", nome però appropriato perché il tramonto regala uno spettacolo splendido, tra le tante sgangheratissime guest house rincontriamo anche Saverio, l’italiano di Jesolo che qui passa il suo periodo invernale, poi pedalando speditamente raggiungiamo il ponte tra le isole da dove una fitta parte di viandanti ammira un fantastico tramonto. Ci fossero, verrebbero distribuiti i bigliettini numerati spaccacoda, il ponte funge da gradinata naturale per questo spettacolo tra sole, fiume e montagne sullo sfondo, con le piccole imbarcazioni dei locali a solcare le placide acque del Mekong. Ma appena il sole scende il buio la fa da padrone, l’illuminazione pubblica a Don Khon non c’è, le guest house e i ristoranti che sono sulla strada danno una mano a muoversi evitando le buche con le loro luci interne, meglio avere al seguito la propria torcia. Ceniamo, ottimamente in un ristorante oggi aperto e con diversi piatti succulenti, ma qui è meglio non fare affidamento per il domani su quello che si incontra oggi. A Don Khon dopo le 21 non vola più una mosca, i rumori che si sentono arrivano da Don Det e seppur attenuatissimi durano di fatto per tutta la notte.

 

Le cascate di Li Phi

 

26° giorno

La fretta in questo luogo è totalmente sconosciuta, così mentre attendiamo di far colazione ci godiamo i colori splendidi della mattina mentre la gente del posto si lava al fiume (nonostante abbiano tutti i bagni in casa) e nel frattempo lava la verdura e le vivande varie. Il Mekong come flusso di vita all’ennesima potenza, insomma. Diciamo che un’oretta per far colazione ci sta tutta, qui dove il tempo deve essere goduto e non gettato in futili corse, poi andiamo a piedi a visitare le rapide a est dell’isola avendo appreso che attraversando la piccola isola di Don Som (privata, ma raggiungibile su di uno scassatissimo ponte) si accede a questa ennesima caduta del fiume e passaggio precluso alle imbarcazioni. Costeggiamo per interno la parte nord-est dell’isola passando a fianco dei tagliatori di noci di cocco, una piccola catena di montaggio senza macchinari, ragazzi agili salgono sulle piante, tagliano e legano le noci e le calano a basso dove donne e ragazzi le puliscono togliendo la scorza (agli uomini viene lasciata la pesca con le barche, oltre alla gestione della strutture a contatto col turismo). Il numero di frutti è incalcolabile, vien da chiedersi come facciano questi alberi a produrne così tanti, le parti sottostanti alle tipiche abitazioni laotiane sono invase da un quantitavo incalcolabile di noci di cocco. Raggiungiamo l’isola di Don Som dove non è consentito entrare con bici o scooter, pare in stato di abbandono anche se ufficialmente dovrebbero attrezzarla per un turismo più esclusivo che altrove, in breve arriviamo alle rapide che sono molto più ridotte di Tad Somphamit, di fatto costituite da una sola grande cascata molto larga denominata Etouod (ma sul nome non garantisco). All’uscita dell’isola sorge in posizione strategica sulle rapide un ristorante che però non ha praticamente nulla da servire, così decidiamo di rientrare alla base ma attraverso le risaie asciutte incontrando branchi di bufali che pian piano si stanno dirigendo verso le acque del grande fiume. Zigzagando a caso sul percorso interno che un tempo faceva da base per la ferrovia, una volta giunti a Ban Khon ci rifocilliamo in un ristorante che serve ottimi frullati misti al caffè. Lentamente ce ne torniamo alla guets house per finire la giornata spaparanzati sulle amache a disposizione sotto al portico antistante il bungalow, prima di ammirare uno splendido tramonto che costringe a infiniti scatti fotografici. Dal ristorante della guest house, di fatto una palafitta sul fiume, si gode di una vista privilegiata e così il posto diventa tappa di un buon numero di viandanti, ormai ci conosciamo tutti se non di persona almeno di vista. Dopo l’utilizzo dei computer della guest house per una veloce navigazione in internet, è tempo di cena e finiamo sempre nella parte a est del paese, qualità minore rispetto al giorno precedente ma qui i ristoranti alla sera sono aperti a turno, nonostante spesso chi ci lavora dentro sia sempre la stessa gente. Luci che si riflettono sul fiume in veloce spegnimento se volete approffitarne per scatti fotografici consigliabile farlo prima di cenare, altrimenti l’illuminazione lascia spazio al buio di Don Khon e sul lato sud anche di Don Det. Fortuna che la luna splende alta in cielo e pian piano abituandosi si può girare quasi come se ci si vedesse benino.

 

Meritato relax a Don Det

 

27 ° giorno

L’ultimo giorno vero e proprio di Laos decidiamo di godercelo al ritmo rilassato di queste splendide isole, quindi colazione a velocità da bradipi al solito posto con un gigantesco pancake alla nutella, accompagnato dal solito caffè laotiano che spesso al sud viene affiancato dal the servito come un dipiù alla colazione. Dopo aver dato indicazioni sui luoghi di maggior interesse a un gruppo spagnolo, aver consigliato alcuni cechi (repubblica Ceca per intenderci) e aver salutato la coppia tedesca in partenza per la Cambogia, decidiamo di far giornata in totale tranquillità comodamente a riposo sulle fide amache. Le fatiche maggiori sono alzarsi per andare a comprare qualcosa da mangiare o bere (per questo le noci di cocco sono fantastiche) ma soprattutto svoltare le tantissime pagine dei libri in lettura. Probabilmente questo è proprio lo spirito giusto per gustarsi le 4.000 isole del Mekong, una pace assoluta che contagia chiunque decida di fermarsi per più di una giornata, a fianco di gente fantastica che non nega mai né un saluto né un sorriso e un clima in questo periodo dell’anno perfetto, sole di giorno ma non caldo eccessivo mentre di sera la temperatura cala ma permette di starsene a bordo fiume in maglietta e nulla più, umidà zeroinsetti idem. Ma dopo tanto riposo scelgo un posto ideale per attendere il tramonto, il sole pian piano incendia il Mekong in modo incredibile, tanto che l’acqua pare veramente fuoco, nel frattempo le donne che vanno a far scorta d’acqua regalano un contrasto incredibile, mentre le barche dei pescatori che tornano alla base spezzano l’immagine che pare finta dando movimento a un quadro d’autore. Anche questa sera ci troviamo in tanti a fotografare questo spettacolo naturale, tanto che anche i fotografi diventano uno spettacolo nello spettacolo. Per cena ritorniamo al ristorante dove incontriamo alcune persone con cui avevamo condiviso alcuni tratti in precedenza, e abbiamo la conferma come la cucina di Sekong abbia creato problemi non solo a noi! Finiamo di nuovo a dare info sull’isola di Don Khon agli amici di qui, incuriositi dal fatto che domani rientreremo pian piano verso casa senza proseguire a sud, la cosa più normale da fare in questo posto. Ma non vogliamo farci ulteriormente del male e dopo un giro di saluti è tempo di rientrare, ultima notte laotiana in vista.

 

Il tramonto a Don Khon

 

28° giorno

Colazione al solito ritmo lento poi, dopo un veloce giro del villaggio, è già ora di imbarcarci per ritornare a Pakse. Il viaggio di ritorno lo abbiamo preso qui in guest house trattando con Papa che fa di tutto risparmiando decisamente rispetto agli altri viaggi offerti sull’isola, in più si parte proprio da qui perché Papa usa la sua imbarcazione. È un ciclo continuo il suo, parte con noi alle 11 appena rientrato da un'escursione di 3 ore alle rapide con le ragazze spagnole che stazionavano anche loro alla guest house, 30 minuti e siamo a Ban Nakasang che ora sembra enorme e permeata da una confusione incredibile, è sempre Papa, dopo averci salutato come fossimo grandi amici di una vita, a trovarci il bus giusto (non ci sono quelli di linea in paese ma solo sulla statale che va da Pakse al confine, ma infiniti bus o minivan vari) col quale rientriamo, molto lentamente, verso Pakse dove arriviamo dopo tre ore e in ritardo scaricati alla stazione dei bus sud. Di corsa con una specie di tuktuk arriviamo giusto in tempo all'hotel a ritirare i biglietti per Bangkok (viaggio completo circa 14 ore, comprese soste e passaggio in frontiera, volendo la parte thailandese si può fare in treno) comprati in precedenza. Da qui partiamo su di un minivan verso Vang Tao, posto di frontiera laotiano che raggiungiamo in circa 45 minuti, le operazioni in dogana sono velocissime, dopo a piedi andiamo al confine. È praticamente tutto chiuso nella zona laotiana, banche comprese, così cambiare i kip è possibile solo con le guide che ci accompagnano da un posto di frontiera all’altro, alla fine lo riusciamo a fare una volta regolarizzato l’ingresso in Thailandia dove l’accompagnatore laotiano ci indirizza ai mezzi a seconda delle varie destinazioni. Da notare che questi accompagnatori vengono fotografati da agenti thailandesi appena mettono piede sul suolo del loro regno, anche immaginandone il motivo non lo comprendo visto che da tanto tempo fanno sempre questo mestiere. Fondamentale cambiare i kip rimasti perché non hanno validità fuori dal Laos, i cambi incontrati a Ban Nakasang erano peggiori di quanto ricevuto brevimano qui, poi sul solito tuktuk andiamo alla stazione dei bus di Chong Mek riprendendo confidenza con la guida a sinistra. C’è il tempo per mangiare qualcosa al terminal dove si incontrano alcuni piccoli locali e una rivendita poi si parte col pulman alle 17 precise, con aria condizionata al massimo livello non regolabile, fortuna che il bus è dotato di panni stile rifugio alpino. Lasciato Chong Mek si va verso Ubon Ratchatani su grandi e larghe autostrade, le strade tutte buche e sterrato del Laos sono subito dimenticate. Nelle varie fermate non c’è tempo per scendere a cenare, ci vien detto che prima che si abbasseranno le luci faremo una sosta in un posto attrezzato e così è, nel mezzo del nulla ci fermiamo poco dopo la mezzanotte in un gigantesco ristorante dove all’interno ci sono almeno 50 tipologie di rivendite di cibo. Veniamo anche serviti di un buono da 15 baht da utilizzare all’interno, è possibile trovarci veramente di tutto e di più quindi qualcosa da ingurgitare lo pesco, per quanto riguarda il bere nel mezzo ci sono dei distributori di acqua depurata gratuiti. Risaliti con pancia quasi piena è facile cadere addormentati sulle poltrone reclinabili ben avvolti dalle coperte per evitare l’ibernazione.

 

continua...

 

BLOGGER

Luca COCCHI

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