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Nella Valle dell'Omo, Etiopia - Parte V

Diario di un viaggio in un museo a cielo aperto

 

...segue 

 

 12° giorno 

In mattinata partiamo per andare a visitare un villaggio del popolo Karo, per il quale in sede di definizione dell'itinerario ho dovuto un po' insistere per includerlo. La pista è la più difficile per chi visita solo questa parte della valle dell'Omo ma è comunque migliore della maggior parte di quelle percorse dall'altra parte. Il nostro pilota, pur essendo piuttosto esperto, non ha molto off road nel suo curriculum. Difatti, mentre zigzaghiamo tra alberi, arbusti e formicai, in una curva sabbiosa perde il controllo del mezzo e finiamo dritti per dritti contro un'acacia. Per fortuna non è di quelle alte ma una specie di rovo, cosa che attutisce l'impatto al punto che, nonostante solo il pilota abbia la cintura allacciata, nessuno si fa niente, nemmeno l'auto che, fatta retromarcia, può riprendere la marcia senza problemi, a parte qualche graffio in più sulla carrozzeria.

 

Korcho è uno dei soli 3 villaggi dei Karo, uno dei popoli più interessanti per via delle variopinte pitture che utilizzano per adornare corpo e volto. I Karo hanno una lunga tradizione di scontri tribali e proprio per motivi difensivi hanno preferito radunarsi in pochi villaggi ma più densamente abitati. Questo isolamento dai popoli circostanti li ha però anche portati a matrimoni consanguinei, voluti anche nell'ottica di non disperdere il bestiame, con le prevedibili ricadute che ciò comporta: ora sono solamente in 1500, una delle etnie a maggior rischio di estinzione della zona. Storicamente allevatori, causa malattie ora il loro bestiame è ridotto ai minimi termini e, per sopravvivere, si stanno convertendo in agricoltori e pescatori. Il villaggio di Korcho è il più noto perché è posizionato su un altopiano dal quale si gode una vista spettacolare di un'ansa dell'Omo, un ideale sfondo per le foto di rito già più volte sfruttato da chi mi ha preceduto. Il villaggio è semivuoto, ci sono solo qualche ragazzo e qualche donna, dalla caratteristica capigliatura "a palline" e con un bacchetto di legno o un chiodo a fuoriuscire da sotto la bocca. Purtroppo gli uomini, che di norma sono i più variopinti e il vero motivo della visita al villaggio, sono assenti, essendosi recatisi in massa a non so quale evento altrove. Peccato, sarà l'unica delle cose che mi prefiggevo di vedere alla quale devo rinunciare.

 

Torniamo al Lodge e in pratica ci prendiamo un pomeriggio "di riposo", sul quale non sollevo obiezioni solo perché il nostro compagno con la caviglia malridotta non può che trarne beneficio. Ma l'altro romagnolo, buon sangue non mente, è disposto a farsi una passeggiata e noi due soli ci inoltriamo lungo il letto secco del fiume (che da informazioni assunte dovrebbe chiamarsi Kezky) che passa a pochi metri dal nostro lodge. Lo risaliamo per un'oretta e, anche senza vedere cose straordinarie, è una piacevole escursione. Rientrando scopriamo che l'acqua che vediamo ogni mattina trasportata su una carriola da ragazze Hamer a torso nudo (ritenute le donne col seno più bello fra tutti i popoli della valle dell'Omo), che probabilmente è quella con la quale facciamo la doccia, viene ricavata scavando una pozza nel letto del fiume.

 

Stasera mi dovrebbe telefonare la guida della prima parte del viaggio, per sapere cosa intendo fare per i documenti: o rinunciare a 4 giorni di viaggio o partire un giorno più tardi ricomprando il biglietto di ritorno. Vado al telefono già pronto per dire che scelgo la busta numero due ma prima ancora che mi pronunci la guida mi dà una notizia ormai inaspettata: il mio passaporto è stato ritrovato e, colmo dei colmi, pure una parte dei soldi, 1000 birr per la precisione. Secondo la guida il comandante della polizia ha fatto delle neanche tanto velate minaccie ai componenti della milizia i quali, evidentemente, hanno mosso tutte le loro conoscenze per cercare di risolvere la questione a "livello tribale". Il cuoco e il pilota, indietro di un giorno rispetto alla guida che ha già superato Suri Kibish, devono ancora passarci e quindi, raggiunti telefonicamente, raccoglieranno il prezioso documento e lo porteranno ad Addis Abeba, dove potrò rientrarne in possesso appena in tempo. Tutto è bene quel che finisce bene.

 

Paesaggio della bassa valle del fiume Omo

Paesaggio della bassa valle del fiume Omo - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

13° giorno

Abbiamo la notte già pagata al Buska Lodge ma, su mia richiesta, stasera sfrutteremo il materiale da campeggio che abbiamo trasbordato per dormire all'interno di un villaggio Hamer, nella zona di Dillabaino, a stretto contatto col popolo più cordiale tra quelli della Valle dell'Omo. Portiamo le tende presso il mini-villaggio, in realtà una specie di compound composto di 3/4 capanne, di Gadi, una bella ragazza Hamer, ora sposata e madre di una graziosa bimba, che la nostra guida, che parla Hamer, conosce fin da quando era piccola. Facciamo conoscenza con parte della famiglia, visto che gli uomini adulti non sono presenti. Entriamo nella tenda della nostra ospite e veniamo fatti accomodare su pelli di capra gettate per terra, mentre la padrona di casa ci prepara il loro caffè, ottenuto non dai chicchi ma dai gusci dei chicchi del caffè. Pare che a loro piaccia così, che non sia una scelta dovuta al minor costo della materia prima. Versato bollente dentro a delle zucche vuote lo beviamo tutti, pure io. Non sa di molto, pare un tè con un sapore che ricorda il caffè piuttosto alla lontana.

 

Visitiamo i paraggi a piedi, andando a dare un'occhiata alla terra coltivata dei nostri ospiti, a qualche chilometro da lì, ad un pozzo affollato di donne e ragazzini che fanno i turni per far salire in superficie il prezioso liquido e ad una scuola. Strano destino quello delle scuole a queste latitudini: letteralmente ignorate dagli adulti, quando non proprio avversate perché rubano giovani braccia, non riescono ad esercitare quasi nessuna attrattiva sui bambini e quindi spesso gli insegnanti li blandiscono con "regali" tipo matite, vestiti riciclati oppure la promessa di una ciotola di riso per chi resta in classe fino all'ora di pranzo.

 

Torniamo a Turmi, che dista pochi chilometri, per un caffè vero e proprio in un localino del centro, con tanto di cerimonia. A me non interessa e vado a fare un giro per il paese dove un mercato, seppure meno frequentato di quello del giorno prima, c'è pure oggi. Più tardi andiamo a visitare il villaggio Hamer di Wognarky. Bello, come belle sono le ragazze Hamer che, per via delle loro pettinature a treccioline intrise di ocra e grasso, hanno un look forse a noi più familiare di quanto non possa esserlo quello con i crani rasati o le strane acconciature tipiche delle altre popolazioni locali. Però sono tutti sul chi va là, come punti la macchina fotografica si coprono il volto e bisogna dare inizio alla trattativa. Abbiamo il codazzo e visto che io sono l'unico con la macchina fotografica tutti mi tengono d'occhio. Trovo la situazione spiacevole e mi innervosisco, allora aumento il passo e gironzolando senza logica nel villaggio semino i miei compagni di viaggio e, pian piano, anche la pazza folla. Così recupero un po' di calma e scatto qualche bella foto, la luce è bella e aiuta, a quelle donne che non mi hanno assillato con la mano protesa.

 

Torniamo al nostro camp, montato sotto ad un albero maestoso a fianco delle capanne di Gadi e famiglia. Purtroppo adesso il villaggio è praticamente disabitato e non riesco a fotografare nessuno nella splendida luce che sta inondando tutto, se si esclude l'ennesimo spettacolare tramonto. Col buio giungono anche gli uomini e lo sposo di Gadi sceglie la vittima sacrificata per farci da cena: un giovane capretto. Viene squartato in alcuni grossolani tagli che, infilzati su bastoni, vengono issati a pochi centimetri dal fuoco accesso all'uopo. Io non me ne intendo di cucina, ma può darsi che la carne, specie di capra, a maggior ragione se allevata in libertà, andrebbe fatta "riposare" un giorno prima di cuocerla? Quello che so è che per masticare un boccone ci vuole una decina di minuti e quando ho finito di mangiare ho i muscoli della mandibola indolenziti. A parte questo, spiace che la nostra ospite sia indaffarata per preparare la cena al suo sposo e che non ci raggiunga, nemmeno brevemente: se non altro la serata sarà allietata dalle due maestrine conosciute la mattina che si uniscono a noi per la cena. Ci corichiamo abbastanza presto, come è normale fare tra gente che vive coi ritmi del sole, peccato solo doversi alzare a mettere la tela cerata sopra la tenda perché comincia a piovere e poi in un secondo tempo per ancorarla perché il vento che si è alzato è molto forte e fa volare via tutto quello che non è fissato a terra.

 

Una giovane Tsemay

Una giovane Tsemay - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

14° giorno

Salutiamo Gadi e famiglia, torniamo al lodge per una doccia e ripartiamo con direzione nord. Benchè sia una delle uniche due piste della Bassa Valle dell'Omo quasi non si incontra anima viva, nemmeno i turisti che pure a Turmi c'erano: evidentemente molti, dedicando a queste zone poco tempo, vanno subito a vedere gli Hamer che sono uno dei popoli più visitati. I primi che, risalendo, visitiamo sono gli Erbore (o Arbore), dalle belle capanne che, a differenza delle altre della zona, hanno una specie di anticamera alla grande camera dove vivono. Le ragazze sono completamente rasate o dai capelli molto corti fin tanto che sono nubili, solo da sposate si lasciano crescere i capelli che poi annodano in piccole trecce. Indossano lunghe gonne di pelle di capra e i seni sono a malapena coperti dalle tante collane colorate che portano al collo. Anche qui si vedono quasi solo appartenenti al sesso femminile, visto che, essendo pieno giorno, gli uomini sono altrove affacendati.

 

Proseguendo verso nord entriamo in territorio Tsemay, e facciamo sosta al piccolo villaggio di Tsemako Gisma dove c'è una piccola scuola insolitamente brulicante di ragazzini. Entrando capiamo il perché, stanno distribuendo il riso ai piccoli. Anche presso questo popolo le ragazze si lasciano crescere i capelli solo dopo il matrimonio, in trecce che, anche se alcune ricordano quelle delle Hamer, non sono però intrise di grasso e ocra. Hanno abiti ricavati da pelle di capra non conciata ornati da file di cauri mentre le non sposate, oltre al capello corto, sfoggiano una vistosa cinta di perline e similari decorazioni sulle gambe, simili a parastinchi, e braccia. Ma le decorazioni più apprezzate sono i cinturini in metallo degli orologi, che le donne portano appesi al collo. Anche i costumi degli uomini paiono risentire di influenze Hamer, con piume portate sulla testa.

 

Nel tardo pomeriggio entriamo in territorio Konso e il clima si rinfresca parecchio mentre saliamo in altitudine: c'è più traffico, ma più che turisti incrociamo camion, visto che la pista è in fase di completa ristrutturazione poiché il governo etiope ha previsto che venga asfaltata fino a Turmi. Poco prima di Karat Konso, il capoluogo del territorio dei Konso e crocevia tra la strada da cui proveniamo e quella che porta al confine col Kenya, ci fermiamo in un animato mercato, frequentato soprattutto da donne dalle caratteristiche gonne a balze e luogo di scambio principalmente di prodotti dell'agricoltura, attività nella quale i Konso eccellono.

 

Si mette a piovere e ai 1500 msl in cui siamo fa abbastanza freddo. Pernotto in un albergo nuovissimo, non ancora completato, di proprietà di uno svizzero-etiope, mentre i miei compagni di viaggio sono dislocati allo Strawberry Fields, un cosiddetto eco-lodge, un tipo di struttura ricettiva che sta diventando sempre più popolare in Etiopia. Questo mi è parso molto più "eco" che "lodge". In pratica: basici bungalow dislocati su una collina, con sentieri in pendenza per percorrere i quali occorrono, causa fango, doti da equilibrista, per il (poco) divertimento del nostro compagno di viaggio azzoppato (non a caso, nell'attraversare un ponticello di legno con le scarpe appesantite dal fango come dei moon boot, siamo scivolati sia io che la guida); i bagni sono la classica cabina telefonica esterna, da condividere con i frequentatori degli altri bungalow; nei plus invece il clima rilassato, i commessi rasta, il campo dove vengono coltivati alcuni prodotti usati in cucina e l'eco-sostenibilità di alcuni piccoli accorgimento tipo il recupero dell'acqua piovana. Che poi va benissimo, ho dormito in posti decisamente peggiori, lo specifico solo per quelli che, al solo sentire la parola "lodge", si immaginano una struttura impeccabile in un'ambientazione paradisiaca di quelle che di norma si vedono sulle riviste di viaggio.

 

continua...

 

Nella Valle dell'Omo - I

Nella Valle dell'Omo - II

Nella Valle dell'Omo - III

Nella Valle dell'Omo - IV

 

ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi

Roberto CORNACCHIA

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